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ULISSE.

Ora tu mi narri il vero frutto delle tue dottrine; e conosco, che tu sei qui pazzo, quanto fosti in Tebe; e però va, ch'io ho perduto troppo tempo con un' Ombra, la quale ha portato seco una pazzia così grande dall' altro mondo. Il conte GASparo Gozzi.

ET MORCEAUX ORATOIRES.

Pacuvio Perolla al suo figliuolo.

Io ti prego, o figliuol mio, e scongiuro per lo vincolo di tutte quelle ragioni, le quali congiungono i figliuoli a' padri, che tu non voglia ne fare, ne patire innanzi agli occhi di tuo padre tanto abominevol cosa. Sono pochissime ore, che noi giurammo per tutti gl' Iddii, e toccando l'uno all' altro la mano, ci demmo scambie volmente la fede per mangiare insieme delle sagre mense, ed appena partiti da' primi abbocamenti subitamente pigliamo contra di lui l'arme. Tu ti levi pur ora dalla mensa ospitale, alla quale tu sei stato posto da Annibale, il terzo uomo di tutt' i Capovani, e vuoi macchiare la medesima mensa del sangue dell' amico, ed ospite tuo. Io ho potuto, come padre, placare Annibale al mio figliuolo, e non potrò placare il mio figliuolo ad Annibale? Ma se appresso di te non si trovi cosa alcuna santa, non fede, non religione, non pietà alcuna, e se queste cose giuste non ti muovono, sieno da te seguitate le infande e le scelerate; se con la sceleratezza insieme, quelle non ci arrecano l'ultima ruina nostra. Vorrai tu solo assaltare Annibale ? Che farà quella turba di tanti uomini liberi e servi, ch'egli ha d'intorno? Che faranno gli occhi di tanti che riguardano in un solo ? e che tante mani ? pensi tu, che l'abbiano ad esser indormentite in quella tua mattezza? Credi

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tu poter soffrire di riguardare quella faccia di Annibale, che fa tremare gli eserciti, e che mette orrore al popolo romano? E quando tutti gli altri soccorsi mancassero, basteratti egli mai l'animo di ferire mè, che ti offerirò il corpo mio per Annibale ? Perciocchè pel mezzo del petto mio ti converrà ferire Annibale: voglia più tosto restare spaventato ora qui da me, che quivi sul fatto rimanere vinto : Vagliano appo di te i prieghi miei, siccome oggi valsero appresso Annibale per tè'.

M. JACOBO NARDI. T. Livio tradotto,

1. XXIII, c. VIII.

Catilina, prima di combattere, a' suoi Guerrieri.

CHE le parole non accrescono ai forti coraggio, mi è noto, o soldati: ne per arringare di Duce, un fiacco esercito imbelle diventò prode mai nè possente. Quanto ha d'ardire ciascuno dalla natura o dall' arte, altrettanto in guerra ei ne mostra. Vano è l'esortare coloro, che non per gloria si destano, e non per pericoli: sordi il timor li fa essere. Io, per rimembrarvi alcune cose soltanto, e darvi ad un tempo ragione del mio operare, vi aduno. Già voi sapete quanta rovina abbia Lentulo a se procacciata ed a noi tutti, colla inerzia e dappocaggine sua; e come gli in vano aspettati sussidj mi abbiano la via delle Gallie intercetta. Sappiate ora dunque voi pure quant' io qual è il nostro stato. Di verso Roma da Antonio, di verso le Gallie da Celere fra due nemici siam colti. Il bisogno di viveri, la necessità d'ogni cosa, ci vietan lo starci dov'or ci troviamo, ancorchè il coraggio nostro il volesse. Qual via che scegliate, sgombrar

'V. le Lezioni antiche Latine, t. I e II.

vela è forza col ferro. Vi esorto perciò a raccoglier da prodi il vostr'animo, e ricordarvi nel venire alla pugna, che le ricchezze, gli onori, la gloria, la libertà, e la patria, in mano vostra son poste. La vittoria ci assicura le vettovaglie, i municipj e le colonie disserraci: ma se al timore cediamo, noi troverem tutto avverso; luogo non rimanendo, nè amici, in difesa di quelli che schermo farsi nol sepper coll' armi. Nè un impulso istesso, o soldati, incałza ora noi ed i nemici: noi per la patria, per la libertà, per la vita; di mal animo essi per la potenza di pochi combattono. Memori perciò del prisco valore, fieramente investiteli voi. In vergognosissimo esilio gran parte trascinar della vita, o in Rcma dalle ricchezze altrui risarcimento aspettare alle vostre, si turpe stato a voi parve intollerabile per uomini veri, e per uscirne quest' armi impugnaste. Se anco deporle or volete, mestieri è l'audacia: che niuno mai, se non se vincitore, la guerra scambiò con la pace. Lo sperar salvezza nella fuga, senz' armi in difesa adoprare, è mera stoltezza: Grandissimo sempre in battaglia il pericolo, per chi grandemente il paventa: ma impenetrabile scudo, è l'ardire. Se a voi, soldati, ed alle imprese vostre rivolgo il pensiero, alta speranza ne traggo di vincere. Il senno, il coraggio, la virtù vostra vi esortano; e la necessitade vieppiù, quello stimolo che per anco icodardi fa prodi. Attorniarviinemici non possono, attesa l'angustia del luogo. Ma se fortuna pure il valor vostro invidiasse, al non morire invendicati badate; é pria d'esser presi e come vil gregge scannati, feroci cosi combattete, che sanguinosa e lagrimevol vittoria al nemico rimangane.

ALFIERI. Guerra di Catilina.

Galgaco ai Britanni.

QUALUNQUE volta io considero le cagioni della guerra e le nostre necessità, credo certo il giorno d'oggi, e la vostra unione dover essere a tutta Britannia principio di libertà. Niuno di voi ha provato servitù; altra terra non ci ha ove fuggire; ne il mare è sicuro, soprastandoci l'armata romana; si che il combattere, e l'armi, gloria de' valorosi, sono anche sicurezza de' timidi. Le passate battaglie fatte con varia fortuna co' Romani si fondavano nelle nostre forze e soccorsi; perchè noi come di tutta Britannia nobilissimi, per ciò serbati in questo suo ultimo ricetto, non vedevamo liti schiavi, non violava i nostri occhi presenza di padroni. Noi ultimi abitatori della terra, e mantenitori della libertà, ci defendiamo in questo angolo di Britannia. Oggi è aperto, e pensasi che oltre là, come d'ogni novità non sapula avviene, siano mirabilie; ma e' non ci è altro che onde e sassi; e quel ch'è peggio, i Romani; la cui superbia per osservanza o modestia non fuggiresti. Ladroni del mondo, cui non rimanendo più terra a disertare, rifrustano il mare. Se trovano nimico ricco, sono avari; se povero, ambiziosi. Levante e Ponente non gli empierebbe; soli essi di pari bramano ricchezza e povertà. Con falsi nomi chiamano imperio il rubare, scannare, e rapire; e pace, il desolare. Natura ha voluto che ciascheduno i figliuoli e parenti suoi abbia carissimi; questi si son fitti nelle milizie, e dileguati a servire. Mogli e sorelle, quando non le sforzano da nimici, le vituperano come ospiti ed amici. Tolgono i beni per li tributi, le grasce per l'abbondanza; straziano i corpi in far legne ne' boschi, strade ne' fanghi, con bastonate ed oltraggi. Gli schiavi nati a servire son da' padroni venduti

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