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da Silla quale esisteva a'tempi di Augusto, e quale egli lo vide: « Esso fu edificato sopra un'alta sostruzione,

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che ha otto plethri (cioè circa 800 piedi ) di circon

ferenza, ed ha in lunghezza 200 piedi, e picciola • differenza si trova fra la lunghezza e la larghezza co• me quella che non giunge ai 15 piedi, conciossiachè quello edificato dopo l'incendio a' tempi de'nostri padri si trovò sopra i fondamenti medesimi, e solo nel« la ricchezza de'materiali differisce dal primo, essendo colla fronte rivolto a mezzodì, e da quel lato fasciato con tre file di colonne, e di fianco da due: dentro, tre sacrarii parallelli fra loro hanno communi i lati, e quello di mezzo è di Giove, e di fianco • sono quelli di Giunone e Minerva, tutti e tre sotto un timpano ed un soffitto commune

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Questa descrizione così succinta e così chiara guida a ricostruire il tempio, quantunque il sito, sul quale sorgeva sia og. gi coperto da fabbriche totalmente diverse. Un solo elemento da Dionisio si tace, cioè il numero delle colonne, che formavano i peristilii del tempio; ma fortunatamente questo ci è stato conservato in altri monumenti, che presentano la fronte del tempio come era stato riedificato da Silla, da Vespasiano, e da Domiziano, cioè le medaglie. Della prima epoca ci rimangono due denarii di Q. Petillio Capitolino, i quali appartengono al primo periodo del governo di Augusto: costui essendo preside del Capitolio, uffizio che gli diè il cognome di Capitolino, venne accusato di avere involato la corona aurea del nume e fu assoluto dai giudici particolarmente pel favore che godeva presso di Augusto, del quale era amico: causa che fece gran strepito per la gravità dell' accusa, pel rango degli accusatori che furono Quinto Pedio Publicola e Marco Valerio Messala Corvino, e pel modo, col quale l'accusato evase,

siccome si trae da Orazio Sat. lib. I. Sat. IV. v. 94. e seg. Sat. X. v. 26. e dal vecchio scoliaste publicato da Cruquio, al quale dobbiamo queste notizie che negli storici son perite. Quel Petillio prima, o dopo quel tristissimo affare sembra avere avuto ingerenza nella zecca, sia come preside della Moneta che era sul Capitolio, sia come questore, onde battè denarii, che nel dritto presentano la testa di Giove Capitolino colla epigrafe CAPITOLINVS, o l'aquila fulminifera sacra a quel nume colla iscrizione PETILLIVS CAPITOLINVS: il rovescio di questi due denarii offrono il prospetto del tempio, sempre esastilo, ossia con sei colonne di fronte, sempre di ordine corintio, e sopra gradini; ma quello che ha nel dritto la testa di Giove mostra aquile sugli acroterii, e l'altro Vittorie sopra bighe, così il primo ha il timpano scevro di ornati, e l'altro ornato di figure: ambedue poi ne' tre intercolunnii centrali presentano lampadi appese e le iniziali S F nel campo, che possono spiegarsi SACRVM FECIT, e potrebbero alludere al sacrificio di ringraziamento che Petillio dopo quel pericolo corso avrà celebrato. Le medaglie di Vespasiano con questo soggetto medesimo del tempio di Giove sono in gran bronzo e presentano nel dritto la testa di quell' imperadore, e nel rovescio il tempio, anche esso esastilo con intercolunnii ineguali in modo che quello di mezzo lascia vedere in fondo la statua assisa di Giove con asta nella sinistra e fulmine nella destra: e questo è il più largo: un poco meno lo sono i due laterali che presentano in fondo Minerva stante con asta e scudo, e Giunone anche essa stante con asta e patera, ambedue rivolte verso Giove: più stretti sono gl'intercolunnii estremi. Il tempio è elevato sopra gradini, le colonne riconosconsi evidentemente per essere di ordine corintio, ed il frontone di una

proporzione elevata contiene nel timpano Giove assiso fra due figure in piedi, e dietro queste due altre figure in azione, una delle quali è accovacchiata: ornatissima è la cornice del timpano: due Vittorie coronano gli acroterii laterali, due figure stanti ornano l'intervallo fra queste e l'acroterio supremo, la cui statua manca. Una medaglia di Tito offre il medesimo rovescio, ed anche in questa manca l'ornamento dell'acroterio di mezzo. In un' altra medaglia di Tito però in bronzo mezzano è sulla sommità di mezzo una quadriga da Livio lib. X. cap. XXIII. apprendiamo, che fin dall' anno di Roma 438 gli edili curuli aveano eretto sull' acroterio di mezzo una quadriga portante Giove, lovemque in culmine cum quadrigis, e questo ornamento così bene adattato sarà stato sempre ristabilito nelle riedificazioni successive del tempio. Questa lascia travvedere in fondo ai due intercolunnii estremi due porticine, che mentre mostrano il tempio non avere avuto portico nella parte posteriore, appunto come ricavasi da Dionisio, indicano ancora che per esse uscivasi nell'area, sulla quale sorgeva il tempio. Un rovescio simile a quello di Tito hanno le medaglie in bronzo grande e mezzano battute da Domiziano : quelle in argento poi presentano sempre l'intercolunnio diverso e nel fregio la iscrizione IMP. CAESAR. Si può quindi conchiudere che il tempio sillano, come quello riedificato da Vespaziano e da Domiziano non ebbe che sei colonne di fronte, e queste triplicate, e con intercolunnii ineguali, cioè massimo era il medio, minori i laterali, minimi gli estremi: ora avendo 185 piedi di larghezza ne siegue che le colonne ebbero 9 piedi di diametro, e che l'intercolunnio di mezzo sorpassò i 3 diametri e mezzo: i laterali a questo n'ebbero 3, e gli estremi 2, cioè quel di mezzo 32 piedi, P. I.

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i laterali 27, gli estremi 22. Di fianco poi 8 furono le colonne ed un pilastro, e gl'intercolunnii, ciascuno di 2 diametri, onde ascendere ai 200 piedi che il tempio avea. Entrando pertanto questo tempio nella categoria degli areostili vitruviani ne siegue che gli architravi non potevano essere che di legno fasciati di bronzo dorato; e tale appunto Vitruvio lib. III. c. II. descrive il tempio di Giove in areostylis autem nec lapideis, nec marmoreis epistyliis uti datur, sed imponendae de materia trabes perpetuae et ipsarum aedium species sunt barycae, barycephalae, humiles, latae, ornantque signis fictilibus aut aereis inauratis earum fastigia tuscanico more uti est ad Circum Maximum Cereris et Herculis Pompeiani, item CAPITOLII. Queste colonne aveano 8 diametri di altezza secondo lo stesso scrittore: aedibus areostylis columnae sic sunt faciendae uti crassitudines earum sint partis octavae ad altitudinem, e perciò aveano 72 piedi di altezza. Queste dopo l'incendio sillano furono di marmo, e le ultime, come fu notato a suo luogo di marmo pentelico: quelle del tempio primitivo di Tarquinio erano, o di pietra albana, o di pietra rossa, cioè tufa, la quale andando soggetta a corrodersi veniva di tempo in tempo coperta di stucco ed imbiancata. Di uno di questi ristauri ci ha conservato la memoria Livio nel lib. XL, il quale narrando i fatti dell'anno di Roma 575 nota c. XLV. che l' inverno fu crudissimo, e che nella primavera un temporale imperversò sopra Roma e fece guasti notabili nel Capitolio: poco dopo c.LI. soggiunge che Marco Emilio Lepido che era nel tempo stesso pontefice massimo e censore ordinò che venissero di nuovo polite con stucco bianco le colonne e le pareti del tempio di Giove: aedem Iovis in Capitolio, columnasque circa poliendas albo

locavit. Il passo di Vitruvio riferito di sopra mostra che le statue, i bassorilievi, e tutti gli ornamenti del timpano erano di bronzo dorato, come probabilmente erano anche i capitelli delle colonne, e come certamente erano le tegole del tetto almeno fin da' tempi di Seneca il retore, il quale Controvers. lib. I. §. VI. scrive: fastigiatis supra tectis auro puro fulgens praelucet Capitolium: e tegole di bronzo, sulle quali era stato colato oro furono quelle che coprirono il tempio riedificato da Domiziano, come si trae da Ausonio de Narbone c. 17.

AUREA qui statuit Capitoli CULMINA caesar: e più apertamente da Procopio Guerra Vandalica. lib. I. c. V. allorchè narra il sacco dato a Roma da Genserico l'anno 455 della era volgare. Quel re barbaro dopo aver portato via tutti gli oggetti che trovò nel palazzo imperiale, sacccheggiò ancora il tempio di Giove Capitolino, e portò via la metà del tetto, il quale era di bronzo eccellente, χαλκου μεν του αριστου ετυγχανεν ον, e per esservi stato colato sopra molto oro, χρυσου δε αυτῷ ὑπερχυθέντος αδρου, appariva altamente magnifico e degno di meraviglia. Laonde gli antichi frequentemente diedero l' epiteto di aureo al Capitolio, origine del nome di Aurocielo rimasto nel medio evo alla punta sopra la quale sorgeva il tempio, e che i moderni hanno trasformato in quello di Araceli. E siccome di legno erano gli architravi del portico, lo era altresì il lacunare, o soffitto, il quale, secondo Plinio Hist. Nat. lib. XXXIII. c. V. §. XVIII. fu per la prima volta indorato da Lucio Mummio censore, l'anno di Roma 611. vale a dire due anni dopo aver trionfato della debellata Corinto, e colle spoglie riportate da quella conquista. Tante parti di legno spiegano sufficientemente, come tre volte fosse consumato

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