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tutte che solamente il senno e la perseveranza possono dare.

Frutto di questa vittoria fu un nuovo accordo; in virtù del quale il papa restitui ai nemici tutte le terre rapite loro, e cavò di prigione Paolo e Giangiordano Orsini ma Virginio non già; chè qualche giorno prima la febbre od il veleno lo aveva tolto di vita. Illustre in pace per magnificenza di modi e copia di averi, famoso in guerra per infinita tardità, che allora teneva quasi luogo di scienza, trapassò egli lagrimato non solo da quelli della sua schiatta, che come capo il veneravano, ma dai Vitelli, dai Conti, dai Baglioni e dagli Anguillari, che tutti, uscendo dalla scuola di lui, erano saliti in nome di valenti capitani (1).

V.

Fatto quest'accordo col papa, Bartolomeo d'Alviano, ingegno ardentissimo e pieno sempre di nuovi partiti, si voltò colle sue genti verso la Toscana. Era egli instigato a sommuovere Firenze dai denari e dalle esortazioni di Piero de'Medici, il quale confidando non meno nel malumore che vi aveva destato la carestia, che nella memoria dei suoi antenati, e in certe sue intelligenze con parecchi capi del governo, si persuadeva che il mostrarsi e l'esservi introdotto dovesse essere una medesima cosa. I Vene

(1) Navagero, p. 1211 (t. XXIII). — Giovio, Ist, IV. 207.— Guicciard. 1. III. p. 109.

ziani ed i papa, per particolari fini di utilità, prestavano nascoso favore alla nascosa intrapresa.

Giunti adunque in Siena per disusati cammini, Piero e Bartolomeo vi raccozzarono in fretta 600 cavalli e 400 fanti: quindi con grande segretezza e velocità si avviarono verso Firenze. Era il loro pensiero di arrivare sotto le mura inopinatamente verso il fare del giorno, simularvi un assalto, ed o pel disordine dei difensori, o pel favore dei partigiani entrarvi. Nè forse il pensiero sarebbe riuscito del tutto a vuoto, se una straordinaria pioggia non avesse fatto perdere ad essi troppe ore di marcia. Giunsero adunque sotto Firenze, ma quando il sole già era molto alto ed ogni cosa pronta a buona difesa. In conseguenza non videro altro partito migliore che quello di tornare stanchi e affamati a Siena. Ma tosto l'Alviano ne usciva per occupare Montecchio, ardere Viapiana, e coll'aiuto della fazione de'Guelfi sorprendere e saccheggiare la città di Todi. Alla fine, quando ogni altra speranza di buona ventura gli mancò, passò agli stipendii dei Veneziani. Con codeste arti sapeva egli mantenere la sua compagnia (1).

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Rimaneva tuttavia, quasi stecco confitto nel cuore A. 1498 dei Fiorentini, la guerra infelice di Pisa. Quivi un tragico fine era serbato al vivere sino allora glorioso di Paolo Vitelli. Come capitano generale di Firenze (2) aveva egli molto nobilmente esordito, sia respingendo fin dentro Bibbiena le genti mandate

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(1) Guicciard. III. 127. — Machiavelli, Frammenti, p. 146 (Si cita sempre l'ediz. di Firenze, 1831).

(2) Colla condotta di 300 lancie e 1200 fanti.

dai Veneziani in soccorso di Pisa, sia ravvivando senza indugio l'assedio posto alla medesima città. Di qui la sua rovina: posciachè niuna cosa sia più dannosa all'uomo, che l'ottenere tutta la sua fortuna d'un colpo solo; cessato il quale, restano a suo danno le espettative, scema l'ammirazione e cresce l'invidia; finchè i suoi emuli non giungono a rivolgere contro di lui i doni stessi straordinarii della fortuna.

Tanto avvenne di Paolo Vitelli, allorchè alle sue prime vittorie non seguitarono in modo conforme le restanti imprese! Dapprima ciò parve effetto d'ignavia alla sospettosa moltitudine che reggeva lo Stato: poscia, quando il videro ristarsi dal dare l'assalto alle mura di Pisa, anzi (e ne erano causa le febbri maremmane che decimavano il loro esercito) rallentare le operazioni della guerra, e lasciare andar a male certe artiglierie imbarcate a Livorno, si riscaldarono di maniera che, come erano passati dalla meraviglia alla freddezza e dalla freddezza al dubbio, trascorsero dal dubbio alla segreta accusa, e dall'accusa al giudizio. Aggiunse peso a codesti sospetti la natura di esso lui, vantaggioso nei pagamenti, difficile coi commissarii, altiero, vanitoso. In conclusione l'infelice, essendo stato chiamato sott'altra scusa a Cascina presso i commissarii della repubblica, fu da loro fatto 4 8bre arrestare, e dopo breve esame mandato a morte (1). Nella tortura non aveva confessato verun delitto: pure la testimonianza di un traditore, e parecchie lettere, non so se vere o supposte, di nemici a lui

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(1) Nardi, Storie, 1. III. p. 101 (Firenze 1584). — Guiceiard. IV. 253. - Ammirato, Storie, XXVII. 257.

dirette, il chiarirono, dissesi, reo di colpa capitale. Nè simile infortunio sarebbe stato schivato da Vitellozzo di lui fratello, se mentre, simulando obbebienza, esce dal letto ove era infermo dalle febbri, mentre si veste, e adagio adagio traversa il campo, alcune delle sue lancie spezzate non se ne fossero accorte. E vi lascierete voi, signor mio, trascinar via così vilmente?» gli gridò un soldato. Ed ecco un altro porgergli una spada, e un altro un destriero, e molti, fatto impeto sulle guardie, separarlo da esse, aprirgli la strada, e scorgerlo in luogo sicuro. Poche ore dipoi Pisa lo accoglieva per suo capitano.

Del resto fu Paolo Vitelli, come per ingegno, cosi per ferocia superiore ai due suoi fratelli. E narrasi che soleva uccidere le sentinelle che trovava dormire, e levar gli occhi agli archibugieri nemici; nė temè alla presa del castello di Buti di far tagliare le mani ai bombardieri che vi stavano di guardia. Di tanto terrore erano ancora cagione le nuove armi da guerra! (1)

(1) P. Jovii, Elogia, IV. 290.- Nardi, Storie di Firenze, III. 88.-Guicciard. I. IV. 168.

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