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Il Quadro d'Imenèo.

NARRASI che un Giovinetto ricchissimo, e bello d'aspetto, era innamorato gagliardamente d'una fanciulla tutta bellezza e modestia con la quale avendo già pattuito, e assegnato il giorno delle nozze, era il più contento, e gioval giovane, che vivesse a que' giorni. Tutti i pensieri suoi erano allegrezza, e speranza di godimento. Già gli parea di vedere con gli occhi il giorno delle nozze tutto sereno, gli sonavano negli orecchi gli strumenti, vedea le apparecchiate mense, gli amici, e i parenti in festa; e sopra tutto la sposa sua vestita riccamente, acconcia i capelli, come una Venere, e in somma si raggirava per cervello tutte le consolazioni, ch'io dico, e che non dico. In tanta festa e ricreazione d'animo fece venire a sè un pittore, e gli disse : « Pittor mio, io voglio che tu mi dipinga il giovinetto Imeneo Dio delle nozze. Io ho a sposarmi di quà ad un mese e debbo avere questo si caro, e benefico Nume nella mia -stanza. Ma vedi bene, chè tu me lo faccia a modo mio. Io voglio che tu mi dipinga un garzoncello tutto grazia, con un visetto di latte e rose; pienotto, con due occhiolini, sfavillino per la giocondità delle sue manine l'una terrà una facellina con una fiammolina chiara, e se tu puoi fare, che la sua luce somigli quella del sole, si la farai tale; l'altra avrà una finissima catena d'oro con maglie, che a pena si veggano, fornita quà e colà di diamanti. Abbia d'intorno le Grazie, qualche Amoretto, i Giuochi, gli Scherzi, e Risolini. In somma ed egli e tutta la famiglia sua fa che sia una delizia, e una consolazione. » Il pittore, accettata la commessione, va a casa sua; squaderna libri di mitologia, s'empie la testa, e il cuore di quanta allegrezza sà, e può,

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e con l'immaginativa pregna dello studiato, e dell' inventato, disegna, e dipinge un Imeneo tale, che parea dipinto fra i suoni, e i canti dell' Olimpo. Arreca il quadro suo al giovine, lo scopre ! Questi lo guarda, e loda: ma non pienamente. Maggiore era ancora l'allegrezza sua intrinseca di quella, che vedea nel quadro. Ordina al Pittore, che lo ritocchi, che faccia più lieto l'Imeneo, più gioconde le figure, che avea d'intorno. Il Pittore promette, e nel riporta seco. Il tempo era breve; si fanno le nozze prima, che sia compiuto il quadro. Passano quindici di in circa dopo il matrimonio, e il Pittore ritorna con la tela sua, la quale avea lasciata qual era prima, senza metterle pennellata sopra. Il giovane la vede, e dice: « Ohi! troppo più, ch'io non volea, l'avete voi fatto ora lieto questo Imeneo. Quelle labbra ridono più del dovere, questa catena vorrebbe essere un pò più grossa, quella facella è soverchiamente chiara ; e dovrebbe gittar fuori un poco di fumo. » Che dirò io più ? Che in due mesi lo volea dipinto con le lagrime agli occhi, con una catena grossa due dita da galeotto, e con un tizzone rovesciato in cambio di facella. Ma il Pittore, ch'era uomo di giudizio, non volle far questo scandalo, anzi dipinse un certo Imeneo, che veduto fuori per un cristallo da lontano parea tutto festevole e ridente, e veduto da vicino, facea all' incontro una bocca, e due occhi da piangere, che parea battuto, e in tal guisa soddisfece alla volontà degli amanti, e degli ammogliati.

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Il conte GASPARO GOZZI.

Il Sorger del Sole, veduto da Portici.

IL levar del sole bello è dappertutto: ma qui certamente più bello che altrove. Non so se abbiate sorpreso mai i primi

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raggi, allorchè vengono alzandosi dietro al Vesuvio. Il fumo di questo colori va prendendo così varj e scherzevoli da vincere l'iride d'assai; rimpetto il tremolar sempre più lucente del mare e a poco a poco l'immensa Napoli, le isole, monti, le colline che il golfo coronano, spiccar fuori per dir così dal capo che gl' investe, e splendere variamente quà, e là, come meglio al sol nascente son volti.

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La cima del Vesuvio rassomiglia ad un incendio, allorchè l'intero globo della luce è fuori; e apparisce come posar su di essa l'estremità inferiore de' raggi : su per la falda della montagna stendonsi strisce di irrequieta nebbietta d'oro; e finalmente spalancasi il teatro della costiera soggetta tutto lieto e brillante del lume più forte. Direste che il sole venga fuori unicamente per questo cratere; cosi pompeggia egli, cosi l'occhio distingue tutti gli effetti, ch'ei vi va producendo, anzi per entro vi spazia; e così questi effetti son varj, nuovi, abbaglianti.

L'abbate de' GIORGI BERTOLA. Lettere campestri. 1780.

Il tramontar del Sole.

UNAdelle più rare scene che la campagna ci offra, è quella del sole nel suo tramontare. Ella m'è ancor più cara di quella del sol nascente, forse in grazia d'una di quelle considerazioni, che si fanno quasi senza avvedersene. Il sole, che nasce, sappiamo che rimarrà con noi per alcune ore: quello, che muore, nol rivedremo che il giorno appresso. Ora non è egli cosi d'ogni cosa, che allora ci par più preziosa e grande, che ci sfugge e abbandona? Ma se allor penso a l'origine bassa e terrestre di quelle nubi, ond'è circondato, e nelle quali egli scherza si vagamente co' lucidi

suoi colori; se penso a quella distanza, che tra le nubi e lui grandissima corre: se mi ricordo, che quando egli tramonta, come allor che sorge, io non veggo già lui, ma l'immagine sua posteriormente, come anteriormente nel sorgere, da quelle ingannatrici della rifrazioni dipinta, no' la scena del sol cadente non è più quella. Non veggo più con egual piacere per metà immerso l'orbe suo cotanto ingrandito, non la rossa curva, che dar sembra un'ultima occhiata al mondo, e poi sparisce ad un tratto, non quella polve d'oro, o piuttosto d'ambra, che tosto si leva, finchè, dileguandosi a poco a poco, cede il luogo ad un bel candore, e questo alla porpora del crepuscolo ancor più belia : mentre con l'aure della sera, con le rugiade, e con l'ombre, che van succedendoși una più bruna della l'altra, viene il silenzio, la calma, il riposo, la meditazione, e i piaceri tutti dell' anima a regnar vengono su l'oscurato emisféro.

Il conte IPPOLITO PINDENMONTE. Lettere cam

pestri.

La Notte.

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MENTRE i miei concittaddini si stanno seduti ad una scenica rappresentazione, io godo d'altro spettacolo di quello d'una notte serena e tranquilla. Conviene, a ben goderne, esser nell' aperto d'una taciturna campagna. Che beltà che magnificenza nel cielo! qual ricchezza, qual lusso e pompa di maraviglie sotto l'apparenza d'innumerabili diamanti, che fiammeggiano attaccati alla celeste volta : e quanto non è soave questa universal quiete, quanto non è eloquente questo silenzio della natura che dorme! La notte ha un certo che di sublime insieme e di dolce, ch'è un vero incanto

dell' anima; la quale, non so se più amante di ciò che la colpisce, o di quello chela inteneris ce, allora particolarmente sentesi commossa, che si destano in lei ad un tempo, e si confondono i sentimenti teneri, e i grandi.

LO STESSO.

La Luna.

E tu, o bellisima Luna, tu, malgrado delle irregolarità, de' capricci, per dir così, del tuo corso, tanto più grandi, che senti si fortemente l'attrazion della terra, e quella del sole ad un tempo, dovesti pur sottometterti finalmente aj calcoli umani, nè già più ti trovi in alcun sito del cielo, che gli uomini prima non sappian determinarlo. La filosofia par convenire sul tuo conto con la mitologia; ritrosa per lungo tempo e indocile, fu Newton il vero Endimione, che alfin ti vinse. Ma oggi sei tu forse inerte, e agghiacciata, o piena ancora di movimento e di vita? Variano, o no, le tue ineguaglianze così nella forma, come nella grandezza loro? S'inganna, o no, chi scorge in te dei volcani ? chi non ti nega un' atmosfera ? Influisci tu sulla nostra, e sul nostro suolo, come dominar sembri sul mare, attraendolo a te, quasi per avvicinarti alquanto l'immenso specchio, in cui miri te stessa? Ma più, che l'andarti con mente filosoficá considerando, mi giova, abbandonato a' miei sensi, ricever nell' occhio a un tempo e nell' anima, che ti apro tutta, e quella soave, e nobile melanconia, che piove dalla tua faccia; massimamente in quest' ora, che, l'ardente sol tramontato, tu ci ridoni il suo lume, ma spogliato della sua fiamma, ed un più dolce e più mansueto giorno spargi sopra la terra; mi giova, o vederti passar lentamente dietro quelle nubi, che ora mi ti celano, ed ora scuoprono; o nell'azzurra volta

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