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sembra per ogni riguardo chiaro, che il lupus tiberinus sia la spigola. Oltre queste due specie di pesci che gl' ittiologi chiamano acipenser-sturio, e perca-lebrax, il Tevere fornisce la laccia, clupea alosa, creduta anche essa corrispondere al lupus da Pomponio Leto e e dal Platina, il cefalo mugil cephalus, il cane nunnius ocellarius, ed il jozo gobius niger, tutti communi ancora al mare, e che in epoche determinate vengono nel fiume: proprii suoi sono: il barbo cyprinus barbus, la regina carpio, la scardafa erythrophtalmus conus, l'anguilla muraena anguilla, lo squale cyprinus leuciscus, e l'atarino, volgarmente detto lattarino, atherina hepsetus. Il Tevere ebbe certamente una grande influenza nel dare al suolo di Roma la forma che ritiene: esso fu una delle cause dell' allontanamento del mare, e della colmata delle terre, e la sua azione continua ancora. È certo che un tempo il suo livello fu altissimo relativamente a quello di oggidì, come giustamente rifletteva il Brocchi appoggiato alla dimostrazione de'fatti ancora apparenti; ma quella sua elevazione rimonta alla epoca in che questa contrada era coperta dal mare, cioè ad oltre 15 secoli prima della era nostra. È certo altresì dai fatti storici della esistenza di Antemne e di altre città fondate dai Siculi, dagli Aborigeni, e dai Latini nella pianura, che solca, che, almeno da 32 secoli, non ha variato di molto quanto al suo livello ordinario dallo stato attuale.

Sulla riva sinistra pertanto di questo fiume è il gruppo de'colli sopra i quali si estese Roma, che alla epoca della fondazione della città erano più alti e dirupati di quello che sono oggidì, poichè parte per la mano degli uomini che li ha fatti più accessibili, parte per le rovine degli edificii che hanno colmato le valli hanno molto variato di aspetto. Di questo innalzamento

del suolo prodotto dalla popolazione ho poc' anzi dato qualche cenno e tornerò a parlarne di proposito al §. 3, destinato particolarmente a mostrare il movimento della popolazione medesima. La collina che è nel centro, coronata dalle altre sei, ebbe nome di Palatium, e di Mons Palatinus che ancora ritiene, sul quale gli antichi ebbero varie opinioni che si possono vedere in Varrone ed in Pausania: altri derivando Palatium da Pallantium città di Arcadia, donde Evandro era venuto su questo colle, altri da Palatium terra degli Aborigeni nel territorio reatino, altri dal belare delle greggi che vi pascevano, altri dall'andar vagando di queste, a palatu, ed altri finalmente da Palazia, o Palanto moglie del re Latino. In questa incertezza di etimologie farò una osservazione che essendo certi per testimonianza di Varrone e di Dionisio, che una città degli Aborigeni presso Rieti era chiamata Palatium, la etimologia di questo colle nella lingua degli Aborigeni, se vi fosse mezzo, dovrebbe cercarsi, e che la stessa causa deve aver dato nome alle due città: ed è pur da notarsi, che Пadav significa mucchio, tumulo di picciole cose conglomerate insieme, che forse poteva essere l'aspetto originale di ambedue i luoghi. Quantunque oggi si presenti con quella configurazione che gli hanno dato le rovine del palazzo de'Cesari, che lo coprono, la rupe originale che trasparisce dal canto di settentrione dietro la chiesa di s. Teodoro in più luoghi, dal lato di mezzodì ne sotterranei di villa Mills già detta villa Spada, e verso oriente presso l'angolo che guarda il Colossèo, è prova di fatto che anticamente la sua pianta assomigliava come oggidì ad un trapezio, di cui il lato minore era quello rivolto a nord-est, dove oggi è l'arco di Tito ed una parte del tempio di Venere a Roma. Questa rupe originale medesima mostra essere stato for

mato di un tufa granulare, ammassato dalle acque, e prodotto vulcanico, di colore bruno nerastro, carico di punti bianchi di amfigene farinose, miste a frammenti di pirossena, squamme di mica nera, e ciottoli di lava bigia, o nerastra. Il Brocchi nel definire questa materia, della quale più volte avrò da far menzione nel corso di questa opera, la dice un attrito di scorie vulcaniche. Questo colle ha 6500 piedi romani di circonferenza, e nella maggiore altezza 173 circa sopra il livello del mare. La falda del Palatino rivolta a settentrione fu detta VELIA, O VELIAE, nome anche esso di origine pelasgica dato ai luoghi palustri, o prossimi a paludi, come chiaramente dichiara Dionisio lib. I. c. XX. Ma Varrone propende a dedurre questa voce dal vellere della lana, senza alcuna apparenza di probabilità. SUBVELIA fu detta la falda bassa di questa parte, e GERMALUS quella rivolta a nord-ovest, secondo Varrone de Ling. Lat. lib. IV. a germaneis da Romulo e Remo che vi furono esposti: Quartae regionis, dice quello scrittore, Palatium, quod Palantieis cum Evandro venerunt, aut quod Palatini Aborigines ex agro reatino qui appellatur Palatium ibi consederunt. Sed hoc alii a Palanto uxore Latini putarunt; eumdem hunc locum a pecore dictum putant quidam; itaque Naevius Balatium appellat.-.Huic GERMALUM et VËLIAS coniunxerunt, quod in hac regione scriptum est: GERMALENSE QVINTICEPS APVD AEDEM ROMVLI; VELIENSE SEXTICEPS IN VELIA APVD Aedem Devм Рenativm. GERMALUM a germaneis Romulo et Remo, quod ad Ficum Ruminalem ibi inventi quo aqua hiberna Tiberis eos detulerat in alveolo expositos. VELIAE unde essent plures accepi causas in quis, quod ibi pastores palatini ex ovibus ante tonsuram inventam VELLÈRE lanam sint soliti a quo VELLERA dicuntur.

A nord-ovest del Palatino si protende il colle oggi volgarmente detto il Campidoglio: esso dapprincipio ebbe il nome di Saturnio per la tradizione, che fu la sede del re Saturno, il primo che si assegna alla dinastia degli Aborigeni: dopo fu appellato Tarpejo, per la vergine romana di questo nome ivi spenta dai Sabini nella guerra fra Romulo e Tazio: e finalmente Capitolium e mons Capitolinus a cagione del cagione del capo umano rinvenuto a'tempi di Tarquinio Prisco, allorchè furono gittate le fondamenta del tempio di Giove, che perciò assunse anche esso il cognome di Capitolino. È dal nome Capitolium che con istrana corruzione deriva quello odierno di Campidoglio, potendosi con tanta maggior proprietà di forma italianizzare Capitolio. Veggansi su tali nomi, e su tali origini quanto ne scrissero Varrone, Dionisio, e Livio. Questo colle è ancora oggi coperto di edificii publici e di case private; nulladimeno la rupe originale in varii luoghi apparisce in modo che può asserirsi, dopo tanti secoli non aver cangiato configurazione. La pianta assomiglia ad una ellissi prolungata, di cui le estremità curvansi verso occidente, e si innalzano a modo di promontorii, lasciando fra loro un seno. Il Brocchi nella opera citata dello Stato Fisico del Suolo di Roma diè una sezione geologica di questo monte famoso Tav. I. n. 1, dalla quale apparisce, che in generale la sua massa è un tufa litoide di color rosso bruno, o lionato con macchie di tinta più carica, o aranciata, che dipendono da frammenti di lava scoriacea, la cui tessitura si accosta a quella della pomice. La frattura è terrosa in piccolo e pende in grande alla concoide ed è abbastanza duro per potere essere messo in opera come pietra di fabbrica. Contiene amfigene bianche farinose, squamme di mica bruna, cristalli di pirossena nera e verdognola ed

assai di rado qualche scheggia di feltspato. Talvolta ancora racchiude pezzetti rotondati di lava nerastra, ciottoli di calcaria e rottami angolari di questa medesima roccia. Questa descrizione magistrale del Brocchi, che mostra questo prodotto vulcanico del suolo romano dovea inserirsi, non tanto ad illustrazione della natura della massa del monte Capitolino, quanto perchè questa materia fu usata neʼtempi antichi e tuttodì si usa nelle fabbriche di Roma. Ma non è la sola che costituisce la massa di questo colle, sebbene sia la principale. Nella falda bassa del promontorio occidentale rivolta al Palatino trovasi un banco di tufa granulare di color bigio verdognolo. La base di questi prodotti vulcanici sono depositi originati nelle acque del mare; il geologo sovrallodato notò ne' sotterranei dell' ospedale della Consolazione, che s'internano sotto la rupe gli strati seguenti, cominciando dal più basso: 1o banco di argilla bruna, semisolida, che non si stempera nell' acqua, nè si attacca alla lingua, sparsa di tenuissime squamette di mica argentina; posta nell' acido nitrico cagiona una passeggiera effervescenza: 2o Calcaria compatta, bruna, di frattura liscia e concoide attraversata da sottili vene di spato bianco; si discioglie lentamente e non compiutamente nell'acido nitrico che riman tinto di giallo; forma in mezzo alla suddetta argilla strati dell' altezza di uno a due pollici ripetuti a differenti intervalli: 3o banco alto 4 piedi formato di sabbia grigia debolmente agglutinata composta di grani di tufa, particelle calcarie di molte squame di mica con uno strato di calcaria compatta: 4° banco di argilla giallastra sparsa di rari e piccolissimi punti luccicanti, che si stempera nell' acqua e non sobbolle negli acidi, alto piedi 2: 5o banco di tufa granulare nerastro con ciottoletti di ghiaja calcarea alto piedi 5: al quale è sovrapposto un altro ban

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