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nostro Letterato. Qualunque però fosse la cagione di questo avvenimento egli è certo che qui non ebbero fine le sue disgrazie. Ritiratosi nel suo feudo di Cantalupo, egli fu infelice come padre e come marito, poichè morte gli rapi prima la sua virtuosa moglie e poi due figli, che teneramente amava. Una donzella ch'egli menò in seconda moglie, e che credea che formasse la felicità de' suoi giorni li sparse di amarezza e di obbrobrio; ed avrebbegli tolta per sempre la calma necessaria a' suoi studj, se la morte, per sua ventura non avesse troncati i di lei giorni.

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Reso allora all'ozio pacifico delle lettere Costanzo continuò l'opera che aveva nella sua prima giovinezza incominciata. Omettendo d'intessere la Storica narrazione dell' epoche de' Longobardi, de' Normanni, e degli Svevi, perchè coperte ancora dall'oscurità più profonda, ed alterate dalle favole nate dall' orgoglio nazionale e dall' ignavia degli Storici e Cronisti di que' tempi, egli dette cominciamento alle sue Storie colla morte di Federico II. e si fermò all'anno 1485. La compilazione di questa grande opera gli costò molti anni di fatica indefessa, e solo nel 1581 la pubblicò intiera nell' Aquila in un volume in foglio.

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Questa gli assegnò un posto luminoso fra' più rinomati storici antichi e moderni, abbenchè l'ingratitudine de'contemporanei, e specialmente de' suoi stessi compatrioti cercasse d'invilirne l'intrinseco merito I posteri nella calma delle passioni con maggior giustizia la chiamarono la migliore delle nostre storie. La gravità del dire; l'esattezza; un certo colore di antica semplicità, che non si scompagna da tutte le veneri del più purgato toscano ; un profondo criterio nel ricercare le cagioni degli sconvolgimenti politici, e delle catastrofi straordinarie a cui soggiacque il nostro allora infelicissimo Regno, lacerato dalla tirannia feudale, dalle pretensioni de' Papi, dalla ferocia degli stranieri dominatori: ecco i pregi precipui del

Co

Costanzo. L'immortale Giannone confessa, che lo seguito in tutto, e che narrò sovente i fatti colle sue medesime parole. È questo l'elogio più bello che far si possa del

Costanzo.

Quanta maggiore gloria egli si sarebbe acquistata se con più imparzialità avesse parlato de' Monarchi della casa di Angiò! L' augusta verità non apparisce sempre ne' suoi racconti; egli tacque alcune volte i vizj de' Re Angioini, e rispettò troppo l'autorità de' Papi passando sotto silenzio tutto ciò che poteva condurci a riflessioni poco onorevoli sulla condotta che Roma tenne iu que' secoli rapporto al Regno di Napoli.

Finora abbiamo considerato il Costanzo come Istorico passiamo a riguardarlo come chiarissimo Poeta Lirico. Le sue Rime sono dettate in istile diverso da quello del Petrarca, e vi traluce una particolare vaghezza, che le distingue da tutte quelle senza grazia e calore che scrissero tanti suoi contemporanei accozzando frasi e parole tolte al cigno di Valchiusa. Sono iunumerabili gli elogj che tutti i gentili spiriti d'Italia tributarono in ogni tempo a queste Rime. Il mio illustre concittadino Crescimbeni (Storia della volgar Poesia T. 2.) ci narra ch' egli propose a que' primi Arcadi, che imprendevano a purgare la Poesia Italiana dalle brutture del seicento di fare lunghi studj sulle Rime del Costanzo per spargere su' loro poetici scritti la grazia dello stile, la purezza della lingua, la naturalezza e la fioritezza delle immagini. Il Muratori così favella della sua nuova maniera di poetare ( Perfetta Poesia) Costanzo ha pochi pari nel Sonetto. Egli ingegnosamente argomenta, e con egual felicità spiega e conduce sino alla fine tutto il raziocinio. Questo ingegnoso argomentare, questo distendere con tanta grazia ed economia gli argomenti ingegnosi, costituisce una particolar maniera di poetare che anch'essa è sommamente bella. Or chi il crederebbe ? In un opera moder

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nostro Letterato. Qualunque però fosse la cagione di questo avvenimento egli è certo che qui non ebbero fine le sue disgrazie. Ritiratosi nel suo feudo di Cantalupo, egli fu infelice come padre e come marito, poichè morte gli rapi prima la sua virtuosa moglie, e poi due figli, che teneramente amava. Una donzella ch'egli menò in seconda moglie, e che credea che formasse la felicità de' suoi giorni li sparse di amarezza e di obbrobrio; ed avrebbegli tolta per sempre la calma necessaria a' suoi studj, se la morte, per sua ventura, non avesse troncati i di lei giorni.

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Reso allora all' ozio pacifico delle lettere Costanzo continuò l'opera che aveva nella sua prima giovinezza incominciata. Omettendo d'intessere la Storica narrazione dell' epoche de' Longobardi, de' Normanni, e degli Svevi, perchè coperte ancora dall'oscurità più profonda, ed alterate dalle favole nate dall' orgoglio nazionale e dall' ignavia degli Storici e Cronisti di que' tempi, egli dette cominciamento alle sue Storie colla morte di Federico II. e si fermò all'anno 1485. La compilazione di questa grande opera gli costò molti anni di fatica indefessa, e solo nel 1581 la pubblicò intiera nell' Aquila in un volume in foglio.

Questa gli assegnò un posto lumin oso fra' più rinomati storici antichi e moderni, abbenchè l'ingratitudine de'contemporanei, e specialmente de' suoi stessi compatrioti cercasse d'invilirne l'intrinseco merito. I posteri nella cal ma delle passioni con maggior giustizia la chiamarono migliore delle nostre storie. La gravità del dire; l' tezza; un certo colore di antica semplicità che scompagna da tutte le veneri del più purgato tosca profondo criterio nel ricercare le cagioni degli sc menti politici, e delle catastrofi straordinarie a giacque il nostro allora infelicissimo Regno, lag la tirannia feudale, dalle pretensioni de' Papi rocia degli stranieri dominatori: ecco i pregi

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Costanzo. L'immortale Giannone confessa, che lo seguito in tutto, e che narrò sovente i fatti colle sue medesime parole. È questo l'elogio più bello che far si possa del

Costanzo.

Quanta maggiore gloria egli si sarebbe acquistata se con più imparzialità avesse parlato de' Monarchi della casa di Angiò! L'augusta verità non apparisce sempre ne' suoi racconti; egli tacque alcune volte i vizj de' Re Angioini, e rispettò troppo l'autorità de' Papi passando sotto silenzio tutto ciò che poteva condurci a riflessioni poco onorevoli sulla condotta che Roma tenne iu que' secoli rapporto al Regno di Napoli.

Finora abbiamo considerato il Costanzo come Istorico, passiamo a riguardarlo come chiarissimo Poeta Lirico. Le sue Rime sono dettate in istile diverso da quello del Petrarca, e vi traluce una particolare vaghezza, che le distingue da tutte quelle senza grazia e calore che scrissero tanti suoi contemporanei accozzando frasi e parole tolte al cigno di Valchiusa. Sono iunumerabili gli elogj che tutti i gentili spiriti d' Itali ste Rime. Il mio illu della volgar Poesia que' primi

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na (a) si dileggia il Costanzo appunto per questo suo pregio di aver introdotto un ordine ed una filosofia nel Sonetto. L'oscuro Autore di quest' insulsa censura non merita di esser confutato che dal disprezzo, e non già, come altre volte facemmo con giovanile bollore, da un ordinato ragionamento.

Da una lettera scritta dal nostro Autore a Berardino Ro'ta e da quanto ne attesta il Minturno può raccogliersi, ch' egli scrisse anche una Commedia intitolata I Marcelli, scritta a somiglianza de' Meucmi di Plauto, che si è perduta per ingiurie del tempo

Egli morì nel 1591 in età di 89 anni.

e di

L'amabilità de' suoi costumi, la soavità delle sue mauiere, i suoi rari talenti gli meritarono l'amicizia di Annibal Caro, di Rota, di Poderico, di Sannazaro tntti que' sommi uomini che fecero splendere di una luce sì viva il secolo di Leone X. Le sue Rime saranno in onore finchè allignerà il buon gusto e la vera poesia in Italia; esse colla loro bellezza attirando l'ammirazione anche de' più schivi faranno sempre con vantaggio la guerra allo stile Caledonio, all' Oltramontanerìa, al Marinesco immaginare, riponendo nel loro seggio le incorrotte Muse Toscane come già lo fecero nel principio del Secolo XVIII. GIUSEPPE BOCCANERA DA MACERATA.

(a) Io parlo del Prospetto del Parnaso Italiano dal Dante sino al Tasso. Milano pel Destefanis 1806. 1. vol. in 8. L'Autore di quest' opera ha insultate iu essa anche le ceneri del gran Petrarca. Io risposi a costui nel Foglio periodico del Musone del 1812, mentre non aveva che diciotto anni, con sei articoli, a'quali il Critico non ebbe il coraggio di rispondere. Io nol conosceva, e a scrivere mi sospinse solo l'amor di patria, e il desiderio di vendicare la memoria onorata de' nostri Classici, che un Zoilo vilipendea.

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