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Tale A kapuitacolo glorioso ce
ca dela nostra Storia Lette, arie.

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QUINTO ENNIO

I Pittagorici della Magna Grecia avevano già dalle nostre contrade sparsi i lumi della. filosofia e dell'umanità sul resto d'Italia; la Poesia sotto questo bel cielo ingentiliva gli animi, ed i canti d'Ibico, di Alessi, di Egesippo emulavano quelli che le Muse dettarono a' poeti più rinomati della Grecia le Mattematiche erano state coltivate da Archita; la Musica era stata ridotta a scienza da Aristosseno. Fra noi dunque risiedevano come nel loro tempio le Muse e Minerva. Da questa terra beata mossero que' sommi uomini, che dirozzando i Romani 'spensero la barbarie e la ferocia che aveano circondata la culla di questo gran popolo. Le Favole Atellane da' nostri maggiori introdotte in Roma dettero a questa Città la prima idea del Teatro ; ed essi istrussero per i primi quegli stessi che li aveano posti in catene, nelle lettere e nelle arti belle. Tale è lo spettacolo glorioso che ci offre a prima epoca della nostra Storia Letteraria .

Fra quelli che condussero in Roma le Muse Greche, e che furono i precettori de' Romani, la prima laude si debbe a Quinto Ennio, di cui dobbiamo tenere ragionamento. Dice Vitruvio che chi ha la mente piena dell' amenità della letteratura, dee tenere impressa nel cuore l'immagine di Ennio al pari di quella di una Deità Onoriamo

adunque la memoria di colui che ammaestro la romana gioventù, che fu imitato spesse volte dal gran Virgilio, e che fu l'amico dell' Africano Scipione .

I Critici si dividono sull' assegnare la patria di questo gentile spirito. Altri dicono che nacque nella città di ‘Rudia vicino Taranto, altri in un altra città dello stesso nome presso Lecce. Noi ci appiglieremo, seguendo il Galateo, il de Angelis, ed il Signorelli, alla seconda opi

nio

mione, ed accorderemo quest' onore alla Japigia, regione tanto nobile e vasta, e tanto gloriosa ne' nostri annali letterarj. Egli vi nacque nell' anno di Roma 514 di chíarissima schiatta, cioè da quella del Re Messapo. Infatti Silio lo chiama:

Ennius antiqua Messapi ab origine regis .

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Egli imprese a seguire la carriera delle armi, e di doppio alloro cinse la sua fronte nella milizia, e nella poetica arte Militando in Sardegna, s'incontrò con l'Africano Scipione, che fra gli studj e le armi divideva i suoi giorni. Era impossibile che fra nomini di ugual tempra non sorgesse l'amicizia ; ond'è che Scipione il trasse da quell' Isola e lo condusse in Roma. Più del trionfo di Sardegna, aggiugne Cornelio Nepote, fu utile alla Repubbliça l'aver acquistato Quinto Ennio. Tanto i Romani apprezzavano i suoi sovrumani talenti, e le sue moltiplici virtù !

Dell'amicizia che legava con nodi indissolubili il gran Scipione ed il nostro Poeta, così canta Ovidio:

Ennius emeruit, Calabris in montibus ortus
Contiguus poni, Scipio magne, tibi.

Egli l'accompagnò in molte spedizioni militari, ed il nome di Ennio si trova sempre associato a' trionfi dell' Africano.

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Si debbe ad Ennio l' avere pel primo introdotto in Roma il gusto delle lettere greche, e reso umano. Quel popolo che non respirava che la guerra. Il solo Andronico è quello che divide una tal gloria. Ma il nostro Poeta fu il primo a scrivere in alto stile, in versi esametri, e nella lingua del Lazio ch' egli ingentilì, un Poema intitolato gli Annali. Da questo Poema trasse posteriormente un gran numero di versi Virgilio, come il comprova estesamente Macrobio nel lib. VI. de' Saturnali. E questa la più alta testimonianza del merito intrinseco dell'opera di Ennio. Audrebbe errato di gran lunga colui che credesse Eunio aver scritto solo nel genere Eroico, poichè scrisse pur an

che

che Tragedie tradotte, ed-imitate dalle Greche , oppure originali. Ecco i titoli di queste: Achille, Achille d'A ristarco, Ajace, Alcmeone, Alessandro, Andromaca, Atamante, Cresfonte, Duloreste, Erettèo, l'Eumenidi, i Lievi di Ercole, Ecuba, Ilione, Ifigenia, Medea esule, Medo, Menalippo, Fenice, Telamone, Telefo, Tieste, Scipione

Tutti gli antichi Scrittori si accordano nel darci un'alta idea delle Tragedie di Ennio. Ma il tempo non ha risparmiato nè il Poema eroico sopramentovato, nè le Tragedie (1). Noi non possiamo adunque giudicarle ma solo recare in mezzo i giudizj che i più celebri Romani Scrittori ne portarono. Cicerone dice che non vi ha che un nemico del nome Romano che possa spregiare la sua Medea: e da ciò noi potremo credere ch' ella non temea il confronto. nè di quella di Seneca, nè di quella anche più rinomata di Ovidio. Da varj frammenti che ci restano dell' Ecuba rileva il Ch. Signorelli (Vicende della coltura nelle due Sicilie Vol. I.) ch' egli non imitò servilmente l'espressioni di Euripide, ma le migliorò sensibilmeute.

Egli calzò il socco come il coturno; perciocchè scrisse tre Commedie intitolate Amphitrasv, Ambracia, Pancratiastes delle quali nulla ci rimane o pressochè nulla. Noi non dobbiamo dolerci di cotesta perdita, come di quella delle Tragedie e del Poema degli Annali, avendoci di esse dati giudizį poco favorevoli gli antichi Scrittori. Infatti Sedigito noverando gli Autori Comici Romani lo pose nell'ultimo luogo.

Mori

(1) I pochi frammenti che ne rimangono furono raccolti dallo Stefano, e dallo Scriverio ed il Vossio li pose nella Collezione che ha per titolo: Fragmenta veterum Tragicorum Latinorum 1720. Il Filippini li ha tradotti in Italiano ponendoli a stampa in Roma nel 1659.

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