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COMMISSIONE XI.

[An. 1405]

La Signoria di Firenze, scrivendo a Carlo VI re di Francia a' 24 d'aprile del 1404 (Documenti di storia italiana; Firenze, 1836-7; vol. I, n.o 1), prometteva di mandargli un'ambasceria e vestigio: ma nulla fu fatto per tutto quell'anno. A'12 di settembre s'udi ne' Consigli la proposta: Quod in Franciam mittantur oratores, et sint solennes oratores. Il bisogno stringeva; chè il Governatore di Genova fermava le mercanzie, nè Pisa cedeva alla forza dell'armi. Solamente agli ultimi del dicembre partirono gli oratori; fra' quali era il cavaliere Iacopo Salviati, che ce ne lasciò un minuto ragguaglio nella sua Cronica. << Singolare < pregio delle storie e degli storici fiorentini, che gli uomini stessi facessero e scrivessero ». (Capponi, nota al Documento citato di sopra): ma in questo caso, è tanto più da pregiare la narrazione dell'oratore, che il Desjardins (Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane; Paris, 1859; I, 35-36) se la passa in due versi, e sbaglia il mese; nè i Registri ci hanno serbato il testo dell'Istruzione. La Signoria, temendo che Innocenzio VII pigliasse ombra di quest' andata degli oratori in Francia (e gli ambasciadori dell'Antipapa, dopo usciti di Castel Sant'Angelo, erano capitati a Firenze), deliberò di mandargli il Vescovo di Fiesole con altri tre compagni, si per rallegrarsi della sua esaltazione e per dolersi del Tesoriere di Romagna che favoriva i nemici del Comune, come per chiarirlo dell'ambasceria mandata al re Carlo. Soprastettero a partire questi oratori fino agli ultimi di gennaio, quantunque la istruzione fosse distesa sino da dicembre e crederei che l'indugio desse motivo ai ragionamenti di doglienza del re Ladislao, che facilmente ci possiamo immaginare quali fossero. Ladislao temeva, che in qualche trattato fra il Comune e il re Carlo potesse entrare un capitolo in favore della casa d'Angiò, a detrimento de' suoi diritti sul Reame, che alla sua fiera ambizione sembrava già angusto. Gli oratori dunque doveano rassicurare non meno il papa che il Re. « Direte ancora (così nell'Istruzione de' 25 di gennaio), come la sua « Santità sa, e tutta Italia, el Governatore di Genova fece a'nostri mercatanti questo anno << una grande e spiacevole novità, d'arrestare tutte le mercatanzie e' denari de' Fiorentini, << che erano in Genova, di valuta di più di cc." di fiorini, senza el danno e sconcio della << nostra città. Et anco sentendo, noi siamo in patti co' nostri fratelli Sanesi di far scala << al porto di Talamone, esso ha vietato che niuno navilio genovese vi possa scaricare : << e tutto giorno accenna e minaccia di peggio. E per questa cagione noi abbiamo deliberato << mandare e mandiamo nostri ambasciatori in Francia. E non pensí la Santità sua, che « questa andata sia per altra cagione; e che da questo in fuore non hanno a trattare alcuna « cosa, nè di Fede, nè di stato d'Italia. E questo tenga per certo; sì che nè la Santità sua

« nè la Maestà del re Ladislao non ne prendano sospetto nè pensieri alcuno; ma stianne << chiari e sicuri, che per effetto vederanno non è per altro ».

Il Cardinale di Bari mandava dunque Rinaldo a Firenze per intender bene la cosa, e riferirne poi al Re. Ma era appena partito l'Albizzi da Città di Castello, che i Castellani, minacciati dal Conte di Carrara, gli erano dietro con lettere pressantissime. Nella Commissione XII si tratta di tal bisogna, alla quale pure concernono i tre documenti che si leggono in questa. Ma perchè gli ebbe essendo in cammino, e precedevano l'andata a Perugia, che fu a' 3 di febbraio, Rinaldo gli volle allogati qui; e qui si lasciano.

A dì 18 di gennaio 1404, per lettere del detto Legato, e con licenzia del detto

Comune di Città di Castello, mi parti' di quivi, e venni a Firenze a' signori Priori et a Dieci della balia, per certi ragionamenti che 'l detto Legato avea tenuto in Roma con lo re Ladislao, de' fatti de' Fiorentini, in doglienza del Comune; i quali volle per sua parte io venissi a conferire a Firenze. Era messer Maso gonfaloniere di iustizia. Et esposto mia ambasciata, tornai a Perugia; e non essendovi lo Legato. n' andai a Todi, dove lo trovai. Et a dì 2 di febbraio 1404 tornai a Città di Castello. con 4 cavagli; et a mie spese, perchè non chiesi danaio.

30] A tergo: Magnifico viro et amico carissimo Raynaldo etc., nec non carissimo civi ser Iacobo Guelfi, oratoribus nostris.

Intus vero:

Priores Populi Civitatis Castelli.

Magnifice vir et honorande amice carissime, nec non honorande civis, et oratores nostri carissimi. Di subito doppo la vostra andata ricevemmo per speziale corrieri del Conte da Carrara, per parte d' esso, una lettera, la quale, acciò che pienamente siate avisati, noi vi mandiamo. E pertanto, considerato la buona intenzione e speranza che 'l nostro Comune ane in lui; fate che prestamente, come sarete in Perugia, che siate a lui; e pregatelo per Dio, che non si muova ad alcuna novità contro al Comune nostro; imperò che tutto quello che si fa, non si fa per mettere tempo di non volere pagarli quello che doveremo anche solo si fa a fine, che le cose giuste addomandate per lo nostro Comune siano debitamente esaudite, sì come a noi sono state impromesse. E di questo è pienamente informato messer Marcello (1), il quale ene a Perugia, et ottenne i privilegi: e avuti, semo disposti a fare inverso di messer lo Conte ogni cosa la quale doveremo ; e mai mancheremo a niuna impromessa. E per questo pregatelo con ogn' istanza, che per Dio gli piaccia non volere transcorrere a niuna cosa, la quale puote essere in danno e mancamento dell'acconcio del nostro Comune della qual cosa noi semo certi, che esso si dorria con esso noi insieme.

(1) Marcello di Strozza Strozzi, che tratto per i Castellani in Roma la concordia col Papa. Lesse Marcello nello Studio fiorentino, ed ebbe fama di dotto giureconsulto. Fu anche canonico, e dicono che fosse desiderato vescovo della Chiesa fiorentina. Ma lasciati i benefizi ecclesiastici, si diè tutto alle faccende civili, nelle quali si trovò spesso col nostro Rinaldo. Gli fu però avverso da ultimo, per seguitare la fortuna di Cosimo Medici. Da Margherita di Giovanni Cavalcanti ebbe parecchi figliuoli; fra gli altri un Giovanni, da cui nacque la Maddalena, poi moglie d'Angiolo Doni, resa celebre dal ritratto che le fece Raffaello.

Et acciò che le cose si conchiudano, e per noi non rimanga niente, avemo mandato a' nostri ambasciadori (1), che per ogni modo conchiudano la concordia col santo Padre. E qui dite tutto quello che voi vedete che sia acconcio de' fatti nostri, acciò che non sgorga (2) ad operare alcuna novità. Et a questo interponeteci ogni amico e benivolente del nostro Comune. Data in Civitate Castelli, die 19 ianuarii, a ore 20, 1405, ind. 13.

E se porrete ottenere niuna lettera dal Legato, dal Conte da Carrara, e da messer Marcello, sanza niuno fallo et indugio mandatele a Roma alli ambasciadori per speziale messo e questo non falli: et omne cosa che retrarete, fate che prestamente per vostra lettera cel significhiate. In fretta, ec.

31] Copia litere misse dominis Prioribus Castellanis per dominum Cardinalem.

Viri nobiles, amici nostri carissimi, post salutem. Recolimus quod paulo ante discessum nostrum ab Urbe, S. D. noster, pro satisfactione stipendii domini Comitis de Carrara capitanei etc., vos pro quantitate tredecim milium florenorum debitores eiusdem domini Comitis adsignavit. Et quia idem dominus Comes coram nobis nuper querelanter exposuit, nullam vobiscum, super tali materia, posse concordiam obtinere; et velle, pro exactione quantitatis predicte, contra vos certam facere novitatem; amicitiam vestram ortamur in Domino, et precamur, quatenus, ad evitandum scandalum et errorem, velitis circa solutionem dictorum XIII." florenorum prefato domino Comiti finem adeo providere, quod a S. D. nostro de obedientia merito commendari possitis, ipseque dominus Comes materiam non habeat contra vos faciendi noxiam novitatem. Perussie, 18 ianuarii.

32] A tergo: Magnificis et potentibus dominis, dominis Prioribus Populi Civitatis Castelli etc., amicis honorandis.

Intus vero:

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Magnifici et potentes domini, amici honorandi. Fino in mo' ho tenuto il Cancellieri mio in Roma per conchiudere con li ambasciadori vostri sopra la faccenda de li d. XIII. ad me assegnati per Nostro Signore, che mi dovete pagare voi; e qui mi mandaste vostro ambasciadore, il quale per vostra parte mi diè intenzione, che eravate contenti pagarmi questi denari; e più altre cose mi disse assai. Or ditto mi pregò per vostra parte non mi volesse muovere, per questa cagione, a niuno vostro danno, nè delle terre vostre; chè per certo volavate bene pagarmi; e che li ambasciadori vostri che erano in Roma per questa faccenda, aveano pieno mandato da voi per conchiudere ec. : di che io per compiacervi, ad voi et al Comune vostro, di cui continuo sono stato di fino a qui amico e benivogliente, e massime per reverenzia di quelli esimii Signori fiorentini, promissi allo ambasciadore vostro soprastarmi, nè farvi molestia alcuna; pregandolo tutta fiata, che per parte mia pregasse la S. V. non mi volesse tenere in parole; chè vedendolo, non lo porria sopportare; e questo per lo gran disagio ch' io avea ora delli denari: ma innanzi mi movesse a niuna offesa contra voi, nè contra lo paese vostro, ve lo notificheria due di

(1) Gli ambasciatori mandati a Roma con Marcello Strozzi, erano Francesco Bonori dottore di leggi e Giovanni Liso degli Abbocatelli. (Muzzi, Memorie civili di C. di C., I, 197.)

(2) Cioè, scorra.

innanzi. Ora il Cancellieri mio mi scrive da Roma, come per mano dello spettabile cavaleri messer Marcello da Firenze, avea conchiuso e fatto l'accordio con li detti vostri ambasciadori che sono lì, et anche con Nostro Signore, il quale gli avea fatto grazie assai: restava solo fare il contratto. E partito messer Marcello di Roma, li detti vostri ambasciadori hanno rotto ogni convenzione e patti, fatti fra essi e 'l mio Cancellieri per le mani del detto messer Marcello; dicendo, esserli suto data intenzione, che della quantità si dovesse scontare fiorini mille del censo di questo anno, che comincia ora: che non è vero niente; che mai non ne fu ragionato, se non che per li fiorini XIII." il Papa li quietava di tutto, che doveano fare infino al di del contratto. E così li dichiara Nostro Signore non voler fare altrimente. Si che, vedendo questo, e che mi menate in tempo, faccendo beffe di me; e pensando io farvi piacere, mi vogliate far danno e dispiacere a me; aviso la V. S., che passato due dì dal ricevimento di questa, voglio esser nelli primi termini ch' io era con voi, innanzi mi mandaste lo ambasciadore vostro. E siate certi non vi farò più termini. Data Peruxii, die 18 ianuarii 1405.

Comes de Carraria capitaneus etc.

COMMISSIONE XII.

[An. 1405]

Fra i soldati che avevano servito il Tomacello nel recuperare Perugia alla Chiesa, (an. 1403), ricordano le storie un Conte da Carrara. (Graziani, in Archivio storico Italiano, XVI, parte I, pag. 277.) Credo che fosse Francesco, figliuolo dell' ultimo signore di Padova; il quale si rivolgeva ai Fiorentini per ottenere dal Comune di Castello la somma che il Papa gli aveva assegnata, in premio dei suoi servigi, sopra quello che i Castellani dovevano alla Camera apostolica per censi decorsi. La Signoria, benevola al Conte e amica ai Castellani, scriveva così agli uni come all' altro in questo tenore, lo stesso giorno 31 dicembre del 1404.

CASTELLANIS.

Amici karissimi. Recepimus nuper litteras a strenuo milite domino Conte de Carraria, quarum copiam vobis mittimus interclusam. Videtis res ut sunt, quidque significent et portendant. Et quum sapientis est cedere tempori, hoc est necessitati, sinceris affectibus vos hortamur, quatenus pro statu et utilitate vestra velitis id amplecti, quod videtis offerri; memores, quod non plus malum, bono nocere soleat, quam id quod quis melius esse credat.

CONTI DE CARRARIA.

Magnifice miles, strenue vir, et amice karissime. Accepimus litteras vestras, et eo quod scribitis ponderato, sine mora scripsimus Castellanis quantum nobis vestra nobilitas intimavit. Et credimus eos a rebus iustis et possibilibus nullatenus recessuros. Verum, conventiones, de quibus scribitis, ad conclusionem ut oportuit non venerunt; plura quidem erant, ut novimus, corrigenda. Scitis etiam Castellanis presto non esse pecuniam, sed talia convenientibus terminis indigere. Placeat igitur cum Comuni dicte civitatis taliter vos habere, quod tempus et rerum condicio nil perturbet: offerentes nos paratos et promptos fideliter operari, quod assignatio vobis facta rata sit, et effectum habeat exoptatum; dummodo fratribus illis nostris fiat quantum expedit, et quod decet: quod siquidem et vos ipse debetis, cum iusta petierint, operari. Quoniam autem ipsos fraterne diligimus, nobis omnes benigne tractationis gratiam, gratis affectibus ascribemus.

E a' 4 di gennaio gli tornavano a scrivere :

Magnifice miles, strenue vir et amice karissime. Pridie vobis respondendo vestris litteris scripsimus in hac forma, videlicet: Accepimus litteras vestras etc.; et post illam datam

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