Immagini della pagina
PDF
ePub

A Marco Agrippa in aedilitate post consulatum per meatus corrivati septem amnes, cursuque praecipiti torrentium modo rapere, atque auferre omnia coacti, insuper mole imbrium concitati vada ac latera quatiunt aliquando Tiberis retro-infusi recipiunt fluctus, pugnantque diversi aquarum impetus intus et tamen obnixa firmitas resistit.Trahuntur moles internae tantae, non succumbentibus causis operis: pulsant ruinae sponte praecipites, aut impactae incendiis: quatitur solum terraemotibus: durant tamen a Tarquinio Prisco annis DCC prope inexpugnabiles. E narra come tale lavoro venuto a tedio ai Romani, che doveano farlo, riguardandolo come lungo e pericoloso, pericoloso, cominciarono a darsi piuttosto la morte, onde quel re, affine di porre un termine a tali suicidii fece appendere a croci i corpi de' trapassati a terrore de' cittadini e lasciandoli preda delle belve e degli uccelli, espediente che ebbe un pieno effetto sulla moltitudine. Aggiunge poi averle fatte così ampie da potervi passare un carro altamente carico di fieno: Amplitudinem cavis eam fecisse proditur ut vehem feni large onustam transmitteret. Simile encomio di questo lavoro fa Cassiodoro Varr. lib. III. epist. XXX. ai tempi di Teodorico l'anno 496 della era volgare: Videas illic fluvios quasi montibus concavis clausos per ingentia stagna decurrere: videas structis navibus per aquas rapidas non minima sollicitudine navigari, ne praecipitato torrenti marina possint naufragia sustinere. Hinc Roma singularis quanta in te sit potest colligi magnitudo. Quae enim urbium audeat tuis culminibus contendere, quando nec ima tua possunt similitudinem reperire.

Secondo i passi testè riferiti di Dionisio e di Plinio fu Tarquinio Prisco che questi importanti lavori intraprese, e con loro accordasi Livio lib. I. c. XXXVIII

il quale enumerando i grandi lavori di quel re dice, che vedendo che i luoghi bassi della città intorno al Foro, ed alle altre convalli frapposte ai monti non scaricavano facilmente le acque, li disseccò collo scavare cloache dalla parte più alta di esse verso il Tevere et infima urbis loca circa forum aliasque interiectis collibus convalles, quia ex planis locis haud facile evehebant aquas, cloacis e fastigio in Tiberim ductis siccat. Laonde lo scopo primitivo di questi lavori fu disseccare delle acque stagnanti i luoghi bassi della città. A quella epoca Roma comprendeva soltanto quattro de' sette colli, cioè il Palatino, il Capitolino, il Celio, e l'Aventino, onde i luoghi soggetti ad impaludare erano principalmente il Foro colle sue adiacenze, il Velabro, la valle Murcia, e l'Argileto, e perciò in questo tratto Tarquinio aprì i canali, i quali nello stesso tempo servirono, a condur via le acque sorgenti a piè de'colli, quelle avventizie delle pioggie, e col loro mezzo le sozzure. E siccome cluere, o cluare dicevasi il pulire, o purgare, perciò a tali canali fu dato il nome di cloacae, o cluacae, donde ne' tempi bassi derivò il nome di cluvaca, e ne'moderni quello di chiavica. Dopo furono da Servio inclusi nella città l'Esquilino, il Viminale, e la massima parte del Quirinale, insieme colle convalli intermedie, quindi i lavori del primo Tarquinio non avrebbero potuto supplire al bisogno, nè potevansi in quelle cloache unire tutte le correnti, che scendevano da que'colli così estesi. Laonde Tarquinio il Superbo, che diè compimento a tante opere dell'avo perfezionò ancor questa. Egli diresse verso il Foro per canali separati le acque deʼmonti sovraindicati, ed ivi aprì un canale generale, magnifico, atto non solo a ricevere tutte queste insieme riunite, ma ancora quelle condottate dal Prisco, ed a questo canale, come il più

grande, diessi il nome di Cloaca Maxima, opera veramente sorprendente per grandezza, e solidità, alla quale principalmente si riferiscono gli encomii riportati di sopra. Testimonianza chiara di questo fatto abbiamo in Livio lib. I. cap. LVI. ed in Dionisio lib. IV. c. XLIV; ma specialmente nel primo, il quale asserisce, che il Superbo circa l'anno di Roma 220 non solo si diè a terminare il tempio di Giove Capitolino servendosi della plebe per operai, e che questa volentieri si sottomise ad un lavoro che riguardava l' onor degli Dei, ma poscia la rivolse a cose più basse, come quelle di fare i palchi del circo, e scavare sotterra la cLOACA MASSIMA destinata a ricettacolo di tutte le immondezze della città, opere, dice egli, le quali appena in qualche parte poteva eguagliare la magnificenza augustale di Roma de'giorni suoi foros in circo faciendos, CLOACAMQUE MAXIMAM, receptaculum omnium purgamentorum urbis, sub terram agendam: quibus duobus operibus vix nova haec magnificentia quidquam adaequare potuit. Questi ultimi lavori però altamente indispettirono il popolo, siccome ricavasi ancora da Dionisio, il quale c. LXXXI. mostra, che Bruto nella gran concione doро la morte di Lucrezia particolarmente toccò questo punto dicendo: «e vi forza quali schiavi prezzolati a <«< menare una vita miserabile e vergognosa facendovi tagliar pietre e recidere selve, portar pesi, e passare « i giorni vostri in oscure, e profonde voragini, senza << accordarvi il più leggiero riposo da tante pene ». Riman chiaro pertanto, che le cloache furono da Tarquinio Prisco introdotte in Roma e dal suo nipote compiute colla grande opera della cloaca massima, della quale più sotto particolarmente ragionerò, come di un monumento ancora superstite. Queste cloache fatte dai re furono scavate secondo l'andamento delle vie e dei

«

vici allora esistenti. Avvenuta però la catastrofe della presa e dell'incendio di Roma per opera de'Galli l'anno 365 dopo la fondazione, Livio lib. V. c. LV. mostra, come nel riedificamento tumultuario della città non si badò punto al luogo de' nuovi edificii purchè entro l'anno venissero ricostrutti, quindi le cloache che prima andavano sempre per l'area publica, cioè sotto le piazze e sotto le strade vennero a passare sotto le fabbriche de'privati, inconveniente che continuava ancora a'giorni suoi Festinatio curam exemit vicos dirigendi, dum, omisso sui, alienique discrimine in vacuo aedificant: ea est caussa, ut veteres cloacae primo per publicum ductae nunc privata passim subeant tecta, formaque urbis sit occupatae magis, quam divisae similis. L'Aventino però ed alcune altre parti di Roma erano rimaste senza cloache fino all'anno 568 di Roma, allorchè i censori Marco Porcio Catone, e Lucio Valerio Flacco le fecero costruire, e nello stesso. tempo fecero nettare quelle di già esistenti, siccome narra Livio lib. XXXIX. c. XLIV: detergendas que, qua opus esset cloacas, in Aventino et in aliis tibus, qua nondum erant faciendas locaverunt. Forse a questo nettamento si riferisce ciò che dice Dionisio nel passo allegato di sopra. L'anno 721 di Roma narra Dione lib. XLIX. c. XLIII, che essendo Agrippa edile purgò a spese sue le cloache, e per esse uscì in barca nel Tevere, prova della loro capacità: μndy Ex TOU δημοσιου λαβών ...... τους τε ὑπονομους εξεκάθηρε και ες τον Τιβεριν δι αυτῶν ὑπέπλευσε. Fu in tal circostanza, che scaricò in esse il sopravvanzo degli acquedotti, che serviva a lavarle, siccome si trae dal passo di Plinio riferito di sopra. Egli ne costruì ancora delle nuove nel Campo Marzio, dove fabbriche così cospicue edificò, e particolarmente opera sua dee credersi quella grande al

par

ta 9 piedi, larga 12, scoperta a'tempi di Urbano VIII. sulla quale leggasi la relazione data a quel papa da Cipriano Cipriani, e publicata nel Tomo II. della Miscellanea Filologi ca Critica Antiquaria di Fea.

Durante la republica, finchè vi furono censori, a loro appartenne la cura delle cloache, come mostrano i passi di Dionisio e di Livio ricordati di sopra. Sotto Augusto questa cura assunse Agrippa, come edile, secondo ciò che narra Dione. Svetonio nella vita di quell'imperadore c. XXXVII. mostra, che egli creò nuove cariche col titolo di Curatores viarum, aquarum, alvei Tiberis; egli non ricorda i Curatores Cloacarum, che frequentemente s'incontrano nelle lapidi del secondo secolo della era volgare, e che nello stesso tempo univano la cura delle ripe e dell'alveo del fiume, i quali perciò sospetterei, che fossero istituzione di Adriano, che tante riforme apportò nell'amministrazione interna di Roma, come di tutto l'imperio. Dopo Costantino però sembra che l'officio della cura delle cloache fosse riunito alla prefettura della città, e tale rimaneva ai tempi di Teodorico, come del passo citato di Cassiodoro nella lettera diretta da quel re ad Argolico prefetto di Roma l'anno 496 della era volgare apprendiamo, dal quale apparisce, che continuava ad aversene cura. Sopraggiunte dopo le grandi sciagure di Roma queste opere non solo furono trascurate, ma ancora andarono per la caduta degli edificii soggette ad essere interrotte, ed in tutto il lasso de' secoli di mezzo una sola memoria ho incontrato di lavori su tal proposito fatti da Gregorio IX nel primo periodo del secolo XIII. circa l'anno 1230, poichè riferisce il card. di Aragona nella sua vita, che quel papa ripulì le vecchie cloache, e ne fece delle nuove. Queste, come altre costrutte dopo il risorgimento di Roma dal secolo XV in poi fa

« IndietroContinua »