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Angelo di Costanze

Celebre Istorice e Poeta. Nacque in Napoli nell' Anno 1507, ove mori nel 1591

In Napoli presso Nicola Gervasi al Gigante N. 23.

ANGELO DI COSTANZO

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La Storia e la Poesia sorridono al nome di Costanzo, che può giustamente chiamarsi il Petrarca ed il Livio Napolitano La sua memoria è da noi adorata con religiosa venerazione; quindi l'omaggio che io vengo a rendere anche una volta a' suoi mani di pochi fiori, deve essere grato a chiunque è tenero della nostra gloria letteraria.

Egli nacque in Napoli nel 1507 da Alessandro Costanzo del Seggio di Portanuova, e da Roberta San' monda, figlia del Conte di Cerreto. Crebbe in un temp nel quale le Lettere Napolitane erano giunte all' ultimo grado di gloria; quando Sannazaro dettava de" versi latini di cui si sarebbe compiaciuto Virgilio, ed il primo dopo gli antichi di novello splendore rivestiva la Poesia Buccolica nell' idioma Toscano; quando il Rota si dolcemente cantava in rima le amorose sue venture e le sue pene; quando l'Altilio, l'Acquaviva, il Seripando empivano l'Italia tutta della loro fama. Circondato da sì grandi esempj Costanzo senti nell'animo il desiderio di acquistarsi una uguale gloria, e sotto la scorta del vecchio Sannazaro e del Poderico coltivò le buone lettere, ed ogni maniera di scientifica disciplina. Per loro consiglio imprese a scrivere nell' età di soli venti anni Le storie del Regno di Napoli: onde vendicare la Nazione dalle calunniose imputazioni del Collenuccio.

Aveva appena posto mano a questo importante lavoro che Don Pietro di Toledo allora Vicerè di Napoli, lo esiliò dalla capitale. Altri pretendono che questa sventura fosse nata dalla invidia che aveano de' suoi sommi talenti e della sua fama molti oscuri Mevj, che si valsero per ottener ciò di una vile calunnia ed altri ci lasciarono. scritto che accadde per amorosa rivalità tra il Vicerè ed il

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nostro Letterato. Qualunque però fosse la cagione di questo avvenimento egli è certo che qui non ebbero fine le sue disgrazie. Ritiratosi nel suo feudo di Cantalupo, egli fu infelice come padre e come marito, poichè morte gli rapi prima la sua virtuosa moglie e poi due figli, che teneramente ainava. Una donzella ch'egli menò in seconda moglie, e che credea che formasse la felicità de' suoi giorni li sparse di amarezza e di obbrobrio; ed avrebbegli tolta per sempre la calma necessaria a' suoi studj, se la morte, per sua ventura non avesse troncati i di lei

giorni.

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Reso allora all' ozio pacifico delle lettere Costanza continuò l'opera che aveva nella sua prima giovinezza incominciata. Omettendo d'intessere la Storica narrazione dell' epoche de' Longobardi, de' Normanni, e degli Svevi, perchè coperte ancora dall'oscurità più profonda, ed alterate dalle favole nate dall' orgoglio nazionale e dall' ignavia degli Storici e Cronisti di que' tempi, egli dette cominciamento alle sue Storie colla morte di Federico II. e si fermò all'anno 1485. La compilazione di questa grande opera gli costò molti anni di fatica indefessa, e solo nel 1581 la pubblicò intiera nell' Aquila in un volume in foglio.

Questa gli assegnò un posto lumin oso fra' più rinomati storici antichi e moderni, abbenchè l'ingratitudine de'contemporanei, e specialmente de' suoi stessi compatrioti cercasse d'invilirne l'intrinseco merito. I posteri nella calma delle passioni con maggior giustizia la chiamarono la migliore delle nostre storie. La gravità del dire; l'esattezza; un certo colore di antica semplicità, che non si scompagna da tutte le veneri del più purgato toscano ; un profondo criterio nel ricercare le cagioni degli sconvolgimenti politici, e delle catastrofi straordinarie a cui soggiacque il nostro allora infelicissimo Regno, lacerato dalla tirannia feudale, dalle pretensioni de' Papi, dalla ferocia degli stranieri dominatori: ecco i pregi precipui del

Co

Costanzo. L'immortale Giannone confessa, che lo seguito in tutto, e che narrò sovente i fatti colle sue medesime parole. È questo l'elogio più bello che far si possa del

Costanzo.

Quanta maggiore gloria egli si sarebbe acquistata se con più imparzialità avesse parlato de' Monarchi della casa di Angiò! L' augusta verità non apparisce sempre ne' suoi racconti; egli tacque alcune volte i vizj de' Re Angioini, e rispettò troppo l'autorità de' Papi passando sotto silenzio tutto ciò che poteva condurci a riflessioni poco onorevoli sulla condotta che Roma tenne iu que' secoli rapporto al Regno di Napoli .

Finora abbiamo considerato il Costanzo come Istorico, passiamo a riguardarlo come chiarissimo Poeta Lirico. Le sue Rime sono dettate in istile diverso da quello del Petrarca, e vi traluce una particolare vaghezza, che le distingue da tutte quelle senza grazia e calore che scrissero tanti suoi contemporanei accozzando frasi e parole tolte al cigno di Valchiusa. Sono iunumerabili gli elogj che tutti i gentili spiriti d'Italia tributarono in ogni tempo a queste Rime. Il mio illustre concittadino Crescimbeni (Storia della volgar Poesia T. 2.) ci narra ch' egli propose a que' primi Arcadi, che imprendevano a purgare la Poesia Italiana dalle brutture del seicento di fare lunghi studj sulle Rime del Costanzo per spargere su' loro poetici scritti la grazia dello stile, la purezza della lingua, la naturalezza e la fioritezza delle immagini. Il Muratori così favella della sua nuova maniera di poetare ( Perfetta Poesia) Costanzo ha pochi pari nel Sonetto. Egli ingegnosamente argomenta, e con egual felicità spiega e conduce sino alla fine tutto il raziocinio. Questo ingegnoso argomentare, questo distendere con tanta grazia ed economia gli argomenti ingegnosi, costituisce una particolar maniera di poetare che anch'essa è sommamente bella. Or chi il crederebbe ? In un opera moder

na

na (a) si dileggia il Costanzo appunto per questo suo pregio di aver introdotto un ordine ed una filosofia nel Sonetto. L'oscuro Autore di quest' insulsa censura non merita di esser confutato che dal disprezzo, e non già, come altre volte facemmo con giovanile bollore, da un ordinato ragionamento.

Da una lettera scritta dal uostro Autore a Berardino Ro'ta e da quanto ne attesta il Minturno può raccogliersi, ch' egli scrisse anche una Commedia intitolata I Marcelli, scritta a somiglianza de' Meucmi di Plauto, che si è perduta per ingiurie del tempo.

Egli mori nel 1591 in età di 89 anni.

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e di

L'amabilità de' suoi costumi, la soavità delle sue mauiere, i suoi rari talenti gli meritarono l'amicizia di Annibal Caro, di Rota, di Poderico di Sannazaro tntti que' sommi uomini che fecero splendere di una luce sì viva il secolo di Leone X. Le sue Rime saranno in onore finchè allignerà il buon gusto, e la vera poesia in Italia; esse colla loro bellezza attirando l'ammirazione anche de' più schivi faranno sempre con vantaggio la guerra allo stile Caledonio, all' Oltramontaneria, al Marinesco immaginare, riponendo nel loro seggio le incorrotte Muse Toscane come già lo fecero nel principio del Secolo XVIII. GIUSEPPE BOCCANERA DA MACERATA.

(a) Io parlo del Prospetto del Parnaso Italiano dal Dante sino al Tasso. Milano pel Destefanis 1806. 1. vol. in 8. L'Autore di quest' opera ha insultate iu essa anche le ceneri del gran Petrarca Io risposi a costui nel Foglio periodico del Musone del 1812, mentre non aveva che diciotto anni, con sei articoli, a'quali il Critico non ebbe il coraggio di rispondere. Io nol conosceva, e a scrivere mi sospinse solo l'amor di patria, e il desiderio di vendicare la memoria onorata de' nostri Classici, che un Zoilo vilipendea.

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