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quelli del tempio di Giove Tonante ricordato da Svetonio e da Plinio, e del quale una medaglia di Augusto in argento ci ha conservato nel rovescio il prospetto formato da sei colonne corintie colla iscrizione IOV TON cioè IOVI TONANTI, in fondo al quale sopra un alto piedestallo vedesi la statua del nume stante con asta nella sinistra e fulmine nella destra: medaglia, che come ognun vede accordasi mirabilmente colle rovine superstiti. Svetonio nella vita di Augusto e. XC. narra che quell'imperadore avea gran timore de'lampi e de' tuoni, a segno, che portava sempre seco una pelle di vitello marino, come preservativo, ed avea una camera riservata e munita in casa ove ne'temporali si ricoverava: aggiunge che questo timore lo avea invaso dopo che viaggiando di notte un fulmine gli era passato dappresso. Fu appunto questo caso, che secondo lo stesso biografo c. XXIX. lo mosse a consacrare il tempio di Giove Tonante: Tonanti lovi aedem eonsecravit, liberatus periculo, quum expeditione cantabrica per nocturnum iter lecticam eius fulgur perstrinxisset, servumque praelucentem exanimasset. Dione lib. LIV. c. IV. ha conservato la memoria dell'anno in che venne edificato, e consacrato questo tempio, cioè il 732 di Roma, ossia 22 avanti la era volgare, anno in che furono consoli M. Claudio Marcello, e L. Arrunzio. Egli segut circa il cognome un'altra tradizione, cioè che fu denominato Tonante, perchè nel sagrificio che accompagnò quella dedicazione si udirono tuoni. Si questo scrittore che Svetonio c. XCI. narrano, che la novità, e la splendidezza di questo nuovo tempio vi attrasse molta gente a detrimento del culto di Giove Capitolino, onde una notte apparve ad Augusto il nume, che si querelò seco lui come se fosse stato degradato, e che Augusto scusossi col dire di aver consacrato il Tonante co

me portinaio del Capitolino, e fece perciò l'indomani appendere campanelli nel timpano, come quelli che si tenevano alle porte delle case. E quì si noti, che Dione asserisce chiaramente che il tempio di Tonante trovavasi sulla strada di que'che salivano al Capitolio, che è quanto dire sul clivo. Anche questo edificio fu particolarmente ornato di statue insigni come si ricava da Plinio, il quale lib. XXXIV. c. VIII. S. XIX. n. 17. ricorda essere stata la statua principale del nume un lavoro celebre di Leocare, scultore che avea fiorito ai tempi di Filippo padre di Alessandro il grande: eravi i noltre un Giove di bronzo deliaco di Policleto, secondo lo stesso scrittore lib. cit. c. II. §. V: e dinanzi le colonne angolari vedevansi le statue di Castore e Polluce, lavoro encomiato di Egesia: Plinio l. c. c. VIII. §. XIX. n. 16. Dopo Vittore che ricorda questo tempio come ancora esistente sul principio del V. secolo cessa ogni memoria sua: dagli ultimi scavi però fatti l'anno 1830 rilevossi, che la ultima sua rovina era stata quella di un incendio; imperciocchè sopra tutta la superficie del pavimento della cella si scoprì una crosta durissima carbonizzata e fusa insieme di legnami, mattoni, pietre calcinate, e metalli, a segno che grave fatica duravasi a romperla col piccone: calcinati pur si rinvennero molti frammenti di marmo della sua decorazione, onde parmi che probabilmente perisse in qualcuna delle grandi catastrofi, alle quali andò soggetto il Campidoglio dopo la caduta dell'impero occidentale, e forse in quella di Roberto Guiscardo dell'anno 1084. Certo è per questa scoperta medesima che il tempio era a soffitto, e non a volta, onde riuscì più facile l'incendiarlo. Posteriormente alla sua caduta si era ammonticchiato un tal cumulo di macerie, particolarmente dopo le nuove costruzioni di Michelangelo, che le colonne rimanevano

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sepolte quasi fino al capitello, di che si veggono ancora le traccie. E profittando di questo monte, che ingombrava e reggeva le colonne eransi rapiti i massi di marmo e di travertino che le sostenevano, per mezzo di una specie di cuniculo. Quindi la parte delle colonne superstiti sopra terra vedevasi scompaginata e inclinata. Allorchè pertanto nell'anno 1811 vollero isolarsi fu d'uopo di rifondarle togliendo l'intavolamento, alzando le colonne, e raddrizzandole per potervi collocare di nuovo l'intavolamento: così questo magnifico avanzo venne assicurato senza deturparlo, come oggi si vede.

EDICOLA DI FAUSTINA GIUNIORE. Il tempio di Giove Tonante sorge per tre lati isolato, poichè di dietro è addossato alla sostruzione del Tabulario. Fra esso e quello della Concordia è un andito lastricato di travertini molto consunti dal tempo, e dal fuoco, in fondo al quale aderente ai due templi sono gli avanzi di una specie di camera di opera laterizia, che era già rivestita di stucco dipinto. L' andito fu scoperto l'anno 1829, e la picciola camera lo era stata nel 1822: allora vi fu trovato un picciolo piedestallo, che oggi conservasi nel portico del Tabulario colla iscrizione seguente posta ad onor di Faustina Giuniore da un VIATOR, OSsia messaggiere del questore dell'erario di Saturno:

DIVAE. PIAE
FAVSTINAE

VIATOR. Q.

AB AER SAT

cioè Divae Piae Faustinae Viator Quaestoris ab Aerario Saturni.

AREA, TABERNE e PORTICO DEGLI DEI CONSENTI. Dall'altro lato il tempio di Giove Tonante rimane isolato per mezzo di un andito simile a quello testè descritto, ed anche esso con pavimento di lastre di

travertino, al quale discendesi dal clivo per una scaletta di marmo trovata intatta negli scavi dell'anno 1832. Quest'andito termina nella sostruzione del Tabulario come l'altro, ma non ha in fondo la camera: al contrario parallela al tempio di Giove è una fila di taberne di opera laterizia che già furono rivestite di marmo, come di marmo solido sono le soglie. Queste da me furono trovate chiuse da muri informi de'tempi bassi, e piene di macerie fino a due terzi del pavimento, e spogliate affatto di ogni rivestimento: nell'ultimo tratto poi più aderente al suolo erano state riempiute di corpi umani misti a calce viva, indizio che aveano servito di sepoltura in qualche circostanza straordinaria e forse di peste. Alcuni moderni hanno a torto confuso queste saberne con quelle tre che vennero scoperte ai tempi di papa Paolo III. sotto il portico delle otto colonne nell' area del Foro, e che formavano la Schola Xantha.

Queste taberne servono in parte di sostruzione ad un'area lastricata di marmo, irregolare quanto alla pianta, e circoscritta da un lato dal clivo capitolino, dall'altro dall'andito di separazione del tempio di Giove Tonante, e dagli altri due da un portico ad angolo ostuso, del quale rimangono le basi ed un tronco di colonna al posto, scoperte che furono fatte nel finire dell'anno 1833. e nella primavera dell'anno 1834. Il portico oggi presenta ancora dieci basi al loro posto, delle quali la sesta è l'angolare: una gran parte delle colonne che lo formavano, sebbene spezzate, sono state pure trovate queste sono di marmo caristio e scanalate: sono stati scoperti ancora molti de'capitelli, che sono di ordine corintio, ed ornati di trofei: e molti pezzi dell'intavolamento: il lavoro delle basi, delle colonne, de'capitelli, e dell' intavolamento è assolutamente analogo a quello di altri monumenti della era di Settimio, alla

AREA, TABERNE, E PORTICO DEGLI DEI CONSENTI 547 quale per conseguenza credo che questo portico possa appartenere. Sotto il portico ricorrono taberne simili a quelle testè descritte, anche esse di opera laterizia, con soglie solide di marmo, e con traccie di avere avuto il pavimento e le mura rivestite della stessa pietra. Difficile sarebbe indovinare il nome da darsi a questo portico, se fortunatamente sul finire dello stesso anno 1834 non fosse stata rinvenuta sopra un pezzo dell'intavolamento una iscrizione che ricorda avere in questo luogo collocato i simulacri dei dodici dii consenti Vettio Agorio Pretestato, prefetto di Roma l'anno 367 uno de' sostenitori più forti del paganesimo, come ricavasi da Simmaco, Macrobio, e Zosimo, e che per testimonianza di Ammiano Marcellino lib. XXVII. c. IX. molta cura ebbe di abbellire Roma distruggendo le loggie che erano state innalzate a dispetto delle leggi, ed isolando i templi dalle fabbriche de'privati namque et moeniana sustulit omnia, fabricari Romae priscis quoque vetita legibus, et discrevit ab aedibus sacris privatorum parietes iisdem inverecunde connexos. Quanto agli Dei Consenti de'quali furono poste da Pretestato le immagini in questo portico è noto essere queste le .dodici divinità maggiori che costituivano il consiglio degl'immortali, i cui nomi vengono ricordati ne'due versi seguenti di Ennio conservatici da Apuleio nello scritto che intitolò de Deo Socratis:

Iuno, Vesta, Minerva, Ceres, Diana, Venus, Mars, Mercurius, Iovi', Neptunus, Vulcanus, Apollo.

Ora Varrone de Re Rustica lib. I. dice che presso al Foro erano le statue dorate degli Dei Consenti sei maschi, e sei femmine: Deos Consentes, neque tamen eos urbanos quorum imagines ad Forum auratae stant sex mares, et foeminae totidem: forse queste statue sono le stesse di quelle ricordate nella iscrizione di

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