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questo tempio dal fuoco. Mentre i portici erano di una grandezza conveniente, piccolissimo spazio restava per la cella, la quale si restringeva a 50 piedi di fronte e 120 piedi ne' lati, cioè fra le due colonne centrali della fronte, e le ultime colonne laterali. La porta di questa era fasciata di lamine di oro ed ornata di bassorilievi, siccome si trae da Claudiano De VI. Cons. Hon. v. 46. che le chiamava caelatasque fores, e da Zosimo lib. V. c. XXXVIII. il quale narra, che Stilicone le fece rapire circa l'anno della era volgare 408, e che in tal circostanza trovarono in una di esse scritto MISERO REGI SERVANTVR. La soglia era stata fatta di bronzo dagli edili curuli Cneo e Quinto Ogulnii fino dall'anno 458, come si legge in Livio lib. X. c. XXIII. e di bronzo pure erano i cardini, come quelli di tutte le porte del Capitolio secondo Servio ne' commenti all' Eneide lib. I. v. 453. In fondo erano le tre edicole di Giove, Giunone, e Minerva sotto un solo frontone, secondo il passo di Dionisio riferito di sopra e formanti come tre celle separate che designavansi co' nomi delle divinità rispettive. Quindi Livio lib. XXXV. c. XLI.narra che gli edili curuli Marco Tuccio e Publio Giunio Bruto delle multe imposte agli usurai l'anno di Roma 562 fecero quadrighe dorate che furono poste in cella Iovis sull' acroterio della edicola supra fastigium aediculae e con queste dodici scudi pure dorati. Altrove lib. X. c. XXIII. ricorda egualmente la cella di Giove, quando riferisce che i due Ogulnii menzionati di sopra colla multa imposta pure agli usurai aveano fatto vasi di argento per tre mense: ed in questa cella soleva ritirarsi la notte Scipione Affricano, siccome riferisce Aulo Gellio lib. VII. c. I. onde ivi a' tempi di Valerio Massimo lib. VIII. c. XV. §. 1. vedevasi la sua immagine, che tutte le volte, che

celebravasi il funerale di qualcuno della gente Cornelia di là si traeva, onde quello scrittore dice, che era il solo a cui il Capitolio serviva come di atrio domestico: unique illi instar atrii Capitolium est. La statua del nume essere stata assisa mostrano le medaglie, dalle quali pure si trae che avea asta nella sinistra e fulmine nella destra, e circa il fulmine si conferma da Plinio lib. II. c. VII. §. V. da Giovenale nella satira XIII. e da Minuzio Felice nell' Ottavio: era coronato come mostra Plauto nel Trinummus Act. I. sc. II. v. 93:

Nam nunc ego si te surripuisse suspicer
Iovi coronam de capite e Capitolio,
Quod in culmine adstat summo.

e la corona era radiata secondo Svetonio nella vita di Augusto c. XCIV. Questa statua in origine fu di terra cotta, secondo Ovidio Fastor. lib. I. v. 202. e secondo Plinio lib. XXXV. c. XIII. §. XLV, il quale ne accerta che fu da Tarquinio Prisco allogata a Turiano da Fregelle città de' Volsci, e che solevasi colorire di minio, come di terra cotta furono le altre statue e gli altri ornamenti. Poscia fu di bronzo dorato, e finalmente ai tempi di Marziale lib. XI. ep. V. di oro: Sculptus et aeterno nunc primum Iupiter auro. La edicola di Minerva era a destra di quella di Giove ed alle volte designasi col nome di templum come in Livio lib. VII. c. III. e di delubrum come in Plinio lib. XXXV.c. X: più generalmente poi con quello di cella Minervae, come si trae da Festo nella voce Nixi allorchè narra che chiamavansi Nixi dii tre statue portate secondo alcuni da Marco Acilio dopo le vittorie riportate sopra Antioco, secondo altri da Corinto, e rappresentate in uno stato simile a quello di certe sculture egizie accovacchiate. Dentro questa parte del tem

pio furono la edicola della Gioventù, ed il dio Termine, che nella edificazione del tempio primitivo non vollero sloggiare secondo Dionisio, Livio ec. e sopra il dio Termine era nel tetto un foro onde potere essere libero coelo. Nella cella poi in genere era il tesoro capitolino stabilito da Camillo nel soglio della statua di Giove e ricordato da Livio, Plinio, Appiano, Svetonio, e dal marmo ancirano: ivi fino al tempo di Augusto furono custoditi i libri sibillini dai decemviri a ciò destinati, poscia portati al numero di quindici, e chiamati Quindecemviri Sacris Faciundis: ivi pure erano doni dedicati dai Romani, e mandati dai principi stranieri, come la Vittoria di Gerone menzionata da Livio, la vite d'oro mandata da Aristobolo e ricordata da Giuseppe, il Giove imperadore trasportato da Preneste secondo Cicerone, Livio, e Vittore, il Giove di bronzo di Carvilio nominato da Livio e da Plinio, la Minerva di Eufranore menzionata pure da Plinio, la statua di Fabio Massimo indicata da Plutarco, da Strabone, e dall'autore del trattato de Viris illustribus ec, Molti però di questi donativi furono successivamente consumati ne' varii incendii del tempio, il quale può dirsi essersi serbato intatto almeno fino al sesto consolato assunto da Onorio l'anno della era volgare 404, imperciocchè come tale lo descrive Claudiano nel celebrare quel consolato; ma ben presto cominciò la spoliazione: le porte furono spogliate da Stilicone l'anno 408, il tempio fu saccheggiato, ed in parte scoperto del tetto da Genserico l'anno 455, e quindi abbandonato alla rapacità ed alla distruzione, e forse ancora incendiato in guisa che sulle sue rovine fin dal secolo VII. si edificò la chiesa dedicata alla Vergine ed a s. Gio. Battista dove è oggi quella denominata di s. Maria di Araceli, ed a questa venne annesso un monastero di benedettini, che

poi nel secolo XIII. divenne convento de' pp. minori che ancora vi stanziano. La vista di questo cangiamento dice Gibbon nelle sue memorie averlo mosso a scrivere la storia della caduta dell' Impero Romano.

e che

Il tempio tale quale è stato descritto sorgeva entro un' area alla quale salivasi dal clivo sacro, dinanzi lasciava un vestibolo: ambedue queste parti vengono ricordate negli antichi scrittori e dietro il tempio par che fosse l'abitazione dell' edituo, dove si salvò Domiziano nella presa del Capitolio, e che poscia trasformò nel tempio di Giove Custode, siccome leggesi in Tacito ed in Svetonio. Ora esaminando colla scorta degli antichi scrittori con molta cura tutte le parti della chiesa, e convento di Araceli, e tutti i giardini annessi ho potuto pervenire a tracciare il giro dell'area e così a stabilire positivamente il sito del tempio propriamente detto. Ho veduto che il giardino meridionale che sovrasta alla chiesa di s. Giuseppe de'Falegnami, verso occidente non conserva traccia delle sostruzioni antiche; ma verso mezzodì lungo la via che è tracciata sui cento gradi e che dalla cordonata scende alla salita di Marforio rimangono a sinistra sotto il muro moderno del giardino i massi di mari antichi costrutti di tufa giallastro. Verso oriente poi il muro attuale che separa il giardino superiore dall'inferiore fascia il muro antico, ed ancora veggonsi traccie de' nicchioni della sostruzione in uno de' quali è la scaletta moderna: vero è che questi nicchioni sono spogliati di ogni rivestimento, che sembra essere stato di opera laterizia e reticolata, e doversi ascrivere al regno de' Flavii. Il livello attuale del giardino superiore è di pochi piedi cresciuto dal piano antico e dappertutto scavando sentesi risuonare sotto, come se fosse vuoto, circostanza che fa ricordare le antiche Favissae menzionate da Festo, spe

cie di cisterne dove riponevansi gli utensili ed altri oggetti del culto divenuti inservibili per la vecchiaia: veggasi inoltre Gellio lib. II. c. X. il quale narra che allorchè Quinto Catulo riedificò il Capitolio voleva abbassare l'ares, onde si salisse al tempio per un numero maggiore di gradini, ed il podio si trovasse in proporzione col frontone, ma non potè eseguirlo perchè ne fu impedito dalle Favisse, che egli poi spiega come Festo. Nel giardino stesso vidi varii poligoni di lava basaltica trasportati dal prossimo clivo, ed un brano di lapide con lettere cubitali già rilevate di bronzo e de' tempi buoni, che sembra aver formato parte del fregio di un grande edificio:

.. DIVI . F ...

.. DES. DE ....

Di là da questo giardino il lato del convento che è immediatamente sulle case della salita di Marforio si regge sopra un grosso muro di sostruzione antica che è notato nella pianta di Nolli: questo ha 240 piedi di lunghezza e formando un angolo ottuso volta verso Macel de' Corvi e la via della Pedacchia: questa lunghezza non eccede che di 40 piedi quella assegnata al lato lungo del tempio da Dionisio, ed è nella stessa direzione, cioè da mezzodì a settentrione, quindi io credo di ravvisare in esso quello che serviva da questa parte di sostegno all'area del tempio. Ora sapendosi che da questo lato la massima altezza del monte non eccede il punto nel quale oggi vedesi la cappella di s. Matteo nella chiesa di Araceli, poichè ivi secondo il Casimiro nella storia di quella chiesa era la porta per la quale scendevasi nella piazza del Campidoglio: che

quanto dire determina la larghezza dell' area antica da questa parte a 225 piedi, cioè precisamente fra la lunghezza che è di 240, e la larghezza non vi corro

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