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possa ritrattare e direttamente contravenire alle obligazioni, che i suoi medesimi prelati hanno solennemente fatte; la confederazione essere stata fatta tra Massimiliano, ed il Re di Francia con grande ardore, ma non essere simili gli animi de gli altri collegati, perchè il Re cattolico vi aderiva mal volentieri, e nel Pontefice apparivano segni delle sue consuete vacillazioni, e sospetti, però non essere da temere più della lega fatta a Cambrai, che di quello che altra volta a Trento, e dopo a Blès avevano convenuta col medesimo ardore i medesimi Massimiliano, e Luigi, perchè alla esecuzione delle cose determinate repugnavano molte difficultà, le quali per sua natura erano quasi impossibili a svilupparsi; e perciò il principale studio e diligenza di quel senato doversi voltare a cercare di alienare Cesare da quella congiunzione, il che per la natura, e per le necessità sue, e per l'odio antico fisso contro a' Francesi si poteva facilmente sperare, ed alienatolo non essere pericolo alcuno, che fusse mossa la guerra, perchè il Re di Francia abbandonato da lui non ardirebbe d'assaltargli più di quello, che avesse ardito per il passato: Doversi in tutte le cose pubbliche considerar diligentemente i principj, perchè non era poi in potestà de gl' uomini pentirsi senza sommo disonore, pericolo dalle deliberazioni già fatte, e nelle quali si era perseverato lungo tempo, avere i padri loro, essi successivamente atteso in tutte l'occasioni ad ampliare l'Imperio con scoperta professione di aspirare sempre a cose maggiori : di qui essere divenuti odiosi a tutti, parte per timore, parte per dolore delle cose tolte loro, il quale odio, benche si fusse conosciuto molto innanzi potere partorire qualche grande alterazione, non dimeno non s'erano però non allora astenuti d'abbracciare l'occasioni, che se gli offerivano, nè ora essere rimedio a presenti pericoli

cominciare a cedere parte di questo possedevano conciosiache non per questo si quieterebbero, anzi si accenderebbero gli animi di chi gli odiava, pigliando ardire dalla loro timidità, perche essendo titolo inveterato gia molť anni in tutta Italia, che il Senato viniziano non lasciava giammai quel che una volta gli era pervenuto nelle mani; chi non conoscerebbe, che il fare ora così vilmente il contrario, procederebbe da ultima disperazione di potersi difendere dai pericoli imminenti : cominciando a cedere qualunque cosa benchè piccola, declinarsi dalle riputazione, e dallo splendore antico della lora repubblica, onde augumentarsi grandemente i pericoli, ed essere più difficile senza comparazione conservare eziandio da' minori pericoli, quel che rimane a chi ha cominciato a declinare, che non è a chi sforzandosi di conservare la degnità, ed il grado suo si volge prontamente senza fare segno alcuno di voler cedere, contro a chi cerca d'opprimerlo; ed essere necessario disprezzare animosamente le prime dimande, o consentendole pensare d'averne a consentire molte altre, delle quali in brevissimo spazio di tempo risulterebbe la totale annullazione di quell' imperio e conseguentemente la perdita della propria libertà. Aver la Repubblica veneta, e ne' tempi de' padri, e ne' tempi di loro medesimi sostenuto gravissime guerre co' Principi christiani, e per avere sempre ritenuta la costanzia, e generosità dell' animo, riportàtone gloriosissimo fine. Doversi nelle difficoltà presenti, ancora che forse paressero maggiori, sperarne il medesimo successo, perchè la potenza, e l'autorità loro era maggiore, e nelle guerre fatte comunemente da molti principi, contro ad uno, soler essere maggiore lo spavento, che gli effetti; perchè prestamente si raffreddavano gl' impeti primi, prestamente cominciando a nascere varietà di parere, indeboliva tra loro la fede;

e dovere quel senato confidarsi, che oltre alle provvisioni, e rimedj, che essi farebbero da se medesimi, Dio giudice giustissimo non abbandonerebbe una repubblica nata, e nutrita in perpetua libertà, ornamento e splendore di tutta l'Europa; nè lascerebbe conculcare alla ambizione de' principi, sotto falso colore di preparare la guerra contro a gl'infedeli, quella città la quale, con tanta pietà, e con tanta religione era stata tanti anni la difesa, ed il propugnȧcolo di tutta la Repubblica cristiana.

GUICCIARDINI. L. VIII.

Orazione del Duca d'Alba a Carlo V, per esortarlo a non liberare il Re di Francia.

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Io sarò scusato, invittissimo Imperadore, se confesserò che in me non sia giudicio diverso dal giudicio comune, nè capacità di aggiugnere con l'intelletto a quello a che gl' intelletti degli altri uomini non arrivano; anzi sarò forse più lodato, se consiglierò, che si proceda per quelle vie medesime, che sono proceduti sempre i padri, e gli avoli vostri : perchè i consigli nuovi ed inusitati possono al primo aspetto parere forse più gloriosi e più magnànimi, ma riescono poi senza dubbio più pericolosi, e più fallaci di quelli, che in ogni tempo ha, appresso a tutti gli uomini, approvato la ragione e l'esperienza. La volontà di Dio principalmente, e di poi la virtù de' capitani, e del vostro esercito, vi ha data la maggior vittoria, che avesse già, sono molte età, alcun principe cristiano; ma tutto il frutto dell' aver vinto consiste nell' usare la vittoria bene; ed il non fare questo, è tanto maggiore infamia, che il non vincere ; quanto è più colpa l'essere ingannato da quelle cose, che sono in potestà di che s'inganna, che da quelle,

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che dipendono dalla fortuna ; dunque tanto più è da avvertire di non fare deliberazione, che vi abbia alla fine a dare appresso agli altri vergogna, appresso a voi medesimo penitenza; e quanto grave è l'importanza di quello, che si tratta, tanto si debbe procedere più circospetto, e fare maturamente quelle deliberazioni, ch' errate una volta, non si possono più ricorreggere e ricordarsi, che, se il Re si libera, non si può più ritenere, ma mentre ch'è prigione, è sempre in potestà vostra il liberarlo : nè dovrebbe la tardità dargli ammirazione, perchè, se non m'inganno, è conscio a se medesimo di quello, che farebbe, se Cesare fusse suo prigione. È stata certo cosa grandissima a pigliare il Re di Francia; ma chi considererà bene la troverà senza comparazzione maggiore a lasciarlo, nè sarà mai tenuto prudenza di fare una deliberazione di tanto momento senza lunghissime consulte, e senza rivoltarsela infinite volte per la mente. Nè sarei forse in questa sentenza, se io mi persuadessi, che il Re, liberato al presente, riconoscesse tanto beneficio con la debita gratitudine, e che il Papa, e gli altri d'Italia deponessino insieme col sospetto la cupidità e l'ambizione; ma chi non conosce, quanto sia pericoloso fondare una risoluzione tanto importante sù un presupposito tanto fallace, e tanto incerto? Anzi, chi considera bene la condizione ed i costumi degli uomini, ha più presto a giudicare il contrario; perchè di sua natura niuna cosa è più brieve, niuna ha vita minore, che la memoria de' beneficj, e quanto sono maggiori, tanto più (come è in proverbio) si pagane con l'ingratitudine; perchè chi non può o non vuole scancellarli con la rimunerazione, cerca spesso di scancellarli o col dimenticarseli, o col persuadere a sè medesimo, che non sieno stati si grandi; e quelli, che si vergognano d'essersi ridotti in luogo, che abbiano avuto

bisogno del beneficio, si sdegnano ancora d'averlo ricevuto : in modo che può più in loro l'odio per la memoria della necessità, nella quale sono caduti, che l'obbligazione per la considerazione della benignità, che a loro è stata usata. Oltra che, di chi è più naturale l'insolenza, più propria la leggierezza, che de' Franzesi? dov'è la insolenza è la cecità; dov'è leggierezza, non è cognizione di virtù ; non giudicio di discernere l'azioni d'altri, non gravità da misurare quello, che convenga a se stesso. Chè adunque si può sperare da un Re di Francia enfiato di tanto fasto, quanto ne può capire in un Re de' Franzesi, senonchè arda di sdegno, e di rabbia d'essere prigione di Cesare, nel tempo che pensava d'avere a trionfare di lui? Sempre gli sarà innanzi agli occhi la memoria di questa infamia, nè liberato crederà maí, che il mezzo di spegnerla sia la gratitudine, anz' il cercare sempre di esservi superiore; persuaderà a se medesimo, che voi l'abbiate lasciato per le difficoltà del ritenerlo, non per bontà o per magnanimità: così sempre la natura di tutti gli uomini, così sempre quella de' Franzesi, da' quali chi aspetta gravità o magnanimità, aspetta ordine, e regola nuova nelle cose umane. In luogo adunque di pace, e di riordinare il mondo; sorgeranno guerre maggiori e più pericolose, che le passate; perchè la vostra riputazione sarà minore, e l'esercito vostro, che aspetta il frutto debito di tanta vittoria, ingannato delle speranze sue, non avrà più la medesima virtù e vigore, nè le cose vostre la medesima fortuna, la quale difficilmente stà con chi la ritiene, nonchè con chi la scaccia. Ne sarà d'altra sorte la bontà del Papa, e de' Veniziani; anzi, pentiti d'avervi lasciato conseguire la passata vittoria, cercheranno d'impedirvi le future; e la paura, che hanno ora di voi, gli sforzerà a fare ogni opera

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