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E per suo sogno ciascun dubitava,
Ed io senti'chiavar l'uscio di sotto
All' orribile torre: ond'io guardai
Nel viso a'miei figliuoi senza far motto.
Io non piangeva, sì dentro impietrai:
Piangevan elli; ed Anselmuccio mio
Disse: Tu guardi sì, padre: che hai?
Però non lagrimai, nè rispos'io
Tutto quel giorno, nè la notte appresso,
Infin che l'altro Sol nel mondo uscio.

1

Com' un poco di raggio si fu messo
Nel doloroso carcere, ed io scorsi
Per quattro visi lo mio aspetto stesso,

Ambo le mani per dolor mi morsi;
E quei pensando, ch' io 'l fessi per voglia
Di manicar, di subito levorsi,

E disser: Padre, assai ci fia men doglia
Se tu mangi di noi: tu ne vestisti
Queste misere carni, e tu le spoglia.
Quetámi allor, per non fargli più tristi:
Quel dì, e l'altro stemmo tutti muti.
Ahi, dura terra, perchè non t'apristi?

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45 E per suo sogno ec. Ciascuno dei figliuoli avea avuto un sogno simile a quello del padre.

46 senti' chiavar ec. Quando fu deliberato dall'arcivescovo di cacciare la chiave in Arno.

49 Io non piangeva ec. Io non poteva piangere, perciocchè il dolore mi avea reso immobile e muto a modo di un sasso.

56, 57 ed io scorsi-Per quattro visi ec. Intendi: ed io scorsi nei volti de' miei figliuoli la tristezza e lo

squallore che era nel mio.

59 fessi, facessi.

60 Di manicar, di mangiare.

64 Quetámi, quietaimi.

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Poscia che fummo al quarto di venuti, Gaddo mi si gittò disteso a' piedi, Dicendo: Padre mio, che non m'aiuti?

Quivi morì; e come tu mi vedi,
Vid'io cascar li tre ad uno ad uno,
Tra 'l quinto dì, e 'l sesto; ond'io mi diedi
Già cieco a brancolar sovra ciascuno,
E tre dì gli chiamai, poi ch'e' fur morti:
Poscia, più che 'l dolor, potè 'I digiuno.
Quand'ebbe detto ciò, con gli occhi torti

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:

Riprese 'l teschio misero co'denti,
Che furo all'osso, come d'un can, forti.

Ahi Pisa, vituperio delle genti
Del bel paese là, dove 'l si suona;

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1

1

68 Gaddo: uno de' due figliuoli d'Uglino. 73 Già cieco ec. Per mancanza d'alimento essendo a lui venuta meno con tutte le forze de' sensi quella della vista, si diede a brancolare, cioè a cercar tastando colle mani intorno le tenebre di quella torre.

74 E tre di li chiama ec E tre di dopo che furono morti li chiamai, come stimolavami il poter del dolore; ma poscia più che il dolore potè il digiuno, il quale mi tolse le forze e e la vita. La nidob. legge:

due dì.

75 Poscia, piú che il dolor, potè il digiuno Sottintendi: a farmi morire.

80 Del bel paese là dove il si suona. Dante nel suo libro della vita nuova distingue le diverse lingue dalla particella affermativa. Chiamò lingua d'oca quella di una parte di Francia, e lingua del si quella d' Italia. Parrebbe dunque che egli dicendo qui-il bel paese dove il si suona- avesse voluto significare l'Italia. Ma se poniamo mente alla particella , che dassi al luogo nel quale uè chi parla è, nè chi ascolta, ši comprenderà che egli vuole intendere della sola Toscana dalla quale era bandito; e così adoperò non perchè la particella si dell'italica lingua appartenga solo

Poi che i vicini a te punir son lenti,
Muovasi la Capraia, e la Gorgona,
E faccian siepe ad Armo in su la foce,
Sì ch'egli annieghi in te ogni persona:
Che se 'l Conte Ugolino aveva voce
D'aver tradita te delle castella,
Non dovei tu i figliuoi porre a tal croce.
Innocenti facea l'età novella,
Novella Tebe, Uguccione, e 'l Brigata,
E gli altri duo, che 'l canto suso appella. 90

Noi passamm' oltre, là ve la gelata
Ruvidamente un' altra gente fascia,
Non volta in giù, ma tutta riversata.

ai Toscani, ma perchè i Toscani tutti favellaudo l' usano e più dolcemente degli altri popoli d'Italia. Perciò il Poeta disse suona, quasi volesse dire: là dove più comunemente e più dolcemente si parla l'idioma d' Italia.

82 la Capraia e la Gorgona. Isolette nel mar Tirreno situate non lungi dal luogo ove sbocca l'Arno.

83 siepe, cioè riparo, intoppo.

85 aveva voce, cioè aveva fama. D'aver tradita ec. Dicesi che il conte Ugolino avesse tradita Pisa e renduto ai Fiorentini ed ai Lucchesi le loro castella.

89 Novella Tebe. Dà a Pisa il nome di Tebe, perocchè Tebe ebbe fama di città crudelissima per molti atroci fatti de' suoi cittadini. Uguccione e il Brigata: l'uno era figliuolo del Conte, l'altro nipote. go E gli altri duo ec. Anselmuccio e Gaddo sopra nominati.

(91) Terza sfera, detta Tolomea.

gr un' altra gente, le terza ciurma di coloro che hanno tradito chi si fidava in loro: ruvidamente, civė duramente.

93 Non volta in giú ec. Intendi: non colla faccia volta in giù, come stavano quelli dell Antenora, ma riversata in su per maggior loro pena.

Lo pianto stesso li pianger non lascia, E'l duol, che truova 'n su gli occhi rintoppo, Si volve in entro a far crescer l'ambascia;

Che le lagrime prime fanno groppo, E, sì come visiere di cristallo, Riempion sotto 'I ciglio tutto 'I coppo. Ed avvegna che, sì come d' un callo, Per la freddura ciascun sentimento Cessato avesse del mio viso stallo,

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Già mi parea sentire alquanto vento. Per ch' io: Maestro mio, questo chi muove? 1 Non è quaggiuso ogni vapore spento?

Ond'eglia me: Avaccio sarai dove Di ciò ti farà l'occhio la risposta, Veggendo la cagion che 'l fiato piove.

(94) Traditori di chi si fidò in essi.

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95 E'l duol ec', cioè la lagrima che trova sugli oc⚫chi intoppo d'un' altra lagrima, si volve in entro, cioè ritorna indietro accrescendo l'ambascia all'afflitto: che non può sfogarla col pianto.

97 fanno groppo, fanno nodo, si agghiacciano ed impediscono alle altre lagrime l'uscita. 99 il coppo, cioè la cavità dell'occhio.

100 Ed avvegna ec. Costruzione: ed avvegna che per la freddura (pel gran freddo) ciascun sentimento cessato avesse stallo, cioè abbandonato avesse stanza, tolto si fosse dal mio viso, si come d'un callo, siccome ogni sentimento si toglie dalle parti incallite del nostro corpo.

105 Non è quaggiuso ogni vapore spento? La cagione del vento è lo scaldare del sole, onde sono sollevati i vapori. Perció la domanda non è spento ogni vapore? equivale a quest'altra: non è questo luogo privo dell'attività del sole? e se è privo di questa attività, ond'è che spira il vento?

106 avaccio, prestamente.

108 che il fiato piove, cioè che produce, inauda questo vento.

Ed un de' tristi della fredda crosta
Gridò a noi: O anime crudeli
Tanto, che data v'è l'ultima posta,

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Levatemi dal viso i duri veli, Sì ch'io sfoghi 'I dolor, che'l cuor m'impregna, Un poco pria, che 'I pianto si raggieli.

1

Per ch'io a lui: Se vuoi ch'io ti sovvegna, Dimmi chi fosti; e, s'io non ti disbrigo, Al fondo della ghiaccia ir mi convegna. Rispose adunque: I'son Frate Alberigo: I'son quel delle frutte del mal orto, Che qui riprendo dattero per figo.

Oh, dissi lui, or se'tu ancor morto?

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l'ultima posta, cioè la più profonda stanza del

l'inferno.

113 m'impregna, cioè mi colma, mi aggrava.

116 s' io non ti disbrigo ec. Finta imprecazione che Dante fa a se medesimo. Intende: se non ti disbrigo, cioè se non ti traggo d'impaccio, che io possa andare al fondo di questa ghiaccia. Lo spirito che ascolta può credere che Dante imprechi a se stesso la pena di coloro che sono nella ghiaccia; ma Dante veramente intende dell' andare alla ghiaccia in quel modo che aveva visitati gli altri luoghi d'inferno.

118 Alberigo. Alberigo de' Manfredi signori di Faenza, che fecesi de'frati gaudenti: Essendo in discordia con alcuni suoi consorti e bramando di levarli dal mondo, finse di volersi conciliare con loro e li convitó maguificamente. Al recarsi della frutta, secondo che egli aveva ordinato, uscirono alcuni sicarit che uccisero molti dei convitati.

119 I'son ec. Allude al recare delle frutta, che fu seguo dell' uccisione de' suoi consorti.

120 Che qui riprendo ec. Intendi: riprendo per quelle frutta altre frutta migliori, cioè pel male da me fatto nel mondo ricevo male maggiore quaggiú.

121 or se'tu ec. Intendi: or se' tu morto come que

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