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com'ebbe consegnato ai ministri del papa i contrassegni di quelle quattro fortezze, fuggì da Roma, e passò a Napoli presso Consalvo di Cordova, che vi comandava con suprema potestà le armi del re cattolico. Il Consalvo, dopo averlo raggirato con vane ciance alquanto tempo, un bel dì, mentre che usciva dalla propria 26 mag. sua camera, lo fece legare e condurre in Ispagna prigioniero. Compagno del Borgia in cotesto tragitto fu Prospero Colonna, già da lui spogliato e perseguitato a morte: ma per quanto durò il viaggio nessuna parola fu mutata tra loro (1).

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Or quali sieno stati gli ultimi casi del Valentino, con brevi parole racconteremo. A prima giunta venne chiuso in Ispagna nella rocca di Medina del Campo; di là trovò modo di uscire mediante certe funi, e si ridusse nella Navarra presso quel re che gli era cognato. Visse quivi alcun tempo in basso stato: da ultimo un vil colpo di giannetta il tolse di vita sotto le mura del castello di Viana.

Tale fu la fine di Cesare Borgia duca Valentino, famoso per vasti intenti, terribili mezzi e repentino cadere. Il suo nome suona abbominato, e giustamente. Pure che altro egli fece, se non applicare ad una ampia tela i mezzi impiegati dai suoi contemporanei in brevi disegni? Chè se lo raffrontiamo ai principi da esso lui spogliati, e lo consideriamo non negli andamenti ma nelle conseguenze del suo operare, allorchè più non era costretto a opporre delitti a delitti, e soprusi a soprusi, ma proseguiva liberamente i suoi veri fini, noi lo vediamo altresì principe di

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rara costanza e perspicacia, di spedita giustizia verso i popoli, che alla lunga avrebbero sotto lui rinvenuto quella quiete e quella dignità, che invano dipoi desiderarono e tentarono di conseguire. Sotto questo aspetto, esaminandolo cioè non nei mezzi, che tutti sapevano scellerati, ma nei risultati, lodollo Niccolò Machiavelli; le cui teorie tanto erano proprie dei tempi, e tanto strettamente provenivano dal concorso della pubblica e della privata morale di allora, che tu le trovi molto tempo innanzi poste in pratica e dai re Alfonso e Ferdinando a Napoli, e da Luigi XI in Francia, e messe in luce negli scritti del costui ministro Filippo di Comines, e ricevute e divolgate da quasi tutti gli storici ed i politici dell' età; i quali prostrati dinanzi al fatto, lo adorano, comunque esso sia, e dondechè derivi. L'opinione pubblica, attesa l'ignoranza e servilità dei popoli, era troppo al basso, perchè ne potesse sorgere quel sentimento universale e pratico del giusto, il quale, col crescere dell'umana civiltà, va di giorno in giorno imponendo alla politica le sue leggi conservatrici.

In sostanza Cesare Borgia scelleratissimo fu, per disegno, per indole, per necessità; ma niuno dei suoi contemporanei seppe meglio di lui unire a intollerabili mezzi più vasti concetti; a perversità di privato più utili doti di principe. Quanto ai condottieri diremo, che coll'ammazzare gli Orsini, collo abbattere i Savelli ed i Colonnesi, collo sperperare i signori di Urbino, i Baglioni, i Malatesta, i Varani ed i Manfredi, cominciò egli l'opera seguitata poscia dai sommi pontefici Giulio ir e Paolo ш, per la quale con grande augumento della papale autorità fu estirpato il vero

coviglio dei soldati di ventura. Ciò non pertanto il Valentino medesimo fu condottiero, e tale si dimostrò sia nel pigliare condotta dai Fiorentini e dal re di Francia, sia nel subitaneo suo crescere e precipitare: se non che le forze, i denari, e la riputazione della Chiesa conciliavano alle armi di lui, sopra quelle di tutti gli altri capitani, pregio e ferntezza (1).

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Mentre che nel giro di pochi giorni al papa Alessandro vi succedeva Pio II, ed a Pio I papa Giulio II, un esercito francese guidato dal marchese di Mantova era proceduto sino al Garigliano; dove avendo gettato un ponte e guarnitane la testa, si era accampato col proposito di passare, tosto che arrivassero i denari dovuti agli Svizzeri, e tostochè le malattie e il tedio domassero la costanza del Consalvo, il quale coll'esercito spagnuolo si era alloggiato sulla opposta riva in un sito paludoso e mortifero. Ma le infermità, invocate sopra gli altri, scoppiarono eziandio tra i proprii, e con tanto maggior danno, quanto che agli Spagnuoli il paese amico, la virtù dei capitani, il favore degli Orsini, e la naturale sobrietà della nazione scemavano il peso dei mali; ed a' Francesi e Svizzeri, naturalmente insofferenti di stare fermi e di patire, le intestine discordie aggravavano la comune sciagura. In breve per evitare maggiori danni s'indussèro ad allargare alquanto più gli alloggiamenti pel paese. Lo seppe Bartolomeo d'Alviano, il quale militava dalla parte opposta, e subito propose al Consalvo di pas

(1) Intorno alle forze militari del duca Valentino, V. la nota XXV,

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sare il fiume ed assaltarli. Approvato l'audace partito, con molta segretezza costrui, in un casale vicino a Sessa, un ponte di botti e zattere; quindi lo 27 xbre condusse di notte al Garigliano, lo gettò al passo di Suio quattro miglia più in su di quello dei nemici, e prima tutto l'esercito spagnuolo ebbe varcato il fiume, che i Francesi si avvisassero di impedirlo. Allora questi si avviarono ritirandosi verso Gaeta. Ma invano la loro cavalleria, ora fermandosi, ora leggermente combattendo, tolse a proteggerne la marcia: invano tutto l'esercito, mutata fronte, pugnò per alquanto spazio di tempo con molta ferocia al ponte di Mola: arrivati al crocicchio delle due vie, delle quali l'una va a Gaeta, l'altra ad Itri, i Francesi, sempre inseguiti alle spalle dall' Alviano, e sempre pieni di sospetto di venire anche assaltati ai fianchi, ruppersi a fuggire disordinatamente. Per conseguenza di cotesta fuga pochissimi di loro, e questi pressochè nudi e affranti dalla fame e dalla fatica, riuscirónó a ritornare in patria: i più di stento quà e là morirono per le terre d'Italia, novello ma inefficace esempio all'ambizione degli invasori (1).

Questa famosa rotta, e un trattato di tregua é A. 1504 poscia di pace concluso tra la Francia e la Spagna, sospesero per alcun tempó i rumori di guerra nel regno di Napoli. Da ciò Consalvo di Cordova prese argomento di risecare gli stipendii ai condottieri Italiani. L'Alviano, che ben altro guiderdone si aspettava alla straordinaria bravura da esso lui mostrata nella ultima guerra (e in realtà era egli stato precipuo

(1) Ulloa, cit. 1. 30. Guicciard. VI. 99.

strumento della cacciata dei Francesi), gridò e minacciò contro cosiffatta risoluzione: alla fine, veggendo succedere a vuoto le grida e le minacce, rinunziò alla sua condotta, e se ne parti. Sulle prime pensò di impadronirsi di Rieti; ma Fabrizio Colonna glielo impedi. Allora si accampò nelle vicinanze di Roma, e di quinci entrò in trattative di occupare Orvieto, e aperse pratica cogli Orsini e coi signori di Siena e di Perugia per rimettere i Medici in Firenze, soccorrere Pisa, e, se la fortuna gli fosse seconda, procedere anche più in là. Dura necessità, che lo costringeva a cominciare la guerra, tosto che gli Stati la terminavano tra loro! Dopo alquante titubazioni fermossi nel proposito di assaltare i Fiorentini.

Erano costoro per cagione della guerra pisana ridotti allo estremo di forze e di consiglio: chè il supplizio di Paolo Vitelli, anzichè agevolare le operazioni della guerra, , le aveva difficoltate; sicchè oramai era essa degenerata in un barbaro sterminio degli averi e delle persone. L'Alviano camminò speditamente, finchè non pervenne nello Stato di Piombino: quivi fece alto, e si soffermò tanto tempo, quanto gli bastò per ricevere l'assenso dei Pisani, e i soccorsi del Baglioni e del Petrucci. Ciò conseguito, con 240 uomini d'arme, 120 cavalleggeri e 500 agosto fanti accogliticci marciò sopra Firenze. Alla Torre di S. Vincenzo gli si fecero incontro le genti fiorentine guidate da Ercole Bentivoglio. L'Alviano vi accettò battaglia; ma sopraffatto dalla sagacia dei nemici, che seppero investirlo da tre parti e rivolgergli addosso il fuoco di sei falconetti, cedette, e a grande stento

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