le voci vernacole CHICHIRICHÌ, CHIGIA, CHIMINI, ziane antiche, per esempio le prose e i versi di Andrea Calmo stampati nel 1563, noi vi troviamo delle sconciature ortografiche, che fanno arricciare il naso e che rendono talvolta oscuro e inintelligibi-suoni diversi o sia due diverse inflessioni per prole il sentimento. Dario Varotari, che fu nel secolo posteriore, è un po' più corretto, ma lontano dall'imitare colla scrittura la semplicità del nostro par lare. Carlo Goldoni scrittore del secolo ultimo scorso dovrebbe anch'egli aver conosciuto questa regolà e aversene fatto carico; ma o ch'egli la credesse inutile, o che volesse seguitare gli usi de'suoi contemporanei, o forse che avesse lo scopo d'essere più facilmente inteso da' Toscani, le prime ediziori delle applaudite sue opere veneziane sono zeppe di queste cacografie, le quali però nelle ristampe e molto più nelle recenti, si veggono a bastanza corrette. Ma comunque sia il fatto e l'opinione in contrario, poichè da un canto non abbiamo precet ti che ci obblighino di scrivere a modo altrui, e siam dall'altro suffragati dalla ragione e dal buon senso, noi adotteremo alcune regole che crediamo proprie a scrivere correttamente nel dialetto nostro fissandone de' principii. I. Tutti gli usi e le regole della grammatica italiana sono mantenuti ove non siavi il contrasto della pronuncia che alteri la parola. Si mantengono gli accenti, gli apostrofi, l'interpunzione e tuttii segui adottati dalle scuole. Il DA verbo si accentna per distinguerlo dall' articolo; l'HA verbo (sebbene più spesso si muti in GA) si scrive coll'aspirata per non confonderlo col segnacaso e simili. II. Mai non si raddoppiano le consonanti, se non in quanto sia necessario ad esprimere la parola. Quindi scriveremo SPESSO, LESSO, CASSA con due ss; così STRAMAZZO, BULEZZO, GRAMAZZO e simili con due zz per la necessità della pronuncia. Gli articoli Della, Dalla, Colla che da noi si esprimo no con una sola consonante, si scrivono DE LA, si scrivono DE LA, DA LA, CO LA; in conseguenza DE L', DA L' ec. II. I Veneziani non usano pronunziare il Ci e Ce come i Toscani, ma dicono Cera, Cerchio, Certo, Cicerone, come se in vece di C vi fosse una Z aspra auzi per meglio dire, a quella stessa maniera oude i Latiui pronunciavano il Ti, come sarebbe nelle voci Citius, Duratio, Tertius, Ratio,ec. e così pronunziano modernamente anche i Franzesi egl'Inglesi. Quando leggiamo Chiamare, Chiodo, Chiave, Chiesa e simili, noi le pronunciamo come pronuncierebbero i Toscani CIAMARE, CIODO, CIAVE, CIESA, senza l'aspirata. Tra CITO, CIBIBO, e CIBALDON scritti col C e ZITO, ZIBIBO e ZIBALDON colla. Z aspra, noi non facciamo alcuna differenza nella pronuncia. Egli è però vero che qualche volta si pronunzia il CHI naturale, come nel CHINCAGLIE e in tante altre che non sono a confondere colle prime. Abbiamo dunque due C di ferirli. Pesto davanti all'A, O, U, il C ha un suono muto o tondo, come in COSTA, CARO, CUOR, CA MELO, CAMISA ec., posto dinanzi all' E ed all'1, come in CENA, CERTO, CINTO, CIBO non va da noi pronunciato schiacciato o aspirato come dai Toscami: onde ne viene che nelle voci vernacole CHIAVE CHICARA, CHIACOLE, CHIESA, CHIAMOR, CHICONA fa d'uopo tra il c e l' interporre l'acca, altrimenti diremmo come se fosse scritto CIAVE, CICARA, CIACOLE, CIAMÒR, CICONA; e quindi se ad alcuno saltasse il grillo di scrivere in questa guisa, dovrebbe necessariamente alterarsi l'ordine dell' alfabeto e mettersi in dichiarata ed assurda contraddizione l'ortografia della lingua vernacola colla pronuncia. Per far conoscere la differenza del C schiacciato o aspirato dall'altro di suono muto o naturare, ci vorrebbe una specie di segno, ed io era veramente tentato d'imitar l'esempio de' Frauzesi e di mettere sotto il C medesimo quella virgoletta ch'essi chiamano Cedille: onde scrivendosi, per esempio, CHIAVE, CHICARA, CHIARE, CHIAMOR, CHICONA, SCHIAPIN, SCHIAPAR, SCHIOPO e sinili, si facesse con quel seguetto sottoposto conoscere come la parola dovesse essere all'uopo nostro pronunciata. Ma avendo dopo qualche riflessione osservato che una tale innovazione pubblicata dall'Autore limitatissimo di questo Dizionario, avreb be forse dato motivo d'una critica senza confine dal canto di coloro che sono tenaci degli usi antichi; che d'altro canto quasi tutte le lingue Europee, ma in distinto modo la Frauzese, si pronunziano differentemente dalla scrittura; e che questo mio libro non è distrettamente che ad uso de' Veneti, i quali m'intenderanno benissimo a prima giunta : ho pensato per tutto ciò di lasciar le cose nello stato primiero, ma non di meno di render noto il mio pensiere per abbandonarlo agli studii ed alla cura di qualche altro zelante dell' ortografia vernacola, il quale saprà forse inventare e suggerire un espediente migliore. E qui ripetiamo Aliis post me menoranda relinquo. IV. Voi sentirete che non solo la plebe Vereta, ma molte altre persone hanno il bel vezzo di pronunziare il CE e il CI ed anche la z aspra, come se fossero una s dolce. Dicono per esempio SINQUE per Cnque, SINQUESSENTO per Cinquecento, SEOLA per Ceola, SENDA per Cendà, SIEVOLO per Cievolo; così pure CUSSO per Cuzzo, FASSA per Fazza, SARSEGNA per Zarzegna, SATA per Zata, Zata, SARATAN Zaratan ec. Ma questo per non è che appunto un vezzo o mendo, contratto fin dalla fanciullezza per l'ignoranza o l'inavvertenza di chi insegna a parlare: maniera o uso particolare d'una parte del popolo, eccezione della pronuncia. Ho sentito qualche zelante dell' ortografia ad opinare che così dunque si dovesse scrivere come la maggior parte pronunzia. Guardi Dio ch'io sia giammai per adottare una tale opinione. Non troverassi alcun Autore Veneziano antico o moderno, comunque egli stesso così parlasse, che siasi pensato di scrivere in cotal guisa: e questa sola sarebbe una buona ragione; ma v'ha poi l'altra che converrebbe alterare anzi capovolgere l'ordine alfabetico di migliaia di voci, e che quindi molti si discervellerebbero cercando all'uopo qualche pauopo qualche parola nel Dizionario. noi V. Dicono i Toscani ed anche i Lombardi che noi non sappiamo ben pronunciare il gi avantelle: per esempio le parole Pacotiglia, Spadiglia, Maniglia, Pastiglia, nè Artiglier, Artiglicria, perchè essi vi fanno appena sentire il g, e a pare che dicano Pacotilia, Spadilia, Manilia, Pastilia, Artilier, Artilieria: laddove noi le pronunciamo come se fosse scritto PACOTILGIA, SPADILGIA, MANILGIA, PASTILGIA, ARTILGIER, ARTILGIERIA. Questa nostra maniera di pronunciare è verissima, e mi era per ciò venuta la tentazione di scrivere tali e simili parole nel modo preciso come. suona all' orecchio che siano da noi proferite. Ma avendo poi riflettuto che mi sarei troppo discostato dall'uso comune senza bisogno; che dovevasi per ciò stesso alterar l'ordine alfabetico; e che d'altronde non è questa che, una maniera nostra di pronunciare, la quale, volendo, si potrebbe facilmente correggere : ho pensato di pigliarmela in baia e di non far torto all'ortografia ordinaria, libero già a noi di pronunciare secondo il nostro uso. VI. Nella pronuncia nostra non si fa alcuna differenza tra l'sc el's o due ss. Diciam, per esempio, Pesce, Scialacquamento, Sciatica, Scimia, come se fosse scritto PESSE, SIALAQUAMENTO, SIA TICA, SIMIA. In questa parte ho creduto necessaria e permessa una novità, aderente però alla semplicità della nostra pronuncia, cioè di non far mai sc, ma di attenermi alla maniera più semplice dei due ss o del solo s rispettivamente. VII. II XE poi, che ci tramandarono i nostri maggiori, voce di frequentissimo uso, benchè da altri sia stato scritto talvolta SE, forse per l'inflessione dolce o affettata con cui taluno lo pronuncia, il XE, dissi, bisogna lasciarlo originale com'è, per non confonderlo col SE dubitativo, ovvero col SE, Siete. Vedasi la voce XE nel Dizionario. Queste sono le poche regole o canoni ch' io X mi prefissi d'osservare sulla ortografia del dialetto: dichiarando però che non intendo di leggere in cattedra, nè di fare il saccente, ma di esporre Jiberamente il voto mio, posto che la volontà di studiare la buona lingua comparata alla nostra, mi fe ce intraprendere e condurre a qualche discreto termine un'opera tanto laboriosa e affatto nuova, la quale non è forse che un saggio di quella migliore che potevasi fare e che un di sarà fatta, come spe ro, da quello stimabilissimo mio amico zelante delle cose patrie, che la fa ora comparire alla luce. Nel chiudere il mio discorso preliminare, deb-. bo pubblicare e manifestare la mia gratitudine generalmente a tutti quelli che contribuirono alla compilazione ed al lazione ed al vantaggio di questo Dizionario. E singolarmente mi protesto obbligatissimo alla Commissione dei rispettabili Soggetti, stata nominata a mia richiesta dall'Ateneo Veneto l'anno 1821 per esaminare con occhio critico quest'opera: nella qual Commissione si distinsero in ispezial modo li Signori Av. vocato Gio. Francesco Avesani, Dottore Filippo Scolari e Abate Pietro Pasini. Fo egualmente pubblici i miei ringraziamenti all'eruditissimo Dottore Paolo Zannini, a quel tempo Segretario perpetuo dell' Ateneo medesimo, pe'suoi riputati giu. diziosi consigli diretti alla correzione ed al miglioramento dell'opera, de'quali cercai d'approfittare nell'ultima ricopia; e desidero di averlo fatto secondo la sua vera intenzione. Ringrazio in distinto modo il Nobil Uomo Nicolò Contarini del fu Bertucci, egregio cultore nelle scienze di storia naturale anche della parte ornitologica, per le memorie da lui favoritemi con tanta bontà su questo argomento; come pure il chiarissimo ora Pubblico Professore di Storia naturale a Padova Dottore Stefano Andrea Renier, al quale sono dovuti i miei primi lumi sulla zoologia del mare; all' ingrandimento e perfezionamento della qual parte ha poi moltissimo contribuito il giovane Dottore di medicina Gio. Domenico Nardo di Chioggia, studioso appassionato di questa scienza, che vedesi a suo onore nominato in tanti luoghi del mio libro, ov'egli spiegò le sue teorie così per la correzione degli errori, che v'erano nella nomenclatura ittiologica, come per li nuovi individui marini da esso conosciuti, anatomizzati e nominati.. Ho fatto in fine quel che ho potuto e saputo. Lascio ad altri la palma di migliorare e perfezionare la mia opera e di riprodurla quando che sia più degnamente; e conchiuderò, come disse nel 1805 il Sig. Abate Francesco Nannini pubblicando il suo Vocabolario portatile Ferrarese-Italiano, io avrò sempre la compiacenza di poter dire: EGO PLANTA VI. A INDICE DEGLI AUTORI E DE' LIBRI CONSULTATI PER L'OPERA PRESENTE. Vocabolario Ferrarese Italiano dell'Abate Francesco Nannini. Vocabolario Mantovano-Italiano di Francesco Cherubini. Dizionario militare italiano di Giuseppe Grassi di Torino. Vocabolario agronomico italiano di Gio. Batista Gagliardo. Vocabolario della Musica. Le Istituzioni botaniche di Targioni Tozzetti. Il Giardiniere avviato, del Cav. Re. Catalogo degli uccelli della provincia Pisana del dottore Paolo Savi. Trattato degli alberi della Toscana di Gaetano Savi Professore di botanica a Pisa. Le Memorie venete dell'Abate Gallicciolli. Delle pompe nuziali già usate presso i Veneziani: Dissertazione dell' Abate Iacopo Morelli. Origine delle feste Veneziane della Nobil Donna Giustina Renier Michiel. La Zoologia Adriatica dell' Abate Olivi di Chioggia. Dizionario etimologico scientifico di Verona. Il Vespaio stuzzicato di Dario Varotari, Satire, stampa Illustrazione d'un antico sigillo di Padova. Parma 1800. te a Venezia nel 1671. Lettere e Rime di Messer Andrea Calmo Veneziano.. Le Commedie dell' Avvocato Carlo Goldoni. Vocabolario Milanese-Italiano di Francesco Cherubini. in 4to. Teoria e pratica del nuovo sistema di misure e pesi. Osservazioni su alcune voci del dialetto veneziano, Scrit tura inedita del signor Francesco Negri, comunicata all'Autore dalla gentilezza del chiarissimo signor Emmanuele Cigogna, legatario de' Manuseritti di quell'illustre suo, amico |