Immagini della pagina
PDF
ePub
[ocr errors]

Maria; il quale non veggendo nel supplizio di Sarpellione se non una nuova ingiuria e una più atroce ferita a se medesimo, scriveva incontanente al genero: « non si aspettasse più di rinvenire nell'animo suo paterno quella pietà, che altre volte l'aveva trattenuto sull'orlo del precipizio: essere nei duchi di Milano ancora tanta forza da scacciarlo da quella Marca a lui indegnissimo conceduta in grazia soltanto dei meviti della consorte: il sangue innocente di Sarpellione domandare vendetta; nè l'attenderebbe lungo tempo ». Quindi si confedera col re di Napoli, col papa, e con Sigismondo Malatesta signore di Rimini, e senza indugio mette mano alla totale rovina di Sforza.

Cominciò Ascoli dal rubellarsi al condottiero; ne A. 1415 seguitò l'esempio Rocca Contratta, che gli assecurava i soccorsi de'Fiorentini. Nel medesimo tempo le genti del re di Napoli si avanzavano dall'Abruzzo ad assalire la Marca, e Taliano da Forli e il Malatesta rumoreggiavano dal Riminese, e dietro ad essi marciavano Luigi Sanseverino e Carlo Gonzaga sotto nome di essere soldati della Chiesa, ma parte indotti dall'utile proprio, parte mossi dal duca di Milano. Infine Francesco Sforza, disperando di tenere divisi tanti nemici gli uni dagli altri, nè a tutti insieme potendo contrastare, risolse di abbandonare in loro balia la Marca, disperdere le reliquie del suo esercito in Toscana e nell' Urbinate, e richiudersi in Pesaro ad aspettare gli aiuti promessigli da Venezia e da Firenze. Tanto risolse, tanto esegui; ma rispetto ai soccorsi desiderati ottenne bensì da entrambe le repubbliche molti consigli ed alquanti denari, ma favor d'arme non già; posciachè tutto quel danno essendogli inferito non

a nome del duca, ma de' costui capitani, esse non avevano motivo, così almeno dicevano, di venire

ad aperta guerra.

Portavano i consigli, che allo spuntare della prima- 4. 1446 yera Sforza guardasse di fare una gagliarda punta nell' Umbria e fino sotto Roma: dove il conte dell'Anguillara e i mali umori che vi bollivano, avrebbero fatto il resto. In verità egli vi si recò, ma tardi e con deboli apparecchi: perlochè essendo andata a male l'impresa, si trovò nel ritorno in necessità di errare a guisa di bandito quà e là pei monti che separano Siena da Gubbio, cibandosi a stento di fragole colte a ventura fra gli sterpi (1). A questi disastri s'aggiunse che i nemici astrinsero Alessandro di lui fratello e signore di Pesaro a dimetterne la difesa; sicchè di tanto dominio, di tanti dipendenti e seguaci, nulla più rimaneva oramai a Francesco Sforza, tranne l'amicizia di Federico da Montefeltro conte d'Urbino, uomo per gentilezza di costumi, per amore dei buoni studii, e per fermezza di proposiți degno di lavare il suo secolo da molte macchie.

In tanta rovina porse involontario sollievo a Sforza il duca medesimo di Milano, la cui bramosia di ricuperare Cremona (era questa città, come altre volte narrammo, stata ceduta confermata a Sforza a titolo di dote), diede buona presa ai Fiorentini ed ai Veneziani di intimargli la guerra. Questa perciò si trasferi dalla Marca in Lombardia. Principiaronla, secondo l'uso, dalle macchinazioni, i Veneziani invitando occultamente ai proprii stipendii Guglielmo di

(1) Cron, d'Agobbio, 985 (R. I. S. t. XXI). — Joh. Simon. VIII. 375.

Monferratoe Bartolomeo Colleoni condottieri del duca, ei Fiorentini procurando lo stesso con Taliano da Forli e Giacomo da Caivano, capitani della Chiesa. Riusei il trattato col primo; a Bartolomeo fu cagione

i prigionia; a Giacomo ed a Taliano di morte (1). Tanto animo aveva già inspirato ai principi d'Italia il supplizio del Carmagnola!

Frattanto Michele Attendolo, preposto dai VeneLiani al comando di tutte le armi da terra, s'era con ogni suo potere rivolto alla liberazione di Cremona. Stava già da qualche tempo all'assedio di essa Fran«esco Piccinino: però non così tosto conobbe la mente del nemico, e paragonò le costui forze alle proprie, che non si fidando nè di rimanere ad aspettarlo dentro le trinciere, nè di uscire a far battaglia, raccolse l'esercito ducale al Mezzano. È questa un'isoletta due miglia sopra Casalmaggiore, alquanto rilevata sul Po. Le acque del fiume circondavano da ogni banda il sito per natura fortissimo; il Piccinino lo rese come insuperabile con robusti argini intorno intorno guerniti di bombarde e bertesche; sicchè mediante due ponti di legno comunicanti coll'una e coll'altra sponda poteva egli, come da sicurissimo baluardo, stare attendendo gli avvenimenti, ed o accorrere tosto alla difesa della destra riva del Po, caso che il nemico s'ardisse a passarlo, o piombargli addosso a sua posta sull'altra sponda, o tentare un colpo sovra Cremona, o spingersi all'uopo sul Bresciano.

Tanti vantaggi cosi bene calcolati e prossimi a conseguirsi un sol momento distrusse. Michele At

(1) Cavalcanti, seconda St. c. 41. 52. t. II. Cron. d'Agobbio, 936.-Crist. dla Soldo, 835.

4446

tendolo fece assaltare il ponte che congiungeva il Mezzano al territorio di Cremona. Subito tutti i ducali vi si accalcarono alla difesa. Ciò veggendo, manda 28 7 egli una banda di cavalli con altrettanti fanti in groppa a tentare il guado poco sopra: questi, avendo passato il fiume coll'acqua alle selle, giunsero così all'improvviso e furiosamente addosso alle genti del Piccinino, che l'urtarli e il romperli, lo sgominarli e il confonderli fu opera di pochi istanti. Fra quel tumulto l'Attendolo sforzava il ponte, prorompeva negli alloggiamenti, e senza opposizione se ne rendeva padrone. Allora i nemici si diedero a fuggire, e, tagliatosi alle spalle il secondo ponte, senz'armi, senza artiglierie, senza cavalli e munizioni, si ridussero miseramente sul contado di Parma. Il ricco bottino fu diviso in giusta misura fra i capitani vincitori (1):

(1) Joh. Simonett. 883. —Ammirato, St. di Firenze, XXII 51.- Cristof. da Soldo, 836 (R. I. S. t. XXI).

<«< Presi da cavalli 4000 e più, e tutti i carriaggi loro, << fino le sue femmine e munizioni. E i nostri fecero un gran<< dissimo bottino e molto ben guadagnarono.. E poi fu «diviso il bottino pel capitano e que' condottieri e altri in « questo modo. Al signor Michele capitan generale, cavalli 800. «Al signor Guglielmo di Monferrato, cav. 100. Al signor « Taddeo marchese, cav. 600. A Gentile di Gallamelata, cav. «800. A Uberto Brandolino, cav. 400. A Guido Rangone, cav. «400. A Cristoforo da Tolentino, cav. 100. A mess. Iacopo « Catelano, cav. 200. A Giov. Conte, cav. 100. Alla fanteria, « cav. 500. Alle genti del conte Francesco, cav. 200. Alle << Cernide, cav. 100. E oltre tutti questi cavalli, tutti gli uomini d'arme, carriaggi e vettovaglie, e fino le femmine ch'e<< rano nel detto campo, furono divise, il che è stato per una « somma di gran valuta ». V. Sanuto, p. 1022.

[ocr errors]

A torto Pietro Daru (St. di Ven. 1. XVI. §. 1), riportando questo passo, ch'ei dice tollo da un antico ms., reputa fittizia

[ocr errors]

quindi resto in loro preda tutto quanto il paese racchiuso tra Milano, il Po e l'Adda insino ai laghi.

Codesta giornata cambiò affatto le condizioni della guerra. Il duca di Milano spaventato tornò a inclinar l'animo in favore di Francesco Sforza: questi, geloso dei soverchi progressi dei Veneziani, tornò ad aprire le orecchie alle proposte del duca; e Firenze e Venezia, quando sentirono essere il Visconti in trattato di rappacificarsi col genero, s'arrestarono tutto piene di sospetto e di sdegno. Varie cagioni tuttavia impedivano il conte di condiscendere affatto alle istanze dello suocero: in primo luogo il dubbio di venire riputato traditore della lega; in secondo luogo, e forse più di qualunque altro rispetto, la tema di abbandonarsi in braccio a un principe mutabile e pauroso, dal quale molte volte era stato deluso, e gravemente danneg giato. In queste incertezze cominciò dal fare tregua col re di Napoli e col papa. Di qui i Veneziani argomentarono o fecero le viste di argomentare d'essere 1 marzo ingannati da Sforza; e senz'altro spedirono Michele Attendolo contro Cremona, della quale alcuni traditori facevano sperare agevole l'acquisto. Ma la costoro trama fu antivenuta felicemente da Sforza; ed essendosene Michele partito colle mani vuote e col nome in fronte di fedifrago, quegli ne trasse motivo di romperla affatto coi Veneziani e aderirsi al duca; il quale, cieco e affralito dai vizii, gli aveva già inviata

1447

così fatta divisione per cavalli, come se la parola di cavalli qui dovesse indicare un prezzo convenuto. Basta per smentirlo riscontrare la somma de' cavalli divisi con quella dei 4000 • più cavalli predati, assegnata dal Sanuto medesimo e da Cristofaro da Soldo.

« IndietroContinua »