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tanta diversità delle gioje e de' metalli, come non necessaric, anzi perniciose, la natura prudentissima le aveva nelle oscure viscere della terra e ne' profondi letti del mare nascose e seppellite ? Ma la cupidigia ed avara sete degli uomini, per manifesta ruina del mondo, e perpetua guerra dei notri sentimenti, pone diligentissimo studio per ritrovarle.

BERNARDO TASSo. Lettera a M. Bernardino
Sarresale.

La Vita solitaria.

PER ben godere della campagna, bisogna eserci liberi e soli. Non ci si deono trovare lo strepito cittadinesco, il giuoco, i gran pranzi, i passeggi in carrozza, le notti vegliate, le aurore dormite, i racconti frivoli, gli sdegnuzzi amorosi, la maldicenza : non conviene, come disse colui, portar la città nella villa.

Ma la solitudine è insopportabile a molti. La solitudine? Eglino insopportabili sono a se stessi se stessi, che non videro mai, ritrovano allora, e spiace a loro la lor compagnia.

Ma l'uom nasce alla società, non a se medesimo. Si: ma parlo io forse d'un deserto dell' Arabia, e pensò io di vivere in unalbero incavato, come un Giapponese? Lascio, che spesso col bel nome di vita pubblica e attiva non si fa che coprir l'avarizia, e l'ambizion propria; e dico che anche il solitarió può rendersi utile agli altri, e più virtuosamente; perchè nulla aspetta dagli altri, perchè non cambia, ma dona. E lèpida cosa veder, come gli abitanti delle città stimano fuor del mondo chi non vive con essi ; quasi fuor delle città nè spezie umana più sìavi, nè mondo. Ove non può rendersi utile il

saggio? Ove lo può meglio il ricco, che nelle campagne, in cui quella porzione alberga dell' uman genere, che più abbisogna degli altrui soccorsi, e che li merita più ? Parmi anzi che qui, lunge dal dimenticarsi degli uomini, s'impari più presto ad amarli ed a servirli meglio, quando nelle città sei nel rischio d'abborrirli, osservandoli troppo dappresso, e nella tentazion d'ingannarli, onde non venire ingannato. Parmi che l'anima, in un' aria libera e pura, più pura anch' essa diventi, e più facilmente dalle affezioni men belle si disviluppi; che anch' essa pongasi in libertà.

L'amor della solitudine nasce da indole trista e rinchiusa: può essere in molti. Nasce dalla noja del mondo; o questa derivi dal ben conoscerlo, e però da un disinganno totale; o dal conoscerlo poco, e quindi dal non saper vivere in esso anche questo esser può. Nasce da quel senso fino de' falli e diffetti umani, unito ad una passion forte per le doti della mente e del cuore, che a formar viene ciò che dicesi misantropia anche questo. Nasce da passione di studio, massime ove si tratti di quelle facoltà, che più comodamente coltivarsi possono in villa: e questo ancora. Ma la libertà del vivere, l'amor del riposo, il piacer della meditazione, la cura della propria salute, lo spettacolo de' lavori e della rustica economia, son motivi anche questi di considerazion degni; a nulla dire di quell' incantesimo per alcuni così possente, che sulla faccia sparso veggiamo della

natura.

Quelle valli e montagne, que' boschi e prati, quell' ombra e quel sole, que' contraposti di ameno e di selvaggio, di ridente e di orrido, quel biondo de' campi in mezzo alle tante gradazioni della verdura, e sotto un gran cielo azzurro, o di nubi riccamente dipinto, e talora nelle onde lucide ripetato; e gli uegella, i gli armenti, ed i coltivatori che dan

moto e vita a tutta questa si gentile, si grande, si varia scena... Ah! chi può descriverla? Chi può parlare di quegli enti nuovi, onde popolata m'apparisce, di quegli enti fatti secondo il mio cuore? E che importa che fantastici sieno, se la lor compagnia mi torna si cara, e mi gitta nell' èstasi la più deliziosa? Il qual genio per essi, anzi che sentire di misantropia, veggano quelli, che l'accusa di ciò, non indichi più presto un cuor delicato ed affettuoso, che non contento del mondo reale, ricorre alla cortese immaginativa, la quale gliene dipinge uno, chimèrico si, ma d'un pascolo ad esso il più omogeneo per la qualità, ma l'ambrosia sua ed il suo nettare per la squisitezza.

Tra i vantaggi poi, che annoverar potrei molti, della vita solitaria, questo mi par sommo, che impariamo a conoscer bene le forze del nostro animo. Finchè siam nel mondo, gli amici ed i parenti si prendono un certo pensiero di noi, `ci danno la mano, dirò cosi,.per camminare ne' sentieri anche men difficili della vita; ed intanto noi andiam perdendo

la facoltà di muoverci da noi stessi. Solo al contrario e

abbandonato a se medesimo, potrà uno sapere ciò ch' egli vale, ed anche un nuovo vigor morale acquisterà egli; perchè ciò, che sul corpo guasto fa una ragionevole astinenza, la quale lo rinvigorisce, faranno sul cuore, che difficilmente si mantien sano, alcuni mesi di solitudine appunto chiamata dalla savia antichità, la dieta dell' anima. IPPOLITO PINDEMONTE. Lettere campestri.

Piaceri morali della Campagna.

IL diletto di cui è cagione una bella campagna, non consiste già solo nella vista d'oggetti vaghi e maravigliosi, come ho sentito dire ad alcuni, che non san forse, che al

fisico piacer degli occhi s'unisce una gran quantità di piaceri morali, dalla campagna stessa prodotti; ma di piaceri, che quanto volentieri si lascian sentire dell' anima, tanto mal s'offrono d'esser con penna descritti.

Quando dopo una lunga éstasi io ritorno a me stesso, è mi trovo in mezzo a quei fiori ed a quella verdura, ch' io più non vedea; il senso di tal vistà è si vivo, come se io mi trovassi per la prima volta tra quegli oggetti campestri, o come se io gli avessi perduti, e poi racquistati. Quando m'entra nelle stanze per la finestra l'odor del fieno tagliato, non è gia il solo piacer de' sensi, ch' io gusto, benchè scossi molto piacevolmente ma in quell' odore io veggo come una descrizion compendiosa ed enèrgica di tutte le delizie della campagna; se qualche mattina il canto degli augeletti più forse del solito mi risveglia, quel ch' io non vorrei che per altra cagione mi accadesse, non è già quel canto che allora mi piaccia, ma veggo quasi epilogata in esso la piacevol giornata, che passar dovrò. Tanto piace all' anima l'essere avvisata improvvisamente, e d'ogni cosa in un solo istante.

Potrebbon credere alcuni, ch' io giunto qui, volessi tosto sapere, a chi apartenesse l'una o l'altra casa, che mi s'offeriva agli occhi, e questo o quello domandassi delle strade, onde non ismarrirmi nelle mie passeggiate: ch' io desiderassi di conoscer subito la faccia del luogo. Ogni altra cosa più, che questo io desiderava. Nè Colombo, quando scoperse l'America, nè il capitano Cook, nè alcun altro celebre navigatore al trovare una sconosciuta isola, fu cosi lieto, come io d'un nuovo sentiero : è per me come aver trovato un piacer nuovo, che m'abbellisce ancor più il soggiorno da me scelto, e lusinga il mio amor proprio, giustificando con una ragion di più la mia scelta.

Trovato il nuovo sentiero, io v'entro subitamente, o a piedi, o ch'io sia a cavallo, e lo segno fin dove mi guida. Quanto è dolce il dire in un bel luogo riposto e selvaggio: forse nessun occhio osservatore penetrò sin qui. Mi perdo talvolta, nè però, se incontro persona, richiedola della via, non volendo privarmi d'un altro piacer grandissimo, quando dopo molti rivolgimenti io riesco in parte già nota, donde assai lieto, non monta se per tempo, o tardi, a casa io ritorno. Quanto alle case di campagna, cosa ingratissima colui mi farebbe, che il nome mi dicesse de' signori di quelle, Chi mi vieta, non sapendolo, di pensare che alberghino là cortessimi uomini, e donzelle modeste non men che belle, virtuose non men che accorte ? ed albergandovi, perchè non le incontrerò io alcuna volta ne' miei pa sseggi? Saran di ninfa i lor passi, sarà d'angelo la voce loro; e quanto con la memoria di quelli, e di questa non rallegrerò io qualche momento men sereno della mia solitudine, quando

Ruit arduus æther,

Et pluvià ingenti sata læta boumque labores
Diluit?

Veggo un torrente : niun mi dica donde viene, e sin dove giunge. E ch' è mai dietro a quel colle ? o ch'io nol sappia, ◊ voglio chiaririnene io stesso. Se la mia vita fosse cosi acuta e possente, che veggendo una montagna, io scorges si ogni suo boschetto, ogni vallicella, ogni grotta, mal mi sa prebbe

Le ciel descend en eaux, et couche sur les plaines,
Ces riantes moissons, vains fruits de tant de peines.
DELILLE, Géorg., l. 1.

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