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ad un fosso, fatto con grandissima paura questa notte, coperti i fanti dall' argine, e confidatisi nelle carrette armate, come se la battaglia si avesse a fare con quest' istrumenti puerili, e non con la virtù dell' animo, e con la forza dei petti, e delle braccia. Caverannogli ( prestatemi fede) di queste loro caverne le nostre artiglierie, condurrannogli alla campagna scoperta e piana; dove apparirà quello, che l'impetor franzese, la ferocia tedesca, e la generosità degl'Italiani vaglia più che l'astuzia, e gl' inganni spagnuoli. Non può cosa alcuna diminuire la gloria nostra, se non l'esser noi tanto superiori di numero, e quasi il doppio di loro; e nondimeno l'usar questo vantaggio, poichè ce lo ha detto la fortuna, non sarà attribuito a viltà nostra, ma ad imprudenza, e temerità loro; i quali non conduce a combattere ilcuore, o la virtù, ma l'autorità di Fabbrizio Colonna, per le promesse fatte inconsideratamente a Marcantonio; anzi la giustizia divina, per gastigare con giustissime pene la superbia, ed enormi vizj di Giulio falso pontefice, e tante fraudi e tradimenti usati alla bontà del nostro Re dal perfido Redi Aragona. Ma perchè mi distendo io più in parole? Perchè con superflui conforti appresso ai soldati di tanta virtù differisco io tanto la vittoria, quanto di tempo si consuma a parlar.con voi? Fatevi innanzi valorosamente secondo l'ordine dato, certo che questo giorno darà al mio Re la signoria, a voi le ricchezze d'Italia? Io vostro capitano, sarò sempre in ogni luogo con voi, ed esporrò, come son solito, la vita mia ad ogni pericolo, felicissimo più che mai fosse alcun capitano, poichè ho a fare con la vittoria di questo di, più gloriosi, e più ricchi i miei soldati, che mai da tre cento anni in quà fossero soldati, o esercito alcuno.

LO STESSO. L. X.

Luigi Guicciardini, Gonfaloniere di Firenze, ai Magistrati dell' Arti, per quietar il popolare furore.

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SE questi signori, ed io insieme con loro, non avessimo, buon tempo è, conosciuta la fortuna di questa città, la quale fa che, fornite le guerre di fuora, quelle di dentro comincino, noi ci saremmo più maravigliati de' tumulti seguiti, e più ci avrebbero arrecato dispiacere. Ma perchè le cose consuete portano seco minori affanni, noi abbiamo i passati romori con pazienza sopportati, sendo massimamente senza nostra colpa incominciati, e sperando quelli, secondo l'esempio de' passati, dovere aver qualche volta fine, avendovi di tante e si gravi domande compiaciuti. Ma presentendo come voi non quietate,, anzi volete che a' vostri cittadini nuove ingiurie si faccino, e con nuovi esilj si condannino, cresce con la disonestà vostra il dispiacere nostro. E veramente se noi avessimo creduto, che ne' tempi del nostro magistrato la nostra città, o per contrapporci a voi, o per compiacervi, avesse a rovinare, noi avremmo, o con la fuga, o con l'esilio, fuggiti questi onori. Ma sperando avere a convenire con uomini, che avessero in loro qualche umanità, ed alla loro patria qualche amore, prendemmo il magistrato volentieri, credendo con la nostra umanità vincere in ogni modo l'ambizione vostra. Ma noi vediamo ora per isperienza, che quanto più umilmente ci portiamo, quanto più vi concediamo, tanto più insuperbite, e più disoneste cose domandate. E se noi parliamo così, non facciamo per offendervi, ma per farvi ravvedere; perchè noi vogliamo che un altro giudichi quello che vi piace, noi vogliamo dirvi quello che vi sia utile. Diteci per

vostra fè: qual cosa è quella che voi possiate onestamente più desiderare da noi? Voi avete voluto torre l'autorità ai Capitani di parte la si è tolta; voi avete voluto che faccinsi nuove riforme noi l'abbiamo acconsentito; voi voleste che gli ammoniti ritornassero negli onori : e' si è per- ́ messo. Noi, per i prieghi vostri, a chi arse le case e spogliate le chiese, abbiamo perdonato; e si sono man Jati in esilio tanti onorati e potenti cittadini per soddisfarvi. I grandi, a contemplazione vostra, si sono con nuovi ordini raffrenati. Che fine avranno queste vostre domande, 0 quanto tempo userete voi male la liberalità nostra? Non vedete voi, che noi sopportiamo con più pazienza l'esser vinti, che voi la vittoria? A che condurrano queste vostre disunioni questa vostra città? Non vi ricordate voi, che quando la è stata disunita, Castruccio, un vil cittadino Lucchese, l'ha battuta? Un duca d'Atene, privato condottiere vostro, l'ha soggiogata? Ma quando l'è stata unita, non l'ha potuta superare un Arcivescovo di Milano ed un Papa; i quali, dopo tanti anni di guerra, sono rimași con vergogna. Perchè volete voi adunque, che le vostre discordie quella città nella pace faccino serva, la quale tanti nimici potenti nella guerra hanno lasciata libera? Che trarrete voi dalle disunioni vostre, altro che servitù ? O da' beni che voi ci avete rubati, o rubaste, altro che povertà? Perchè sono quelli, che con le industrie nostre nutriscono tutta la città, de' quali sendone spogliati non potremo nutrirla; e quelli che gli averanno occupati, come cosa male acquistata, non gli sapranno preservare; donde ne seguirà la fame e la povertà della città. Io e questi signori vi comandiamo, e se l'onestà lo consente, vi preghiamo, che fermiate una volta l'animo, e siate contenti stare quieti a quelle cose che per noi si sono ordinate; e quando pure ne voleste alcuna di

nuovo, vogliate civilmente, e non con tumulto e con l'armi domandarle; perchè, quando le siano oneste, sempre ne sarete compiaciuti, e non darete occasione ai malvagi uomini con vostro carico e danno sotto le spalle vostre di rovinare la patria vostra'. »

Queste parole, perchè erano vere, commossero assai gli animi di quelli cittadini, e umanamente ringraziarono il Gonfaloniero di aver fatto l'ufficio con loro di buon signore, e con la città di buon cittadino, offerendosi esser sempre presti ad ubbidire a quanto era stato loro commesso.

Mentre che queste cose si procedevano, nacque un altro tumulto, il quale assai più che il primo offese la Repubbli- ́ ca.... Gli uomini plebei erano pieni di sdegno, al quale aggiugnendoci la paura per le arsioni, e ruberie fatte da loro, convennero di notte più volte insieme per discorrere sui casi seguiti, e mostrando l'uno all' altro i pericoli, in che si trovavano. Dove alcuno de' più arditi e di maggiore sperienza, per inanimire gli altri, parlò in questa sentenza:

«SE noi avessimo a deliberare ora se si avessero a pigliare l'armi, ardere e rubare le case de' cittadini, spogliare le chiese, io sarei uno di quelli che lo giudicherei partito da pensarlo, e forse approverei che fosse da preporre una quieta povertà ad un guadagno pericoloso. Ma perchè l'armi sono prese, e molti mali sono fatli, mi pare che si abbia a ragionare come quelle non si abbiano a lasciare, e come de' mali commessi ci possiamo assicurare. Io credo certamente, che quando altri non c'insegnassero, che la necessità c'insegni. Voi vedete tutta questa città piena di rammarichi, e di odio contro di noi : i cittadini si ristringono; la signoria

V: Tit. Liv. Disc. di Quintio Capitolino, I. III, c. LXVIII.

è sempre coi magistrati. Crediate che si ordiscono lacci per noi, e nuove forze contra le teste nostre si apparecchiano. Noi dobbiamo pertanto cercare due cose, ed avere nelle deliberazioni nostre due fini : l'uno, di non potere essere delle cose fatte da noi ne' prossimi giorni, gastigati: l'altro, di potere con più libertà e più soddisfazione nostra, che per il passato, vivere. Convienci pertanto, e secondo che a me pare, a voler che ci siano perdonati gli errori vecchi, farne de' nuovi, raddoppiando i mali, e l'arsioni e ruberie moltiplicando, ed ingegnarsi a questo aver di molti compagni. Perchè dove molti errano, nissuno si gastiga, ed i falli piccioli si puniscono, i grandi ed i gravi si premiano. E quando molti patiscono, pochi cercano di vendicarsi ; perchè l'ingiurie universali con più pazienza che le particolari si sopportano. Il moltiplicare adunque ne' mali ci farà più facilmente trovar perdono, e ci darà la via ad aver quelle che per la libertà nostra d'avere desideriamo. E parmi che noi andiamo ad un certo acquisto; perchè quelli che ci potrebbero impedire, sono disuniti e ricchi; la disunione loro pertanto ci darà la vittoria, e le loro ricchezze, quando sieno diventate nostre, ce la manterranno. Nė vi sbigottisca quella antichità del sangue, che ei ci rimproverano. Perchè tutti gli uomini, avendo avuto un medesimo principio, sono ugualmente antichi, e dalla natura sono stati fatti ad un modo. Spogliateċi tutti ignudi: voi ci vedrete simili; rivestite noi delle vesti loro, ed eglino delle nostre : noi senza dubbio nobili, ed eglino ignobili parranno, perchè solo la povertà e le ricchezze ci disagguagliano. Duolmi bene che io sento come molti di voi delle cose fatte per conscienza si pentono, e dalle nuove si vogliono astenere. E certamente, se egli è vero, voi non siete quelli uomini che io credeva che voi foste ; perchè nè conscienza nè infa

cose,

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