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mendato da ogni uomo per la sua nobile, e diritta struttura. Avrà perciò l'architetto a prendere quella figura per farne un palagio? Oh! pazzo! gli verrà detto, non vedi tu che quello dee essere abitazione di campane, le quali per essere udite hanno di bisogno di quell' altezza? A stare costassu egli è un' onorificenza da battagli, non da uomini. Or bene, risponderà egli Io ho veduto una casettina in campagna assai ben misurata, e con tutti gli agi suoi. Farò il palagio uguale a quella. Odi, bestia, che vuoi tu? fare una casipola, fra cotanti nobili edifizj? E pare a te, che gli agi della campagna sieno somiglianti a quelli d'una città ? Vi farai tu il pollajo? La colombaja? Il luogo da fare il bucato? La stalla? Vedi architettura nuova, che sarà questa? Nota, come sono fatti gli altri palagi. Non t'è ordinato di fare nè campanile, nè casettina da villa. Pensa all' ufficio tuo, togli l'esempio da quello che dèi, non andare nè pîù sù, nè più giù del bisogno. Io vorrei, che l'esempio dell' architettura bastasse, senza entrare in altri particolari. Ci sono stature grandi, e nane: Queste ultime spesso per allungarsi, mettonsi sotto alle calcagna gli zoccoli; l'albagia che hanno i primi giorni, le fa camminare alcuni pochi passi, poi si rompono il collo. E anche que' primi passi gli veggo a fare con un trèmito di ginocchia, e con certi disusati scorci di corpo, che si conosce benissimo, che hanno del posticcio di sotto. Raccomando a chi legge il fare altre applicazioni. Non voglio essere troppo lungo : se quel che dico piace, ne rimane viva la fantasia a parlar corto; se tedia, il fastidio è minore.

LO STESSO. L'Osservatore, parte III.

Dell Agricoltura.

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PRIMA che nel mondo ci fossero gli eroi distruttori degli uomini, l'umanità già da gran tempo onorava i nomi d'Osiride, di Cerere e di Trittolemo. Gli uomini riconoscevano allora tutto dalla terra, ed un' abbondante raccolta era in que' tempi il maggior beneficio della natura. Essi non avevano l'arrogante stranezza di mettere sotto la protezzione d'un nume una flotta o un' armata, che mossa dall' ambizione fosse andata a distruggere una porzione de' loro simili; ma prostrati innanzi ad alcune zolle di terra ammucchiate, su questi altari della natura essi immolavano vittime agli Dei per ottenere l'ubertà de' loro campi. Alle spinte dell' interessse e del bisogno, i primi legislatori de' popoli accoppiarono anche quelle degli onori e della gloria, per animare gli uomini alla coltura della terra. Essi videro quanto questa occupazione aveva bisogno, più di tutte le altre, della protezzione delle leggi essi videro quanto interessava il rendere onorevole l'agricoltura e l'agricoltore. Nella Persia si stabili una festa solenne destinata a risvegliare questa gloriosa opinione, ed a rappresentare la reciproca dipendenza del genere umano. In ogni anno, nell' ottavo giorno del mese chiamato da essi correntruz, i fastosi monarchi del Persiano impero deponevano le vane loro pompe, e circondati da una più vera grandezza, si vedevan confusi colla più utile classe de' loro sudditi. L'umanità riprendeva allora i suoi dritti, e la vanità deponeva le sue assurde distinzioni. Con ugual dignità e con ugual decenza si vedevan seduti all' istessa mensa i contadini, i sătrapi ed il gran Rc. Tutto lo splendore del trono pareva destinato ad illustrare gli agricoltori dello stato. Il guerriero

e l'artista erano esclusi da questa pompa, alla quale la legge voleva, che non si ammettessero se non coloro che coltivano la terra. Miei figli, diceva loro il principe, a' vostri sudori noi dobbiamo la nostra sussistenza: le nostre paterne cure assicurano la vostra tranquillità: giacchè noi ci stimiamo dunque a vicenda necessarj, stiniamoci come uguali, amiamoci come fratelli, e la concordia regni sempre tra noi'.

Una festa simile, destinata all' istesso oggetto, si celebra fin dalla più remota antichità nella China. Il capo della ̧ñazione diviene in ogni anno per otto giorni continui il primo agricoltore dello stato. Egli conduce un aratro, fa un solco, agita con una zappa la terra, dispensa alcune cariche a coloro che han meglio coltivato il terreno.

Finalmente noi sappiamo quanto le leggi, i costumi, la polizia del governo ed il culto istesso contribuivano in Roma a render onorevole l'agricoltura. Noi sappiamo che la prima istituzione religiosa di Romolo fu quella degli Arvali, saçerdoti addetti ad implorare dagli Dei la fertilità de' campi ; che la prima moneta ebbe per impronto un irco o un bue, emblemi dell' abbondanza; e che le tribu rustiche furono preferite all' urbane per render migliore la condizione di coloro che abitavano la campagna per coltivarla. I consoli, i dittatori, i magistrati supremi della repubblica coltivavano colle loro mani la terra: essi si gloriavano spesso di dare alla loro famiglia un cognome, che ricordava alla loro posterità l'occupazione favorita de' suoi padri *.

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Gaetano FilangieRI. Scienza della Legislazione, 1. II, c. XV.

Hyde, de religione Pers. Cap. XIX.

2 Sono celebri nella storia di Roma i Fabj, i Pisoni, i Lèntuli,, i

Ciceroni, e molti altri simili cognomi.

L'aurea Mediocrità.

BEATO voi, che in nobile povertà tutto il lungo giorno in onesti esercizj e dolcissimi diporti, e la notte in continua e riposata quiete vi trapassate, senza che squilla di nojosi pensieri rompa i dolci sonni, nè alla dura battaglia vi chiami degli umani affetti. Voi, secondo la legge della natura ricco, dentro i termini, ch' ella benignissima madre ci ha prescritti, contento di stare, senza solcare, per accumular mondane ricchezze con tanti pericoli, i tempestosi mari; senza andar a guisa di peregrino questa e quella parte del mondo con tante fatiche ricercando; senza cercar, di polvere. carco, di sudore e talora di sangue, nelle perigliose battaglie di trovar la vostra ventura; contento nella vostra piccola, ma ben disposta e ben ordinata casa vi godete, ed ora nel vostro vago ed artificioso giardino con le proprie mani questo arbuscello innestando, quell' altro trasportando, e di lieti fiori e di fresche erbette -spargendolo`; di queste ricchezze contento vita vivete felice, e riposato, or con la picciola vostra barchetta per quel mare (al mio giudizio) più puro e più vago di quanti n'ha fatti la natura, spaziandovi; e con l'amo e con le reti i lascivi pesci ingannando, sprezzate le ricchezze di Creso e di Mida; or per quelle verdi e fruttifere colline, d'ogni vaghezza ed ornamento dalla natura dotate, ne' varj diletti delle stagioni vi diportate, sicchè mai il sole mal contento vi lascia, nè l'aurora sospiroso vi trova. Voi non temendo gli acuti morsi dell' invidia, non portate invidia ad alcuno. Voi senza paura dell' umane insidie, che ognora alle ricchezze dietro vanno, ogni luogo sicuro ritrovate, e con un animo ben ordinato e ben composto, nè più procurando, nè più desiderando

d'acquistare, ricchissimo avete quanto vi basta a saziare i vostri regolati desiderj. Queste mi pajono le vere ricchezze, delle quali niuno accidente di maligna fortuna vi potrà spogliare. E siccome vil desiderio di mondane facoltà non vi molesta, così vana ambizione d'umani onori i vostri dolci diletti non perturba. Certo non sarà alcuno di perfetto giudizio, che conoscendovi non v'invidi la vostra sorte. O miseri, o tre volte miseri coloro, o veramente privi d'ogni buono conoscimento, che con tanti sudori, con tante fatiche d'animo e di corpo, con tanti pericoli, vanno nelle ricchezze, negli stati e negli onori cercando la felicità, e non si accorgono che quella è vana, fallace e soggetta a varj accidenti della volubile fortuna, e che, siccome le vesti che da sè fredde sono, ancor che il contrario paja, non accrescono, ma conservano il calor naturale; così le ricchezze e gli onori l'uomo felice non rendono, essendo la felicità nell' animo nostro, e non nelle cose soggette all' arbitrio d'altri. Come può felicità in quelle cose essere, delle quali la fortuna poveri e ricchici torna a voglia sua? In quelle cose che si acquistano con tanti travagli di corpo e di mente? Che si conservano con tanti timori e con tanti pericoli? Che si perdono o lasciano con tanto nostro affanno e dispiacere ? Non ha la nostra natura nemico più capitale che la ricchezza, dura avversaria della virtù e ministra de' vizj. Nè senza cagione disse Diogene, che la virtù nè dentro il circuito della città, nè dentro i ricchi palagj albergava volontieri, e Platone, che l'uomo ricco essere virtuoso poteva malagevolmente. I Fabrizj, gli Emilj, i Metelli, i Valerj, i Fabj, gli Scipioni, tutti poveri furono, e con la scorta della povertà a quella altezza di gloria e di virtù s'alzarono, che nelle memorie de' mortali eternamente viveranno. Non vedete voi, che le cose, che ora in tanto prezzo sono; cioè argento, oro, perle, la

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