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loro parenti, conclusero, che questa ingiuria non si poteva senza vergogna tollerare, ne con altra vendetta, che con la morte di Messer Buondelmonte, vendicare. E benche alcuni discorressero i mali che da quella potessero seguire, il Mosca Lamberti disse, che chi pensava assai cose non ne concludeva mai alcuna, dicendo quella trita e nota sentenza: cosa fatta capo ha. Dettono pertanto il carico di questo omicidio al Mosca, a Stiatta Uberti, a Lambertuccio Amidei, e a Oderigo Fifanti. Costoro, la mattina della Pasqua di Resurrezione, si rinchiusero nelle case degli Amidei poste tra il ponte vecchio e Santo Stefano, e passando Messer Buondelmonte il fiume sopra un caval bianco, pensando che fusse così facil cosa sdimenticare un' ingiuria, come rinunziare a un parentado, fu da loro a piè del ponte sotto una statua di Marte assaltato e morto.

Questo omicidio divise tutta la città; e una parte si accostò ai Buondelmonti, l'altra agli Uberti. E perchè queste famiglie erano forti di case e di torri, e di uomini, combatterono molti anni insieme senza cacciare l'una l'altra; e le inimicizie loro, ancorachè le non si finissero per pace, si componevano per triegue; e per questa via, secondo i nuovi accidenti, ora si quietavano, ed ora si accendevano. NICCOLÒ MACHIAVELLI. Delle Istorie Fiorentine, lib. II.

Congiura di Stefano Porcari.

VIVEVA in que' tempi ' un Messer Stefano Porçari, cittadino Romano, per sangue e dottrina, ma molto più per eccellenza d'animo nobile. Desiderava costui, secondo il costume degli nomini che appetiscono gloria, o fare o ten

Circa la metà del Sccolo XV.

tare almeno alcuna cosa degna di memoria. E giudicò non poter tentare altro che vedere se potesse trarre la patria sua delle mani de' prelati, e ridurla nell' antico vivere, sperando per questo (quando gli riuscisse) essere chiamato nuovo fondatore e secondo padre di quella città. Facevangli sperare di questa impresa felice fine i malvagi costumi de' prelati e la malà contentezza de' baroni e popolo romano; ma sopra tutto gliene davano speranza quei versi del Petrarca in quella canzone che comincia: spirto gentile, dove dice:

Sopra il monte Tarpèo, Canzon, vedrai
Un Cavalier ch' Italia tutta onora,
Pensoso più d'altrui che di se stesso.

Sapeva Messer Stefano, i poeti essere molte volte di spirito divino e profetico ripieni, talchè giudicava dovere ad ogni modo intervenire quella cosa che il Petrarca in quella canzone profetizzava, e essere egli quello che dovesse essere di si gloriosa impresa esecutore, parendogli per eloquenza, per dottrina, per grazia, e per amici essere superiore ad ogni altro Romano. Caduto adunque in questo pensiero non potette in modo cauto governarsi, che con le parole, con l'usanze, con il modo del vivere non si scoprisse, talmente che divenne sospetto al Pontefice, il quale per torgli comodità a poter operar male, lo confinò a Bologna, ed al governatore di quella città commise, che ciascun giorno lo rassegnasse. Non fu Messer Stefano per questo primo sbigottito, anzi con maggiore studio seguitò l'impresa sua, e per quei mezzi poteva più cauti teneva pratiche con gli amici, e più volte andò e tornò da Roma con tanta celerità, ch'egli era a tempo a rappresentarsi al governatore fra i termini

comandati. Ma da poi che gli parve aver tratti assai uomini alla sua volontà, deliberò di non differire a tentare la cosa, e commise agli amici, i quali erano a Roma, che in un tempo determinato una splendida cena ordinassero, dove tutti i congiurati fossero chiamati, con ordine che ciascuno avesse seco i più fidati amici, et promise di essere con loro, anzi che la cena fosse fornita. Fu ordinato tutto secondo l'avviso suo, e Messer Stefano era già arrivato nella casa dove si cenava. Tanto che fornita la cena, vestito di drappo d'oro, con collane e altri ornamenti, che gli davano maestà e reputazione, comparse tra i congiurati, e quegli abbracciati, con una lunga orazione gli confortò a fermare l'animo e disporsi a si gloriosa impresa. Dipoi divise il modo e ordinò che una parte di loro la mattina seguente il palagio del Pontefice occupasse, l'altra per Roma chiamasse il popolo. all' arme. Venne la cosa a notizia al Pontefice la notte (alcuni dicono che per poca fede de' congiurati, altri, che si seppe essere Messer Stefano a Roma). Comunque si fosse, il Papa la notte medesima che la cena s'era fatta, fece prendere Messer Stefano con la maggior parte de' compagni, e dipoi, secondo che meritavano i falli loro, morire. Cotal fine ebbe questo suo disegno; e veramente potè essere da qualcuno la costui intenzione lodata; ma da ciascuno sempre il giudizio biasimato; perchè simili imprese, se elle hanno in se nel pensarle alcuna ombra di gloria, hanno nello eseguire quasi sempre certissimo danno.

LO STESSO. Istor. Fior., lib. VI.

Congiura di Lorenzo de' Medici, contra 'l Duca Alessandro de' Medici.

ERA venuto il di sei di Gennajo, 1536, nella festa dell' apparizione della stella a' Magi, chiamata da' vulgari la Befania, quando il Duca quel giorno intero avendo consumato in maschera su d'un bravo cavallo in compagnia dell' Unghero suo cameriere, era stato a far all'amore, ed a maneggiarsi all' uscio di quella donna che egli amava. La sera tornato stracco s'era cavato il giaco, ed avendo cenato si disponeva da andare a dormire, quando comparso Lorenzo con quel viso suo malinconico gli disse: « Signore, che vogliam noi fare stasera ?» A che il Duca gli rispose: « Io mi voglio andare a posare, perchè io sono stracco. Allora Lorenzo accostatosegli all' orecchio, gli disse non so che di segreto. Rizzossi dopo questo il Duca, e ritiratosi in camera, si fece mettere il giaco sopra il giubbone, e presa la rotella, per la porta del giardino usci fuori segretamente dalla chiocciola del verone scoperto. Seguigli dietro Giomo e l'Unghero, e quando furono sulla Via larga ritornati, essendo soli innanzi egli e Lorenzo, rivoltatosi il Duca senti Giomo e l'Unghero che lo seguitavano, a' quali dicendo che ritornassino, perchè aveva bisogno di esser solo, essi con gran dispiacere l'obbedirono in parte, perchè ritirati alquanto, e poi tra loro ragionando, che era pur benè seguitare il Duca, ed a suo dispetto gli andarono dietro, pen

2

1 Lorenzo era in quel tempo il più favorito. giovane che avesse il Duca, col quale comunicava non pure i segreti amori giovenili, ma gl' importanti consigli di tutto lo stato suo. (P. 110.)

2 Giaco, cotte de mailles.

sando, che egli fosse inviato verso san Domenico. Ma in quel tempo il Duca con Lorenzo era intrato nella casa di detto Lorenzo contigua col suo palazzo, e quivi ridottosi in camera, il Duca, che era stracco, si cavò di nuovo il giaco, e si scinse la spada ed il pugnale, e gettossi in sul letto, disse à Lorenzo, che egli andasse per chi gli aveva ordinato. Era opinione, che Lorenzo gli avesse detto in segreto, che egli aveva ordinato di condurgli una sua zia, la quale si stimava che altre volte avesse conosciuto il Duca a solo a solo, ne iò diro qui il nome per onore di quella famiglia....

Partito che fu Lorenzo di casa, il Duca prese il sonno senza alcuno pensiero ; ma Lorenzo in gran fretta andò å trovare Baccio del Tavolaccino, detto Scoronconcolo per so- . prannome, allevato loro di casa, che stava per garzone al sale, persone vile ed artefice, ma valente della persona, e coll' arme lo condusse in casa segretamente, e, quando saliva la scala, fermatosi, disse : « Bacchio, è ora venuto il tempo di attenermi la promessa tante volte giuratami d'osservare Io ho in camera quel grand'uomo mio nimico, che io voglio, che tu m'ajutian ammazzare. » Allora Scoronconcolo rivoltoseli disse: « Lorenzo padrone, andianne, io non sono per mancarvi. » Stette Lorenzo un poco sospeso, poi disse: «< Báccio, io voglio dirti la cosa appunto, costui è il Duca. » Parve a quel detto, che Baccio tutto avvilisse, pure riavutosi disse: «< Qui siamo, andiamo via, se fosse il Diavolo. « Entrò il primo Lorenzo in camera, dove aveva il Ducca serrato a chiave, pure con sua voglia, ed acccstossi al letto dicendo: « Signore, è tempo a star desto. » Quando il Duca a quel suono risvegliatosi, si senti trafitto innanzi da una pugnalata, che s'accorgesse bene d'esser desto. Ma rizzatosi, e gridando, <«< ah traditore! » prese un dito a Lorenzo colla bocca, che di già gli aveva dato

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