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Nicole France

Illustre Poeta

Nacque in Benevento nel 1505.

Mori in Roma nel 1569.

In Napoli presso Nicola Gervasi al Gigante N.23.

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NICOLO' FRANCO.

PRE

RENDENDO a tener ragionamento di Nicolò Franco noi dobbiamo dolerci dapprima di non potere offerire in esso un modello di virtù, giacchè egli non conobbe nè modo nè confine nella licenza e nella mordacità, siccome possiamo a buon diritto chiamarlo d'alto ingegno fornito. Debb' egli perciò esser riposto in quel novero di satirici poeti, nel quale primeggiano i nomi di Archiloco, di Rabelais, di Aretino, che male si giovarono delle doti che la natura benigna avea loro accordate, e la poesia destinata ad istruire dilettando l'umano genere vestirono da sfrontata cortigiana.

Fu Benevento la patria di Nicolò e vi nacque nel 1505

o in quel torno da genitori, per avventura, di đi umil con

dizione. Se vogliamo dar fede all' Aretino , egli ne' suoi primi anni, che scorse parte in sua patria e parte in Roma ed in Napoli, ad ufficj vilissimi attese (1). Ma lasciando da banda cotale opinione recata in mezzo da un atro cissimo suo nemico, sembra ch' egli ne' primi anni suoi con grande alacrità ogni maniera di letteraria disciplina coltivasse, poichè scrisse versi e prose toscane, non che latine poesie. Non guari tardò in lui a mostrarsi l'irresistibile inclinazione alla satira che tutte le sue disavventure fè nascere, rilevando noi da varie non dubbie testimonianze di scrittori contemporanei, che ad imitazione di Pietro Aretino, ma men felicemente di lui impetrava da' Principi donativi e pensioni, e svillaneggiava ì poeti allor più rinomati nel Regno di Napoli. Contrasse perciò tante uimistà con cotestoro che lo astrinsero alfine a uscire dal Regno e fuggire a Venezia nel 1536, ad estrema povertà ridotto, ove riparossi presso Pietro Aretino.

(1) Anche il Dolce attesta che il Franco in Napoli servia per famiglio e streggiava i cavalli. L'Aretino ed il Dolce dicon pure ch'egli tolse di furto molti Sonetti a Vittoria Colonna Marchesana di Pescara, che il fece regalare perciò di una buona som、 ma di bastonate.

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Unironsi insieme così questi due ingegni, simili nella brama di satireggiare, e di ogni specie d' infamia ricoperti, ed Aretino giovossi del Franco, poichè questi era grande umanista, perito nelle latine lettere e nelle Greche, laddove l'Aretino di ogni coltura era affatto digiuno. Ma l'amicizia non potea lungamente durare tra due uomini siffatti, ond'è che prima il Franco intimò guerra all' Aretino con varie mordaci espressioni, che leggonsi nelle Pistole Volgari, che nel 1539 pubblicò, e quindi l'Aretino in una lettera indiritta al Dolce svillaneggiò senza alcun ritegno il Franco, e rimproverogli i beneficj che aveagli fatti nel rivestirlo e nell' accoglierlo in sua casa. Nè di ciò contentossi l'Aretino, e per mezzo di un suo famiglio fecelo ferire gravemente nel volto.

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Risolvè allora il Franco di fuggire da Venezia, dare in Francia, e ponendosi in via, giunto a Casale di Monferrato, le cortesie che usogli Sigismondo Fanzino, Governatore di quel luogo gli fecero mutar divisamento. Ivi scrisse nell'anno 1541 duecento cinquantasette Sonetti contro l'Aretino, e la sua Priapea, nella quale con gravissime villanie, e con linguaggio oscenissimo offende iRomani Pontefici, i Principi del suo tempo, e pone in dileggio tutte le cose più sacrosante. Furono queste Rime ristampate nel 1546, e nel 1548.

Raccogliesi da una lettera dell' Aretino che nel 1549 il Franco facesse il pedante in Mantova (1). Ivi pose a stampa le sue Rime Marittime insieme con quelle di altri poeti dell' Accademia degli Argonauti, della quale era egli uno de' membri principali. Benchè Bernardo Tasso abbia pel primo trattato il genere marinaresco, il nostro poeta Beneventano può a buon diritto menare il vanto di averlo coltivato più d'ogn'altro e di aver trasfuso ne' suoi componimenti tutta la leggiadria, e l'amenità

(1) Ecco l'espressioni dell' Aretino: Io sarei riconosciuto per benefattore e non per nimico fin da quel Franco, che delle sue ingratitudini vien punito ( in mentre s'intitola flagellum flagelli) dalla sferza con cui gastiga i fanciulli, che non sanno compitare i nomi delle tristizie, che tutto di gli rimprovera la scuola che tiene in Mantova.

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