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tosto di suonar la chiamata, e con quel falso all'arme scaccia in fuga gli assalitori (1).

Di quivi Nicolò con ottanta compagni muoveva a Milano per concertare col duca Filippo Maria le future operazioni di guerra. Ma nella Lombardia un nuovo condottiero e nuovi avversarii stavano per venirgli a fronte; il qual condottiero, dopo essere stato il più fido sostegno, e l'anima, e la salvezza di Filippo Maria Visconti, ora in sembianza d'esule e di nemico accendeva delle sue furie Venezia, affine di indurla ad entrare in lega coi Fiorentini contro a quel tiranno (diceva egli), schernitore di patti, ambizioso, potentissimo, che oltre gli Apennini, oltre la Lombardia aveva disteso i suoi disegni, e colle vittorie d'Anghiari e di Zagopara, e co' recenti acquisti d'Imola, di Forli, di Lugo e di Forlimpopoli minacciava l'Italia, non che Verona e Padova, di servitù.

II.

Era questo condottiero Francesco Bussone, già ricordato altra volta, le cui vicende, per non interrompere il filo della narrazione, riassumiamo in questo luogo. Carmagnola, non dispregevole terra del Piemonte, gli diè nome e oscuri natali verso il 1590. Invogliato al mestiero del soldo dal luccicore delle armi e dalle parole d'un venturiero Tendasco, ancora imberbe lasciò di pascere le vacche, e seguitollo sotto le insegne di Facino Cane. Gagliardo animo in gagliardo corpo, costanza, ardore ad ogni pericolo, furono le doti che gli acquistarono in breve la stima del suo

(1) Spirito, L'altro Marie, c. XXXI.

capitano; pur non ne potè mai ottenere una condotta maggiore di dieci cavalli; e di ciò avendo taluno mosso rimprovero a Facino: « costui è tale (rispose lo scaltro condottiero, alludendo al Carmagnola) che come abbia gustato un po' d'onori non fia mai che s'acqueti; ně hacci peggio arroganza di quella dei villani » (1),

Morto Facino, Francesco si offerse tosto ai servigi A. 1412 di Astorre Visconti, che macchinava d'insignorirsi di Milano; però, non piacendogliene i patti, preferi servire il ducă Filippo Maria, a cui pocʼanzi aveva salvato la vita in Pavia. Quivi picciol tempo gli fu soverchio per crescere a fama ed a potenza meravigliosa. Un di, essendogli mancato un attimo a pigliar di sua mano sotto Monza la persona medesima di Astorre, venne dal duca preposto ad una squadra di cavalli ; quindi ogni nuova guerra, ed ogni fatto d'arme gli fu sgabello a salire. Le usurpazioni dei condottieri di Gian Galeazzo il condottiero di Filippo Maria felicemente distrusse; e Monza, Alessandria, Trezzo, Parma rieuperate, Brescia e Bergamo ritolte al Malatesta, Cremona rapita al Fondulo, Piacenza a Filippo Arcelli, Reggio àstretta a tributo, Genova e le riviere sottomesse, insomma il retaggio di Gian Galeazzo ristaurato non solo, ma fatto più grande e luminoso, tutto ciò era opera bilustre delle indefesse fatiche di Francesco Bussone (2).

Nuovi nemici e sconosciuti all'Italia assalirono nel 1422 le terre del duca di Milano, e con questi ezian

(1) Tenivelli, Biografia Piemont., t. III. — A. de Billiis, Hist. Med. 1. III. p. 40.

(2) A. de Billiis, 40-53. — Corio, 601-629,- Ant. de Ripalla, 876 (t. XX),

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dio il Carmagnola si cimentò. Tre mila Svizzeri armati di spade e di labarde si trovarono presso Arbedo a fronte di 2000 lancie e di 18,000 fanti da lui guidati; nè, quantunque una gran parte dei loro contpagni fosse rimasta addietro, vollero indugiar punto a venire a battaglia. Cominciarono l'attacco i ducali: ging gli Svizzeri attestati a piè colle folte labarde, colle grandi spade l'attesero senza scomporsi. Allora non senza raccapriccio gli Italiani mirarono quei membruti, quà mozzare d'un colpo le gambe ai destrieri, colà, afferratele prestamente colle nodose braccia, stramazzarli al suolo. Finalmente avendo il Carmagnola fatto mettere piede a terra a'suoi uomini d'arme, gli Svizzeri, sopraffatti dal numero, abbassarono le spade, e chiesero di capitolare. Ma la cieca boria dei ducali non si appagò dell'onesto trionfo: ributtata l'offerta, rinnovossi più fieramente la zuffa. Era la bandiera del cantone di Zug caduta a terra sotto al corpo del vecchio Pietro Kolin, che la portava. Il costui figlio rilevolla tutta intrisa del sangue paterno, e tornò a sventolarla agli occhi dei commilitoni. Tal vista ne crebbe l'animo, e ne raddoppiò la ostinazione: continuarono adunque à resistere accanitamente, finchè sopraggiunsero in loro soccorso 600 compagni. Ciò persuase il Carmagnola a ritirarsi negli alloggiamenti, e permettere ai nemici, non vinti, non sbigottili, il ritorno ai patrii monti. Così terminò quella spedizione. Ma la pugna di Arbedo, che precedette di un secolo le famose battaglie di Novara e di Marignano, lasciò negli animi un profondo spavento di cotesta specie d'uomini, che così fortemente resistevano alla grave cavalleria, e che nel patto di Sem

pach avevano giurato di non abbandonare la mischia, quand' anche fossero feriti, nè mai arrendersi, se vinti, o abusar la vittoria nelle femmine, se vincitori (4).

Finqui era giunta la faticosa gloria del Carmagnola: bentosto, come di ragione, cominciò per lui la persecutrice invidia dei mediocri infingardi. Questa diede sembianza di colpa alla grandezza medesima delle sue imprese; talchè il duca Filippo Maria, ognora sospettoso, ed ognora inclinato a timide scelleraggini, dopo essere stato autore a crearla, n'ebbe sbigottimento e cordoglio. Reduce appena dai campi d'Arbedo, fu perciò Francesco inviato in onorato esiglio al governo di Genova (2). Lagnossi: e gli promisero ovemb. di metterlo a capo dell'impresa navale disegnata sopra Napoli: ma quando ogni cosa era pronta per dar le vele, gli toglievano eziandio l'onore di quel comando, per consegnarlo invece a Guido Torelli emulo suo. Poco stante le clandestine instigazioni d'un Erizzo e d'un Lampugnano, che si godevano i primi favori in corte, movevano il duca a ordinare al condottiero di congedare le 500 lancie della propria compagnia.

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(1) J. de Muller, Hist. des Suisses. — A. de Billiis, III. 55. Sismondi, Hist. des Republ. c. LXIII. — Bilib. Pirkeim. Bell. Helvet. p. (Thes. Helvet. hist.).

(2) Hansi negli Archivii Genovesi molte commissioni date a nome del Carmagnola o del suo luogotenente, e del Consiglio degli Anziani, durante il soggiorno di lui colà. Ecco ad esempio il titolo di una del 9 giugno, 1423.

«Nos Franciscus dictus Carmagnola de vicecomitibus, comes « Castri Novi el gubernator januens. pro illust;mo et invictiss. principe dom. D. duci Mediolani, domino Januæ, et consilium! « antianorum et officialium provisionis civitatis Januœ ». Lib. commission. Reipubl. Genuens. MS.

Componevano cotesta schiera i più cari amici e compagni del Carmagnola, coloro insomma che dai primi anni e dal più basso stato avevanło seguito e sollevato ai sublimi gradi, partecipi delle sue glorie, de' suoi pericoli, del nome suo, Tolta quella schiera, ogni impedimento sarebbe stato tolto alle nequitose brame dei cortigiani. Se ne accorse il condottiero, e non obbedi: bensì pregò e scongiurò con umili lettere il duca, a non volerlo spogliare de' pochi seguaci che ancora gli restavano : « di già comando, gloria, esercito, affetto di principe, ogni cosa essergli stata rapita dall'invidia degli avversarii suoi : ultimo conforto a tante perdite essergli l'amistà di alquanti compagni, e questa ancora gli strapperanno?». Ma l'animo di Filippo Maria Visconti, o di chi il reggeva, non era tale da mutarsi per preghiere. Allora l'indole bollente del Carmagnola non trovò più freno: gridò, minacciò, chiese risolutamente commiato; alfine, poichè nè veruna risposta gliene torna, nè forse le sue lettere sono pure aperte, monta a cavallo con pochi seguaci. Giunto a Milano, seppe che il duca era fuori a villeggiare a Biagrasso, e tosto vi si avviò risoluto a discolparsi in persona, ed o riacquistarne la grazia, od allontanarsene per sempre.

Introdotto a mala pena nel castello, ebbe per risposta, non potersi favellare al duca, ma parli all'Erizzo». Instò di nuovo, e con egual risultato ; perlochè salito in furore, sol chiedere, esclamava, perchè gli sia in tal modo disdetta l'entrata al suo principe, quell'entrata che non viene negata ai più vili esser per questo appunto venuto da Genova ; voler vedere il duca, signor suo; ad ogni costo vo

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