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CAPITOLO TERZO

Dalla calata del re Ludovico XII
alla lega di Cambrai.

A. 1499-1509.

GLI ORSINI, I VITELLI, I COLONNESI-IL DUCA VALENTINO - BARTOLOMEO D'ALVIANO.

I. Motivi della spedizione di Ludovico XII. Ludovico Sforza, tradito dai suoi condottieri, fugge; poi ritorna e ricupera lo Stato; alfine, tradito a Novara dagli Svizzeri, va prigione in Francia.

II. Il Valentino coll'aiuto dei Francesi fonda il suo Stato in

Romagna. Sua politica. Guerreggia i Fiorentini, entra

coi Francesi in Capua. I condottieri in Toscana. Il Valentino si prevale della loro assenza per atterrarli. III. Fuga miracolosa di Guidobaldo da Urbino. Lega dei condottieri contro il Borgia. Primi fatti e carattere di Oliverotto da Fermo. La lega dei condottieri si risolve. IV. I condottieri per ordine del Valentino assediano Sinigaglia, la cui rocca è difesa da Andrea Doria. Il Valentino da loro chiamato vi entra, e li ammazza tutti. Suoi progressi. Morte del papa Alessandro vi. Lo Stato del Valentino precipita e i condottieri risorgono. L'Alviano a Roma. Fuga, prigionia, ultime vicende e morte del Valentino. Considerazioni.

V. I Francesi rotti al Garigliano per opera di Bartolomeo d'Alviano, abbandonano il regno di Napoli. Vana impresa dell'Alviano contro Firenze. Sconfitto alla torre di S. Vincenzo, rifà la sua compagnia, passa al servigio dei Veneziani e trionfa dei Tedeschi. Fine della guerra pisana.

VI. Gli Italiani cominciano a instituire le milizie nazionali. I comandati. Ordinanze dei Fiorentini a piedi ed a cavallo.

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Dalla calata del re Ludovico XII
alla lega di Cambrai.

A. 1499-1459.

Gli Orsini, i Vitelli, i ColoNNESI-IL DUCA Valentino — BARTOLOMEO D'ALVIANO.

I.

Avvenne a Ludovico Sforza rispetto alla calata di A. 1499 Carlo vii quel medesimo che ogni giorno avviene a certuni per troppo sottilizzare; cioè che dopo essersi molto acutamente aggiustato in mente ogni cosa nei suoi più minuti particolari, un impreveduto accidente svolga per altro verso la fortuna, e sovente la faccia riuscire affatto al contrario delle aspettative. Gran parte nella formazione di un disegno debb'essere abbandonata alla sorte. L'uomo savio studia le possibili circostanze e conseguenze del primo fatto a cui tende, ma non vi si appoggia sopra: bensì le abbraccia coll'animo, e pensa a ripararle o compierle, sia che realmente succedano, sia che nello escire in luce combininsi con altri accidenti e piglino altra forma.

Aveva lo Sforza così bene nella sua mente assettati tutti gli effetti di quella spedizione, che il re di Napoli, il papa, e Piero de' Medici ne dovevano rimanere abbattuti ma non distrutti, i Veneziani intimoriti, Carlo VIII strettamente a lui obbligato, egli poi arbitro supremo dei destini d'Italia. Al contrario, in

conseguenza di que' casi che accelerarono la conquista di Napoli, e diedero origine alla Lega italiana ed alla cacciata dei Francesi, il suddetto Ludovico il Moro trovossi alla fine dei conti in inimicizia palese coi re di Francia e di Napoli, in sospetto e in odio a tutti gli altri principi italiani, coll'erario sminuito, e coll'Italia aperta agli stranieri: e per compenso di tanti svantaggi non gli restava che la sola speranza di conseguire Pisa, la quale nel medesimo tempo era guerreggiata dai Fiorentini, ambita dal duca di Milano, dai Veneziani e dal Triulzio, e trafficata dal re di Francia.

Dapprima Ludovico il Moro stabilì di proteggere Pisa contro Firenze, e si confederò coi Venezjani: poscia, allorchè vide i Fiorentini stanchi e umiliati, e i Veneziani potenti ed ambiziosi, voltata insegna, si buttò a secondare Firenze contro Pisa e Venezia, non disperando a impresa finita di ottenere in premio dai nuovi suoi alleati Pisa istessa, o qualche altra cosa corrispondente. Questa risoluzione accese contra lui di incomparabile sdegno i Veneziani, e li indusse a chiamare in Italia il re di Francia per deprimere il duca di Milano, come già questi ve lo aveva chiamato per atterrare gli Stati vicini. Fatale politica, sorta in Italia ai tempi dei grandi vassalli, proseguita nel fervore delle fazioni, ed ultima rovina, e propria sciagura della patria comune!

Regnava in Francia fino dall'anno precedente Luigi XII, che nel salire al trono aveva aggiunto alle ragioni del suo predecessore sopra il regno di Napoli, quelle speciali che come duca d'Orleans ed erede di una Valentina Visconti avola sua, pretendeva sopra

Milano. Laonde non è a dire se porgesse facile orecchio alle instigazioni della incauta repubblica di Venezia. Chiese questa per prezzo della sua cooperazione, che le venissero confermate alcune città marittime testè acquistate nella Puglia, e che l'Adda segnasse il confine del suo dominio col ducato di Milano. A questo prezzo fu venduta la quiete dell'Italia. Tosto le operazioni della guerra tennero dietro ai maneggi della diplomazia. Un fiorito esercito calò a piccole squadre le Alpi per fare la massa in Asti. Nel medesimo tempo i Veneziani assaltavano il Cremonese.

Comandava i Francesi con autorità quasi regia Gian Iacopo Triulzio, al quale dal re Carlo vi era stata donata la duchea di Melfi e il contado di Pezenasco, sia in premio del grande utile ricavatone nel suo ritorno da Napoli, sia per fare il contrapposto al duca di Milano, che avevagli per ciò appunto confiscato i beni paterni, datogli bando del capo, e fattolo dipingere per traditore. Comandava i Milanesi radunati ad Alessandria Galeazzo da Sanseverino, genero e famigliarissimo del duca Ludovico il Moro; ed a Galeazzo doveva unirsi il conte da Caiazzo fratel suo, colla maggior parte dell'esercito, che allora era occupato a fronte dei Veneziani. Così da tale copia di gente sarebbe stata custodita quella forte città, da infrangervi sotto le sua mura la prima foga degli invasori, non altrimenti che già nell'anno 1392 vi si erano infranti gli sforzi del duca Giovanni di Armagnac (1).

Tali almeno erano le speranze, nè sarebbe loro mancato un buon successo, se il duca di Milano, come

(1) V. part. III. cap. I. §. IV.

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