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e trascinarli ad aperta ribellione. Allora rigetta le proposte di accordo mandategli dalla Reggenza, si dichiara affatto contro di essa, ne arresta i corrieri, ne apre i dispacci, manda la contrada a ferro e a ruba, e si ride delle intimazioni fattegli di bando e di confisca. In tali contingenze la Reggenza formò un esercito, elesse a governarlo Costanzo Sforza e Gian Iacopo Triulzio, e lo inviò contro il Sanseverino. Nè quelli indugiarono a cingere Castelnuovo di stretto assedio; ma quando la terra fu in necessità di arrendersi, Roberto còlla spada alla mano apertasi la via si mise in salvo (1).

Sciolti da quel pensiero, i capitani milanesi si voltarono sul Piacentino e Parmigiano, e vi si insignorirono delle terre possedute da Pier Maria de' Rossi. S'era egli messo sotto la protezione dei Veneziani. Questi presero da ciò motivo per opprimere il duca di Ferrara, sotto scusa che li impedisse dal sovvenire quel loro raccomandato. Ruppergli perciò guerra, e in cotesta guerra tutta l'Italia partecipò. Il papa Sisto IV per la brama d'ingrandirsi alle spese del duca di Ferrara; i Genovesi, i Sienesi e il signore di Rimini per rispetto del Papa si aderirono a Venezia: Napoli, Milano, Firenze, Mantova e Bologna stettero dalla contraria parte. Costoro elessero a condurre la guerra Federico d'Urbino: i Veneziani chiamarono da Siena al loro servigio col grado di luogotenente generale Roberto Sanseverino (2), e gli diedero per

(1) Donati Bossii, Chr. (Milano 1492, senza num. di pag.). Corio, VI. 852. —Rosmini, cit. I. III. 96.

(2) Colla paga di 80,000 ducati, e con gli stessi vantaggi già conceduti al Colleoni. Rosmini, cit. 1. III. doc. 31.

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compagno Bernardino figliuolo di Carlo da Montone. Rapidi progressi segnalarono a prima giunta le fatiche di questi due capitani. Occupato il Polesine di Rovigo, occupato Comacchio e Lendinara, dopo un lungo assedio sulla fronte di Federico d'Urbino s'impadronirono altresì di Figheruolo; per lo che oramai le loro scorrerie si distendevano sino a Ferrara, e molto più in là ne sarebbero andate le armi, se un esercito napoletano capitanato dal duca di Calabria non avesse astretto il Papa a richiamare piucchè in fretta alla difesa di Roma Roberto Malatesta con tutte le soldatesche della Chiesa. Vennero queste a bat24 agos. taglia col nemico a Civita Lavina presso Velletri. Prima della mischia, scôrse il Malatesta tra i capisquadra un giovinetto di nobile presenza e riccamente armato. Chiamatolo a sè, gli domandò chi fosse.

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Son Gian Iacopo Piccinino, rispose il garzone arrossendo. Ebbene! sclamò Malatesta, eccoti una bella occasione di vendicare nel sangue aragonese l'iniqua morte del padre tuo ». Detto fatto, consegnogli il destro corno e mandollo alla pugna: commise il sinistro ai fuorusciti del regno di Napoli, riserbò la battaglia a se medesimo. Entrambi gli eserciti combatterono lungo con disusata costanza e ferocia. Alfine l'arrabbiata foga del Piccinino e la superiorità delle fanterie pontificie, che, inframmettendosi a' cavalli nemici, sbudellavanli alla sicura, costrinsero i Napoletani a volgere le spalle. Roberto Malatesta, accolto in Roma a trionfo, di fatica, o, come si disse, di veleno ministratogli invece di premio, vi mori (4).

(1) Alb. de Ripalta, 967 (t. XX). -Sanuto, 1222. — Ma

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Poche ore dopo la morte di Roberto Malatesta man- 40 7bre cava in Ferrara d'infermità Federico d'Urbino, emulo del padre di lui Sigismondo, e principe, intorno al quale restò in dubbio se meritasse maggiori lodi dalle arti della pace ovvero da quelle della guerra. Nato nel 1422 d'illegittimi natali da Guid'Antonio da Montefeltro, signore d'Urbino, di Cagli, d'Agobbio e di Casteldurante, i nomi di Guido, di Nolfo e degli altri suoi antenati, saliti a fama ed a potenza nel mestiero delle armi, inclinaronlo fino dai primi anni verso questa professione. A ciò lo spingeva eziandio la necessità; posciachè l'origine sua l'escludeva dal seggio paterno in concorrenza d'Oddantonio figliuolo legittimo. Al varcare dell'infanzia ebbe per maestro Venturino da Feltre, il più illustre institutore di quel secolo nelle buone lettere e nel gentil sentire. Quindi una giovenile amistà da lui contratta con un Ubaldino della Carda ed un Guidazzó Manfredi lo indusse ad entrare sotto la disciplina di Niccolò Piccinino, che militava al soldo del duca Filippo Maria Visconti. V'entrò come uomo d'arme, solo, senza seguito, senza danari, senz'apparecchi. Poco stante, essendo morto il padre d'Ubaldino della Carda, e rimastane perciò vacante la compagnia, il Visconti ne distribui il comando tra Ubaldino medesimo e Federico. Era allora l'età di lui verso i sedici anni, e bolliva guerra tra Milano e Venezia. Il giovinetto con

chiav. VIII. 128. —Jac. Volaterr. Diar. Rom. p. 178 (R. I. S. t. XXIII).

quel grado guerreggiò bravamente nel Bresciano contro il Gattamelata, accompagnò il Piccinino in Toscana, e stava appunto occupato a trasportare artiglierie nel Casentino, quando accadde la disfatta di Anghiari.

Essendosi perciò rivolti gli sforzi dei vincitori verso la Marca e la Romagna, ei li sostenne valorosamente, massime contro Sigismondo Malatesta, cui ruppe a Montelocco, e spogliò con ardito colpo di S. Leo, fortissima piazza, che rimase poi sempre nelle sue mani. Di qui i rudimenti della mortale inimicizia tra Sigismondo e Federico, superiormente accennata. Federico militò poscia sotto il Piccinino nell'Umbria, pugnò con Ciarpellone, e dopo la funesta giornata di Montelauro difese per ben 18 mesi la città di Pesaro dalle armi unite di Francesco Sforza e del Malatesta. A. 1444 Da Pesaro un inaspettato evento portollo alla signoria di Urbino. Avevano gli abitatori di essa ucciso Oddantonio fratello di Federico, e vendicato in un istante le oppressioni di molti anni: Federico entrandovi fra le acclamazioni del popolo, giurò perdono e obblio del passato e una nuova era di prosperità - cominciò non meno pei sudditi che pel principe (1).

Era uso dei signorotti della Romagna, che, non potendo colle rendite dello Stato sostenere il decoro conveniente al proprio grado, vi sopperissero colle paghe e cogli acquisti da condottiero; i sudditi, numerosi, agguerriti e poveri, di buon grado li seguivano ad acquistarsi nelle guerre di fuori oro ed onore. Talora quei signorotti concedevano per certo

(1) Baldi, Vita di Federico d'Urbino, L. I.

prezzo ai maggiori principi la facoltà di reclutare soldati nelle proprie terre: più spesso, parte col comando, parte colle allettative, essi medesimi ne levavano il numero pattuito, e li guidavano al soldo altrui. A tale effetto di tempo in tempo si scriveva sui ruoli il fiore della gioventù: al sopraggiungere di un pericolo, al crescere della sua condotta, il signore chiamava a servirlo la quantità d'uomini necessaria, somministrava loro vesti ed armi, distribuiva la presta, ed ecco la compagnia fornita (1). Così le milizie di Urbino, di Rimini, di Faenza e di Città di Castello venivano mantenute a spese di Milano, di Venezia, di Firenze e di Roma: nè ad un bell'uopo mancavano esse alla difesa della patria: imperocchè il medesimo principe solitamente le comandava fuori, e le reggeva dentro; sicchè anzi pel continuo uso della guerra vi si rendevano più atte. Aggiungasi la protezione e la stima, che il principe si conciliava presso gli Stati da lui serviti.

In questo modo il nuovo ufficio di conte di Urbino, anzichè rimuovere Federico dall' esercizio di condottiero, gli prestò i mezzi onde professarlo con maggior vantaggio e magnificenza. Morto Niccolò Piccinino, accettò egli coll' assenso del Papa da Francesco Sforza (il quale non era ancora duca di Milano) la condotta di 400 lancie, e di altrettanti fanti, a comune conservazione degli Stati. Qual fede gli serbasse, ricettando lui perseguitato e misero

(1) Cron. d'Agobbio, p. 996 (t. XX1). — Baldi, Vita di Guidobaldo duca d'Urbino, 1. IX. 121. VIII. 78. Sacchetti, Novella, 119.

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