Natìo borgo selvaggio: romanzo

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Fratelli Treves, 1927 - 283 pagine
 

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Parole e frasi comuni

Brani popolari

Pagina 129 - Zotica, vii; cui nomi strani, e spesso Argomento di riso e di trastullo, Son dottrina e saper; che m'odia e fugge. Per invidia non già, che non mi tiene Maggior di...
Pagina 49 - ... misteri della macchia e ai folli inviti del mare, che andar dietro ai campanacci fino alla miseria del paesetto annidato come un falco a piè della ròcca cadente tutta rilegata e sorretta quasi a prodigio dalle verdi sassifraghe, e tolse domicilio in maremma. Invece delle pecore al salto dalle correnti fresche e limpide, condusse gli stalloni biondi per le prata interminabili, li fece girare a tondo colla frusta lunga, lottò con loro per abbatterli quando il ferro rovente dovesse marcarne sopra...
Pagina 47 - ... fanno altro ; se qualcuna si ferma e ristà dal gioco ostinato contro le mosche d'acciaio e i tafani azzurri, caccia un muglio lamentoso che empie tutto l'arco del cielo ea cui subito risponde come un'eco l'ululo sordo del mare. Un solitario nuvolo rotondo nuota in una pozza d'acqua cilestrina tutta increspata di mobili rughe e davanti gli passa, offuscandolo un breve istante, qualche sperduto volo di corvi. È la calma immensa delle lande ; il respiro formidabile della libertà piena ed intera,...
Pagina 46 - ... il perchè, lo sèguita concorde colle criniere che svolazzano e le lunghe code a tromba sconvolte dalla corsa furibonda; più lunge, dietro una staggionata rada, branchi di bufale si spolverano incessantemente i fianchi aguzzi colle nerborute ferze fioccose; non fanno altro; se qualcuna si ferma e ristà dal gioco ostinato contro le mosche d'acciaio ei tafani azzurri, caccia un muglio lamentoso che empie tutto l'arco del cielo ea cui subito risponde, come un'eco, l'ululo sordo del mare.
Pagina 49 - Meschino; poi, a veglia, raccontava in ottave improvvisate, coll'ultimo verso a cui si doveva accordare sempre il primo di quell'altra strofe, tutte le cose che sapeva; improvvisava per il gusto di cantare; s'abbandonava alla rima, lunga, tenuta molto sopra una sola nota tremante, mentre il pensiero cercava l'altro verso, così come il rusignolo si abbandona al gorgheggio variando infinitesime volte il medesimo tema.
Pagina 48 - ... latte, l'abbaiare dei cani da guardia riccioluti colle code a punto interrogativo, finiscono tal volta per accordarsi nel cervello in un unico ritmo, battendovi per entro implacabili per ore e ore fino all'esasperazione, fino allo spasimo. Innanzi a tutti, sul cavallo peloso, incastrato nella sella dall'arcione altissimo di cuoio imbullettato, col fucile a traverso, gli stivaloni di pelle di bufalo, la barba lunga, la pipa corta, il cappello a grondaia, il vergaro guida la schiera. Dietro, di...
Pagina 49 - ... lume di luna, sfila tra i pini e le querci dei boschi, abbandona il bianco nastro d'una via provinciale e si tuffa nel nero d'una foresta e pare, vista da un monte, la tregenda che a mezzanotte si mette in cammino pel mondo attraverso ai sentieri deserti. Stinchi fece, rifece innumerevoli volte quei viaggi, aiutò a costruire la vergherìa, imparò a conoscere la posizione delle stelle nelle lunghe notti passate di sentinella all'armento, a mungere le madri dal bèlo roco, a far ricotte, a tesser...
Pagina 47 - ... ciglia selvagge abbassate sopra le pupille di fiamma, la bocca aperta, la mano sinistra abbandonata che ha lasciato sfuggire la pipa, il petto largo e seminudo color del bronzo che si solleva e s'abbassa misurando il respiro a quello del mare, dorme tranquillo, senza sogni, vedendo soltanto un cielo nero punteggiato di stelle. Noi dunque per far la conoscenza di Stinchi, il giovine buttero, bisogna venire a cercarlo qui. Non è maremmano ; è della montagna senese ; pativa la fame, migrò cogli...
Pagina 49 - D'intorno era la pace solenne della notte; le pecore dormivano dentro la rete, ei vergai, i brescini ei bagaglioni rimanevano col filo della fiscella a mezz'aria, estatici ad ascoltare, rapiti da quei fantasmi. Il giovinotto s'abituò alla Maremma, imparò ad amarla, sentì di non poterne più fare a meno, e come primavera riconduceva le mandre alle montagne native ei cavalli nitrivano nei piani ondulati e soffici di strami verdissimi lungo l'Osa e lungo l'Ombrone mentre i butteri li conducevano...
Pagina 12 - Foffo era un bracconiere un po' più anziano di me; si chiamava Adolfo, ottima ragione perché tutti l'appellassero Foffo; avrebbe dovuto fare il fornaciaio, ma compariva regolarmente solo quando facevano fuoco, cioè quando, giusta la costumanza, gli opranti mangiavano il « peposo », uno stufato terribile di muscolo con pepe, zenzero...

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