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Dalla morte di Braccio e di Sforza

alla pace di Ferrara.

A. 1424-1433.

IL CARMAGNOLA.

I.

Tale è per fermo la natura della milizia, che stare non potendo senza un opportuno accordarsi d'imperio e d'obbedienza, il lungo uso d'obbedire conduca chi la esercita a spogliarsi quasi di voleri e di pensieri proprii per riunirli, come a centro, nella mente del capo supremo. Oltre a ciò, i comuni pericoli e fatiche e vittorie e insegne e divise e vivere e intenti, distribuendo sopra ciascuno in proporzione l'utile e lo svantaggio, la lode e il vitupero, stringono, come in parentado, capi e soldati. Di qui quell'amore di corpo, che, terminata la milizia, acquetati i rumori di guerra, ne trasporta tuttavia verso quella schiera nella quale faticammo, e ce ne fa seguire con occhio affannoso le nuove imprese, e amarne la gloria, come nostra propria, e abbracciare con soave tenerezza ogni cosa che a quella appartenga.

Ora queste impressioni già per sè vive e forti nelle odierne milizie, con quanto maggiore vivezza e durata non si doveano manifestare in quelle di ventura! Ai nostri tempi il soldato non sceglie, ma è scelto; volontario non milita, ma chiamato o costretto; e capi,

imprese, paga, luogo e compagni, ogni cosa ad un cenno del principe o di chi il rappresenta, vien mutata: onde nè spontaneità di scelta, nè uso, nè comunanza d'interessi personali ne assoda il vivere. Nelle compagnie venturiere per l'opposto il luogo, l'impresa, il capitano, l'insegna, ogni cosa era nella scelta del soldato, che conducevasi con chi ed a quei patti, e contro chi gli parea; nè verun capriccio d'uomo estraneo alla compagnia lo poteva svellere dalla sua bandiera perilchè capitano, conestabili e gregarii formavano un tutto, che aveva un principio e un seguito, e proprie gesta, e proprii interessi. Banditi, perseguitati, privi d'asilo, privi di ogni altro modo di sostentare una vita tuttavia florida e potente, i fuorusciti dell'Umbria e di Romagna cercarono sotto la mobile tenda del venturiero la patria e gli onori smarriti. Braccio li raccolse, Braccio li guidò. Il soldo, il sacco, le taglie, l'acquisto di terre e provincie, li mantenne, li crebbe, ne aguzzò le voglie a impadronirsi della patria; ed eglino, veggendosi vieppiù ingranditi ad ogni ingrandir di chi li capitanava, in Braccio rivolsero ogni brama ed ogni fatica, certi di rinvenire nel ben suo altresì il proprio. Così, per effetto del primo impulso, non cessando di operare, racquistata ch'ebbero Perugia, l'aiutarono ad entrare in Roma, a insignorirsi dell'Umbria, ed a guerreggiare lo Sforza.

Aggiungasi, che allora non ci erano carte, non libri, non discipline, per mezzo delle quali far servire l'universale esperienza degli uomini da guerra alla istruzione di ciascuno. Quindi le imprese del condot tiero erano unica scuola al soldato, che appoco appoco

ne apprendeva gli accorgimenti, gli ordini, le mosse più particolari, e proseguivale e imitavale, quand'anche fosse uscito dalla milizia del maestro, e già pervenuto al comando di una propria schiera. Ond'è che dal modo di disporre e armare i soldati, di disegnare la guerra e di compiere le fazioni si contraddistinsero i condottieri di questa o quella scuola. E già accennammo della prestezza da Braccio tramandata a' suoi, e delle riforme introdotte dal Barbiano nelle proprie schiere. Minori vestigia lasciò di sè lo Sforza; sia che vera mente in lui mancasse quella potenza d'ingegno, che dà un proprio colore a tutto ciò che ella tratta, sia che Francesco di lui figliuolo, superiore a Braccio e a Sforza nell'arduo mestiere dell'armi, collo scegliere di ogni scuola il meglio fondesse nel proprio sistema le dottrine paterne.

In due scuole la morte di quei due celebri condottieri lasciò divisa la milizia italiana. Dell'una rimase capo Francesco Sforza: dell'altra Niccolò Piccinino. Or la fama da costui acquistata in breve tempo merita che qui se ne raccontino le prime memorie.

Un buon beccaio di Perugia il generò: un po' di A. 1 386 abbaco e di computo, e il lavorio delle lane ne occuparono l'infanzia. Mortogli il padre, la viltà di quel mestiere, l'alto suono delle gesta di Braccio, l'acerbità nativa dell'animo, e (soggiunsero i posteri) certa visione notturna del dio Marte o di s. Giorgio che si fosse, svolsero il giovinetto dal lanificio alle armi. Avutane pertanto licenza dalla madre, avviossi con un Biagio da Calisciana, suo zio, verso la Romagna, perpetuo nido di guerre e di condottieri; e bentosto

l'un per ragazzo, l'altro per famiglio acconciaronsi presso un Bartolomeo da Sesto, capitano di genti d'arme (4).

Cotesti capitani di cencinquanta o dugento cavalli, ben di rado pigliavano condotta da' grandi principi sotto proprio nome; bensì facevano capo da un maggior condottiero, qual era Braccio o Sforza, e stabilivano con esso lui le condizioni del loro servigio. Egli poi s'obbligava per tutti al principe, e il principe con lui solo praticava. Pendeva Bartolomeo verso la fazione bracciesca, nemica allora di Perugia; pur non appena l'indole fiera e valorosa del giovanetto Pic4.1406 cinino gli fu nota, che il dichiarò uomo d'arme, e gli concesse in isposa la propria figliuola. Tre ca

(1) Poggio, Vita di N. Piccinino p. 143. segg. (Venezia, 1572).-Spirito Lorenzo, Il libro chiamato altro Marte (Vicenza, 1489, rarissimo). Ne esiste un esemplare nella ricca Biblioteca militare di S. E. il cav. Cesare Saluzzo. Prendiamo di qui occasione per tributare pubbliche grazie alla egregia cortesia, colla quale quest'Uomo di bontà singolare non cessò mai di favorire le nostre fatiche. Del resto il libro o poema dello Spirito fu terminato a Perugia nel 1470: è diviso in tre libri, i quali tutti insieme formano 101 capitoli. Il principio ne è

eosì:

<«< Incomincia il libro chiamato altro Marte de la vita et gesti « de lo illustrissimo et potentissimo capitanio Nicolo Picinino « da Perosa Visconti de aragonia. Laurentius Spiritus de Peru« sia composuit.

« Divino Appollo et primo occhio del cielo

Intende ale mie prece e col tuo raggio
Leva dali occhi miei l'errante vello.

<< Et all'apparecchiato mio viaggio
Piacciați dare soccorso et farmi guida
Si como lume eterno ornato et saggio» etc.

valli cogli opportuni arnesi ne furono la dote. Da queste nozze nacque Iacopo, destinato a gran fama, ma cagione in sul nascere di morte alla genitrice : 'avvegnache Niccolò, riputando il parto adulterino, lei uccise, la prole adottò. Ciò fu anche motivo al Piccinino di uscire dalla compagnia di Bartolomeo da Sesto e di entrare in quella d'un Guglielmo Mecca, Alla fine, morto il Mecca per man de'nemici, prese partito con Braccio istesso, allora appunto impegnato nelle prime ostilità contro Perugia.

Quivi i progressi di Niccolò furono pari alle occasioni. Un di Braccio, veggendolo uscire di steccato vincitore di due avversarii, gli pose in capo di sua mano una ghirlanda. Indi a non molto l'innalzò dal comando di cinque cavalli a quel di dieci, e finalmente di cento. Con questa gente Niccolò fu principale istrumento della vittoria riportata da Braccio sotto le mura di Perugia. Del resto intrepido, alacre, audacissimo, primo alle scorrerie, agli assalti, alle rapine, in breve meritò, che la sua attività e la sua prestezza passasse in proverbio. Un giorno Braccio sorpreso da' nemici dentro certo convento, stava in punto di arrendersi, quand' ecco sopraggiunge il Piccinino e il salva fuor d'ogni espettazione. Un'altra volta era egli medesimo assediato in non so qual terricciuola, quando, pervenutagli notizia di certo convoglio di panni e denari spedito agli assedianti, fece disegno d'impadronirsene. Detto fatto, esce chetamente con pochi seguaci, passa fra squadra e squadra, arriva alla preda, la piglia, la distribuisce tra' suoi, misurando il panno colle lancie, ed è pri

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