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sità, ma chiamati spesso dall' interesse di cose maggiori, volgono l'animo ad altro: poi credo che il Gran Duca possa compiacersi di andare mirando con uno degli occhiali di V. S. la città di Firenze, e qualche altro luogo circonvicino; ma per qualche suo bisogno importante, gli sarà di mestiere vedere quello che si fa per tutta Italia, in Francia, in Ispagna, in Allemagna, ed in Levante egli ponerà da un canto l'occhiale di V. S. la quale sebben con il suo valore troverà alcuno altro stromento utile per questo nuovo accidente, e chi sarà colui che possa inventare un' occhiale per distinguere i pazzi da i savj, il buono dal cattivo consiglio, l'architetto intelligente da un prete ostinato ed ignorante ? chi non sà che giudice di questo dovera essere la Ruota d'un' infinito numero di miglioni di sciocchi, i voti de' quali sono stimati secondo il numero, e non a peso?

Non voglio più diffondermi nel suo interesse, perchè già da principio mi obbligai stare al suo giudizio e volere. Gli atri amici di V. S. E. parlano molto diversamente ; anzi uno che già era de' suoi più cari, mi ha prottestato di rinunziare alla mia amicizia, quando io avessi voluto continuare in quella di V. S., la quale siccome non può recuperare il perduto, così mi persuado che saprà conservare l'acquistato; ma quell' essere in luogo dove l'autorità degli amici del Berlinzone', come si ragiona, val molto, molto ancora mi travaglia...........

Francesco Redi at Signor Vincenzio da Filicaja.

ASSAGGI un poco questo claretto 2. E' un claretto della mia villa degli Orti, ed è figliuolo di certi magliuoli che il

1 Questi era un Padre Gesuita emulo, anzi nemico del Galilec. 2 Vin bianco della Toscana.

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Sereniss. Gran Duca mio sig. fece venire di Provenza per la sua villa di Castello; e me ne fece grazia di alcuni fiaschi, acciochè ancor io bevendo a suo tempo del lor liquore, potessi con la mente più svegliata applicare al servizio della A. S. Serenissina. Ma adagio un poco. Non pensi V. S. Hlustriss. di averselo a tracannare a uso ed a isonne'. Signor nò. Io glielo mando con una più che usuraja intenzione. Quando ella avrà terminato di stampar le sue divine canzoni, voglio supplicarla a leggere di proposito ed a tavolino il mio Ditirambo; ed a farmi grazia di osservare con ogni rigore se veramente, intorno a' vini della Toscana, il mio giudizio sia stato giusto, e se io abbia saputo ben distenderlo in carta. Spero col suo ajuto, e con i suoi amorevoli consigli poterne tor via la ruvidezza, il troppo ed il vano. Beva ella intanto il claretto. Di casa, 8 maggio 1684.

Lorenzo Magalotti al Sig. Vincenzio Viviani.

IN pochissime parole voglio scrivervi una lettera piena d'amore, e di libera e sincera amicizia. Io so che avete ricevuto, poche settimane sono, il solito donativo del Re3, e me ne rallegro; vorrei bene, che avanti che si maturi il termine di quest' altro, si fosse veduta questa benedetta vita di Galilèo, o qualche altra cosa di vostro; perchè, a dirvela, credo, che qui s'aspettasse un pezzo prima il vostro tributo di corrispondenza, e non vorrei che dovendosi avverare quello, che mi fu detto l'altro giorno, si cominciasse da voi, per far ridere una mano di maligni invidiosi,

Gratis, sans aucun frais, etc. (Senza interesse alcuno.)

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2 Intitolato Bacco in Toscana, considerato generalmente dagl' Italiani, come un capo d'opera.

3 Luigi XIV.

che sopportano di mal cuore quell' illustre testimonio dell' eccellenza della vostra virtù sopra della loro. Mi disse dunque un amico, che può sapere qualche cosa, che quest' anno era stata riformata la pensione ad una mano di sudditi di S. M., ed in specie a M. Menagio, per non aver fatto nulla, e che quest' altro anno verisimilmente si farà l'istesso giuoco a de' forastieri, «perchè, soggiunge, M. Colbert vuole che si scriva. » Io vi dico inoltre, che accompagnando la vita col bronzo accennato ', non dubito, che non sia per essere applauditissima la vostra generosità; credo `bene, e scrivo per vostra notizia, che la vita sola sarebbe stimata un poco scarsa in capo a tanto tempo, e la mia congettura è fondata su quello che m'ha detto un altro (rimanga tra noi eternamente), che le vite de' Pittori 2, benchè stimatissime per l'erudizione, non hanno finito di appagare per la parvità della materia; il che non lascerò di dire al mio ritorno anche al sig. Dati, non essendo a lui quest' avviso cosi necessario, come a voi che avete ancora a cominciare. Potete credere, che dove ho creduto bisognare, ho preso i passi innanzi, e parlando di voi ho esaggerato, anche per la verità, le vostre inevitabili occupazioni. Ma, Cecino mio, il Re è padrone di fare del suo quel che vuole; dico che la pretensione è un pò dura, e che la pensione sfiora in parte la generosità del dono però bisogna aver pazienza, come l'ho io, che avendovi scritto di Brusselles e di Londra, ed avendovi mandate le lettere sotto coperta di mio fratello, non mi avete risposto mãi. Vi voglio però tutto il mio bene, e vi sono amico e servitore come prima. Addio.

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Parigi, 20 maggio 1668.

Il busto di Galilei, maestro di Viviani.
Vite de Pittori antichi

di Carlo Dati. Firenze, 1667

Franc. Redi al Padre NN.

SER Cecco dal Pian di Giullari, che in Firenze teneva scuola di grammatica, in quella viuzza che sbocca nella via del corno in testa, soleva dire, che il male è sempre male, e che non s'appiccia mai addosso ai poveri cristiani, se non far loro del male imbuondato. Io per me, per che non sono un' oca, e so ben distinguere i fagiani dalle lucèrtole, ho trovato falso questo suo detto, con l'esperienza fattane a mie proprie spese, e dal małe cosi lungo dell' anno passato ne ho ritratto un bene, che veramente è ben ragione, da dargli dell' Eccellenza. E questo bene si è una dolce saporita, sbracata e tranquillaccia infingardaggine, la quale e di giorno e di notte mi va bucinando, e vispigliando nel buco delle orecchie, che chi ama di durar fatica in questo mondo, e di scalmanarsi a vànvera, corre risico di perder la sanità, e quel che più importa, di andarsene prima del suo tempo a baboriveggoli; o, come dice il vecchio proverbio, a patrasso. Per tanto io son divenuto un solennissimo perdigiorno; me ne sto perpetuamente con le mani in mano, o al più con le mani a cintola, e mi borio di essere il vivo ritratto di don Agiato da caval di riposo 2, e veramente di qualcheduno di quei venerandi Pancaccieri,

Che non fero altro mai fin dalle fasce,.
Ch'appuntellar co' polsi le ganasce.

Or che voglio io inferire con questa intemerata? Lasciando le burle, non voglio dir altro a Vostra Reverenza, se non

Prov. latin, Ire ad patres.

2 Prov. florent.

che questa suddetta mia infingardaggine è stata la vera cagione, che così di rado, anzi di radissimo, ho scritto a Vostra Reverenza; perchè quanto al resto, il mio ossequio e la mia riverenza verso di lei è più in fiore che mai. Così avessi io una volta forze, e congiuntura di poterglielo mostrare coll' opere, come io glielo dico con le parole!

Metastasio al Conte di Canate.

Vi rimando, veneratissimo signor conte, il Trattatino de' doveri del ministro di M. Pequet, che vi è piaciuto prestarmi. L'hò attentamente letto, e l'ho ritrovato degnissimo dell' elogio, che me ne avevate fatto. È per verità un poco men disteso di quello che per avventura bisognerebbe; ma chi volesse fabbricarvi sopra, troverebbe in esso e l'ottimo disegno, e l'esatissimo piano, e tutte, per dir così, le necessarie parti d'un eccellente edifizio. Pure cotesto laconismo, innocente per altro in tutto il corso dell' opera, parmi che divenga reprensibile nell' articolo, in cui si tratta della buona fede del ministro. Ne accenna l'autore la necessità, ma così fuggitivamente, che mi lascia în dubbio, s'egli ne abbia creduta la pruova o superflua, o impossibile. Nel corto raziocinio degli uomini malvagj ha sempre prevaluto l'utile all' onesto, come se fossero separabili; ma dopo che il segretario fiorentino à sollevato il vizio alla categoria delle scienze, cotesto non men falso che reo principio, quasi che da lui giustificato, è divenuto la dottrinà arcana de' gabinetti. Tutte le apparenti proteste di buona fede non son più in uso che per deludere la credula simplicità di noi altri poveri profani, e non hanno maggior valore di quello che abbiano le proteste di servitù, di ubbidienza, con le quali tutto di, per mera civil costumanza scambie volmente ci ono

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