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Brescia e di Bergamo, forse anche di Verona, di Padova, di tutta terraferma, immolandogli tutte le schiere, e passando finalmente coi più fidi in Milano a raccogliervi il premio dell' infame contratto? E chi assecura Venezia, che in tutto ciò egli non lavori al proprio ingrandimento, egli, che per cagione della moglie si trova più vicino d'ogni altro al trono di Lombardia? Dovrà adunque il senato di Venezia rimettersi in mani, le quali, quand'anche per gran prova di bontà non si volessero chiamare traditrici, certo sarebbero per lo meno straordinariamente ignave e disavventurate? Casserallo adunque? Ma ciò sarebbe lo stesso che riunire il Carmagnola col duca Filippo Maria, ed abbassare di tanto Venezia di quanto monterebbe Milano. E poi quel Carmagnola, che ha spento non meno nei capi che nei soldati l'amore e la riverenza alla repubblica per circondarne se stesso, come non se ne varrà egli per seminare nell'esercito dissidii, ritrosie, fughe, tumulti, e, che dich'io, rubellioni e tradimenti? Però, se il tenerlo per capitano generale è di estremo pericolo, se il licenziarlo è di estremo danno, ora che la guerra è imminente, i soldati presti agli affronti, il nemico grande e vittorioso, forse le trame di total sovversione già ordite e pronte, che dovrà farsi mai del Carmagnola? »

Il consiglio de' dieci non osando sciogliere di per 28 marzo se questo terribile dubbio, deliberò di aggiungersi 20 nobili del collegio de' Rogati, sotto pena di avere e di persona a chi ne facesse parola. Il di appresso fu dato ordine al segretario Giovanni de Imperiis, che senza dimora si conducesse a Brescia con lettere

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credenziali pel conte Carmagnola, e dopo i saluti e le raccomandazioni consuete, procurasse di fargli vedere « come non sembrava alla signoria conveniente per quell'anno di muovere la guerra sulle sponde dell'Adda, siti pieni di selve e di paludi; nè essere ragionevole senza il presidio di una buona flotta di pensare a Cremona. In conseguenza sembrare molto più opportuno di trasferire le armi oltre il Po contro Parma e Piacenza, massime che quivi tornerebbe a vantaggio della repubblica l'amicizia del Gonzaga signor di Mantova, dal quale passo del fiume e sarebbe accertato alle sue genti, ed impedito alle inimiche. Questo essere il desiderio del senato ma prima di appigliarsi a veruna risoluzione, desiderare di conferirne a viva voce col proprio generale capitano. Supplicarlo pertanto di volersi recare a Venezia tanto più presto, quanto che per cosiffatta consulta appunto vi si aspettava di giorno in giorno il Gonzaga ».

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Con queste ragioni doveva il de Imperiis indurre il Carmagnola a seguitarlo a Venezia. In caso che il conte dicesse di sì, doveva quegli subitamente avvertire i Dieci del giorno che venisse stabilito alla partenza. In caso che il conte si scusasse negasse di venire, doveva il de Imperiis per non adombrarlo chiedergli in iscritto il suo parere circa il governo della prossima guerra, e frattanto nel più segreto modo concertare col provveditore, col podestà, e coi capitani di Brescia i mezzi di arrestarlo, e rinchiuderlo in quel castello. In quest'ultima supposizione si raccomandava ad ognuno di essi di far fare buone guardie per tutte le terre, e

di impossessarsi nel tempo medesimo della moglie, delle lettere, delle scritture, dei denari e dei beni del condottiero (1).

Nello stesso giorno deliberavasi altresì di invitare a Venezia il Gonzaga; e colla maggioranza di 19 voti sopra 11 contrarii e 4 neutrali, si stabiliva di ritenere il conte in prigione, tostochè fosse arrivato. Spedironsi lettere eziandio ai rettori delle terre per le quali doveva passare, con ordini precisi di arrestarlo a forza, quando vedessero in lui qualche tentativo di fuga; e si scrissero lettere conformi all'Orsini, al Sanseverino, ed a ciascuno degli altri condottieri dell'esercito, avvisandoli: « a non meravigliarsi di quanto vedessero accadere: ciò farsi per importantissime e giustissime cagioni, anzi per la finale salute dello Stato: non per questo doversi rallentare le fazioni di guerra, anzi più caldamente proseguire stessero di fedele animo e costante, come per lo passato; e, finchè in altro modo non si provvedesse, obbedissero ai rettori ed ai provveditori di Brescia, nè più nè meno che al senato istesso». Ciò fatto, perchè la deliberazione presa nel consiglio sopra le cose del conte Carmagnola era di • molta importanza, come ognuno vedeva, il doge proponeva e vinceva il partito, che niuno sotto pena negli averi e nella persona s'ardisse a far motto o cenno di quella materia con chicchessia, quand'anche questi appartenesse al consiglio medesimo. Giunto il de Imperiis a Brescia,

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come il Carma

(1) Per tutta questa narrazione ci serviamo specialmente dei preziosi documenti scoperti dal cav. Cibrario e pubblicati nella citata operetta.

gnola intese, che la signoria mandava per lui, (togliamo queste parole da uno storico veneziano di poco posteriore a quei fatti), subitamente si mise in cammino per venire in questa terra. E giunto appresso Vicenza, i nostri rettori andarongli incontro; e poi venne a Padova, e Federigo Con«tarini capitano di Padova il tenne a dormire con « lui per quella notte in palazzo: onde al detto conte « molto parve ciò nuovo, essendogli fatte tante ca

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rezze oltre quello che soleva essergli fatto quando « delle altre volte veniva a Venezia. Ma pure non disse alcuna cosa. La mattina per tempo fu accompagnato dal detto capitano di Padova fino « alla.... Gli andarono incontro tutti i signori di notte con tutte le sue guardie e uffiziali, mostrando di essergli andati incontro per fargli onore .... « E giunto ch'egli fu qui gli furono mandati in« contro otto gentiluomini, avanti ch'egli smontasse «< a casa sua, che l'accompagnarono a s. Marco. E « smontato alla riva, furono subito serrate le porte 7 aprile « del palazzo, e mandati tutti fuori, eccetto i de

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putati alla guardia. E andato esso conte co'detti gentiluomini su fino alla scala delle due nappe, « entrò dentro, e rimase con Lionardo Mocenigo « procuratore savio del consiglio, e con alcuni altri • nobili del collegio, i quali gli dissero, che messer lo Doge aveva male di reni, e che domattina se gli darebbe udienza. Già era venuta l'ora tarda « del desinare. Credendo il conte d'andare a casa sua, « fu fatto prima dire ai suoi, ch'erano venuti con « lui, che il conte desinava con mess. lo Doge, e « che andassero a desinare, poi ritornassero a

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« palazzo. E venuto giù il conte, credendo di an« dare a desinare, e di andare alla riva per mon«tare in barca, gli fu detto: Signor conte, venga di « qua, alla volta delle prigioni. Vedendo esso conte prima, che si andava di lungo per sotto il portico, disse: Questa non è la via. E i detti nobili gli risposero: Questa è pure la via diritta. Il conte << entrando in prigione, disse: Vedo bene ch'io son « morto: e trasse un grande sospiro. Fu confortato « da quelli, Egli disse: Uccelli, che sono da lasciare, « non sono da prendere: e posto in prigione nell' an« dito dell'Orba, per tre giorni continui egli non volle mangiare (1) ».

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Mentre queste cose avvenivano sulla Laguna, compievansi in Brescia gli altri comandi della signoria: mettevansi cioè in prigione la moglie, i famigli e Giovanni de Moris cancelliere del Carmagnola; le sue scritture sequestravansi, e per acquetare il malcontento delle soldatesche distribuivansi loro i tesori già da esso guadagnati militando (2). Nel medesimo tempo il consiglio dei dieci scriveva a Ferrara agli oratori della repubblica, ragguagliandoli dell'occorso: già da gran tempo per molte congetture e varii indizii essersi concepiti gravi sospetti intorno alla lealtà del conte Carmagnola; ma essersi mai sempre dissimulato, sia affine di scoprirne affatto la verità, sia perchè era duro il credere a tanta infamia. Finalmente avere pur troppo il consiglio acquistato di ciò chiarissima certezza, talchè già mirando so

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(1) Sanuto, Vite de' duchi di Venezia, p. 1028 (R. J. S. t. XXII).

(2) Cibrario, 1. cit. p. 25.

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