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maresciallo, solito ad avere di se stesso ben altri concetti (1).

VII.

La subita calata dell'esercito francese, e l'inaspettata sconfitta e presa di Prospero Colonna, astrinsero gli Svizzeri a ritirarsi primieramente a Novara, e quindi a Gallarate, sempre nella incertezza se dovessero seguitare nel servigio della Lega, dalla quale si miravano pressochè abbandonati, oppure accettare le larghe condizioni di pace, che loro andava proponendo l'inimico. Levò tutte codeste incertezze l'arrivo di venti insegne di genti guidate dal Rostio capitano presso loro di molta estimazione; perlocchè, rigettate le offerte del re Francesco 1, si ridussero da Gallarate a Milano, sia per difendere la città dai Francesi, sia per appropinquarsi all'esercito del Papa e del re di Spagna, che sotto il governo di Lorenzo de' Medici e del vicerè D. Raimondo Cardona stava a Piacenza dubbioso tra la voglia di compiacere a una parte e la paura di offendere l'altra. Ciò veggendo il re di Francia si inoltrò da Buffalora per Abbiategrasso sino a Marignano, terra posta sopra la via che da Milano mette a Cremona, col duplice fine, e di congiungersi alle genti venete, che l'Alviano con maravigliosa celerità gli conduceva incontro dal Polesine di Rovigo, e di impedire all'esercito pontificio e spagnuolo di raccozzarsi cogli Svizzeri.

(1) Mém. de Bayard, ch. LIX. p. 92 XVI). — Mém. de Fleuranges, ch. XLIX. du Bellay, 260. Guicciard. XII. 175. Rosmini, Vita del Triulzio, XI. 491.

(Collect. de mém. t. p. 283. — Mém, de M

Giovio, XV. 411.

Quest'abile mossa pose in costernazione gli Svizzeri racchiusi in Milano (1): « poichè ragionavano eglino e come vietare al re di unirsi coll'Alviano oramai trascorso fino a Lodi? e uniti che fossero, come vietare loro di gettarsi sopra l'esercito della Lega?» Risolse alfine tutti questi ragionamenti il cardinale di Sion, principale guidatore delle forze elvetiche in Italia, il quale, annoiato di vedere tuttodi i soldati su rozze carte investigare nuovi partiti di guerra, congregolli a cerchio nella piazza, e dalla tribuna li esortò ad assalire incontanente il nemico, mostrando che un'unica via di vincere rimaneva, e questa era di opprimere il re, prima che egli col favore dell'esercito veneto opprimesse gli amici accampati sul Po. Del resto l'esempio recentissimo di Novara aver messo in chiaro i modi, che tenere debbono gli Svizzeri per trionfare. Se non che ora un maggior numero ed una maggior fama assicurare la vittoria: molto maggior gloria ed utile doversene adunque aspettare ».

Finite queste parole, l'unanime clamore delle soldatesche chiese la battaglia; e tosto, quantunque non restassero che poche ore alla luce del giorno, 13 7bre

(1) È notabile la moderazione usata dagli Svizzeri durante cotesto loro soggiorno in Milano. «Gran parte de loro (narra « uno scrittore ch'era presente ai fatti), come rozzi montanari, << si accontentavano di paglia in terra, in loco di piuma in le«cto, et di pane et di vino, non più oltra richiedendo; salvo«< chè da qualcuno gli era dato qualche capo d'aglio o cipolla << o carne o casciola; il che se adeveniva che data non gli fosse, « essi se la compravano de proprii denari: non più nè meno rigidezza usando verso Milano, che fanno i fantolini quando << hanno avuto lor bisogno ». Prato, St. di Mil. p. 340.

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afferrate in fretta le armi, escirono furiosamente di Milano. Fuora di porta Romana si posero cogli squadroni in ordinanza; marciò innanzi a tutti una schiera di giovani soprannomati i perduti, che per conseguire anticipatamente gli onori della milizia mettevansi ad ogni sbaraglio, e si distinguevano per candidi mazzi di piume innalberati sopra cappelli di feltro, le cui larghe falde si piegavano verso il suolo. In totale, dalla loro parte il numero dei combattenti fu fra i trentacinque e i trentottomila.

Durante il viaggio risuonava l'aere per ogni intorno di grida, come dopo una vittoria, ed a vicenda capitani e soldati si esortavano ad affrettare il passo, a non differire l'assalto, a non interromperlo; sclamando di volere coprire il terreno dei cadaveri, ed allagarlo del sangue odiato dei Lanzi, massime di quelli, che pronosticandosi la morte vestivano a bruno. Pervennero così a veduta dei Francesi, che, avvertiti dal frequente rimbombo dei loro falconetti, li attendevano in ordine di battaglia, le artiglierie sul fronte dietro un fosso raccomandate ai Tedeschi, e innanzi al fosso 200 lancie del maresciallo di Fleuranges.

Pegli Svizzeri, giungere, respingere nel primo impeto gli uomini d'arme del Fleuranges, respingere i Lanzi, che avevano passato il fosso per investirli, rovesciarne gli squadroni l'uno sovra l'altro, poi tutti insieme scagliarsi sulle artiglierie e impadronirsene, fu l'opera di poco tempo, ma di molto sangue e di straordinaria bravura. E questo è certo, che se la luce del giorno avesse conceduto loro di approfittarsi di quel vantaggio, e rivolgere i cannoni sopra i Francesi balenanti, la vittoria apparteneva agli Sviz

zeri, e colla vittoria forse i destini dell'alta Italia rimanevano diversi. Ma le tenebre sopravvennero a interrompere il grande conato. Allora, non potendo più l'una parte e l'altra per istracchezza tenere l'armi in pugno, spiccaronsi senza suono di trombe, nè comando di capi.

Nel buio della notte i Francesi, invitati dai continui suoni di un trombetto, raunaronsi attorno alla persona del re, che coi suoi più cari passò la notte accanto le artiglierie. Al contrario nel campo elvetico rimbombava fra il cupo orrore delle tenebre il terribile corno di Ury e la cornetta di Unterwalden; dietro al cui suono avresti veduto le genti andarsi congregando presso le fiamme di un casale incendiato, mentre quà e là Svizzeri e Tedeschi riscontrandosi, e per la somiglianza delle vesti e delle favelle scambiandosi con opposti errori, si assaltano accanitamente, e mescolano amici e nemici in una strage.

Così tra tema e speranza, tra cieche affrontate e' mal concetti propositi trascorreva la notte. Allo schiarirsi del di con incredibile ardore ricominciava il conflitto. Se non che la notte aveva mutato di gran lunga le condizioni degli eserciti: posciachè i Francesi e si erano in quell'intervallo di tempo riordinati intorno la persona del loro re, ed avevano ricuperato e ridisposto le proprie artiglierie: al contrario gli Svizzeri e si trovavano ancora sparpagliati e confusi, ed avevano perduto la foga del primo assalto. Ciò non pertanto fu il secondo scontro, non meno del primo, ferocissimo; nè per quanto gli Svizzeri venissero sbattuti dalle cariche degli uomini d'arme, o

percossi dalle saette dei fanti, o stracciati dai tiri delle artiglierie, accennavano punto di ritirarsi : quand'ecco alle loro spalle levarsi il grido di Marco, Marco! e nel medesimo tempo apparire la prima fronte dei cavalleggeri di Bartolomeo d'Alviano.

Ciò li indusse a credere che tutto l'esercito veneto accorresse al soccorso dei Francesi. Allora solamente batterono a raccolta : e postesi sulle spalle le artiglierie leggiere, non rotti, non inseguiti, a lento passo si ritrassero verso Milano. Di quivi poi, sotto pretesto della strettezza delle paghe, si ridussero nei monti nativi, abbandonando per sempre l'Italia alla mercè del più fortunato (1). La memoria della battaglia di Marignano restò suggellata nel linguaggio della plebe, e con esso ancor dura (2).

VIII.

La vittoria di Marignano, come ridonò ai Francesi la Lombardia, e riconciliò loro il Papa, e rimosse dall'Italia superiore gli Spagnuoli, così avrebbe rimesso

(1) Mém. de la Trémouille, ch. XXV. — Giovio, XV. 424-434. - Mém. de M. du Bellay, p. 265. - Guicciard. XII. 196. Mém. de Fleuranges, ch. L. - Mém. de Bayard, ch. LX. Lettre du roi, p. 184 (ap. Petitot, t. XVII). — Prato, St. di Milano, p. 342 (Arch. Storico, t. III).

(2) Il perdono è a Marignano, è un proverbio che suona ancora sulle bocche del popolo di Lombardia, e dimostra essere stata tanto più grande l'impressione di quella battaglia, quanto più la nazione, avvilita e conculcata ugualmente dai vinti e dai vincitori, doveva restare indifferente a entrambe le cause, nè aspettare dalla vittoria di questo o di quello niente altro che nuovi oltraggi ed imposte.

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