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GNEO NEVIO.

Livio Andronico aveva già trasportate le facczie della

Magna Grecia sulle rive del Tevere, e dato a' Romani la prima idea del teatro, quando un' altro Campano continuò con maggior successo la stessa carriera. Egli è Gneo Nevio, nato nella Campania, e forse in Capua. Non può rilevarsi l'epoca della sua nascita: Signorelli (Vicende della Coltura delle Sicilie Vol. 1.) la stabilisce nell' A. di R. 519.

Si raccoglie da Varrone che Nevio militò nella prima guerra Punica. Fu suo studio principale il teatro tanto tragico che comico, comechè egli più fosse inclinato al secondo. Ma volendo imitare in Roma la mordacità e la licenza de' Comici Greci dell' antica Commedia egli si attirò sopra le più grandi sventure. Egli aveva insultato Q. Cecilio Metello ch'era salito al Consolato nel 547 di Roma in età molto giovane con questo

verso:

Fato Romae fiunt Metelli Consules.

Metello gli rispose prontamente con quest' altro

Dabunt malum Metelli Nevio Poetae.

Ma la vendetta dell' irritato patrizio venne dietro a questa minaccia, poichè egli fece incarcerare Nevio, e`custodirlo con rigore (1). Allora, siccome già fece Ari

(1) A ciò volle alludere Plauto con que' versi del Miles Glo

riosus :

Nam os columnatum Poetae inesse audivi barbaro

Quo bini custodes semper totis horis accubant.

Tiraboschi spiega quell' os columnatum per l'atteggiamento usato da Nevio, per avventura, di farsi colonna del braccio per appoggiar la

stofane, egli compose nella prigione due Commedie l'Ariolo ed il Leonte ritrattando ciò che aveva detto e moderando la sua mordacità. Per questa sua emenda i Tribuni della Plebe lo trassero dalla carcere, e lo posero in libertà. Ma sembra che poco dopo ritornasse alle antiche imprudenze, poichè Eusebio ci attesta che egli morì in Utica nell' Africa essendo stato cacciato da Roma per le istanze de' Metelli e di altri nobili romani da lui satireggiati, nell'anno di Roma 549, che corrisponde all' Olimpiade CXLIV. Varrone però ne allunga. anche più la vita.

Nevio scrisse in versi la prima guerra cartaginese. Ennio ne' suoi Annali scusandosi di non parlare di questa guerra motteggiando Nevio così si esprime :

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· scripsere alii rem

Versibus quos olim Fauni, Vatesque canebant,
Quum neque Musarum scopulus quisquam superarat
Nec dicti studiosus erat.

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Si scorge per entro a questi detti la gelosa invidia di Ennio, che trae motivo per censurare i poemi di Nevio dall' aver egli usati i versi Saturnj, che furono dappoi giudicati rozzi ed incolti. Cicerone però ( De Cl. Orat. n. 10.) favellando su questo proposito ammettendo maggior perfezione ne' versi di Ennio, lo rimprovera di aver tolto molto di furto al nostro Nevio. Orazio rende un omaggio solenne alla sua memoria con questi due versi:

3

Naevius in manibus non est, et mentibus haeret
Pene recens adeo sanctum est vetus omne poema.

:

testa, ed inclina a credere que' bini custodes per due sgherri che sempre circondassero il nostro poeta, piuttosto chè due mastini, siccome taluni interpretarono. Non si conosce però la ragione di quell'epiteto di barbaro dato al nottro Poeta ; poichè i Romani non consideravacome barbari i popoli della Magna Grecia, nè i Greci propria

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mente detti.

Il primo pregio però che Cicerone gli accorda è la purezza inimitabile della latinità, gloria ch' egli divide solo con Plauto. Virgilio lo studiò per la fabbrica di alcuni suoi versi. Dal verso di Nevio:

Numquam hodie effugies, quin mea manu mo

riare

Virgilio fece quest' altro, come osserva Aulo Gellio :

Numquam hodie effugies, veniam quocumque

vocaris.

Tutto questo dimostra quanto sia ingiusta l'accusa di rozzezza data a' versi di Nevio da Ennio; poichè il Principe de' Poeti Latini, il solo che giunse al più alto grado dell' eleganza nel verso eroico, teneva i libri di Nevio in somma venerazione, e ne imitava le forme con religiosità. Virgilio non isdegnò d'imitarlo anchet nell'immagini, e specialmente tolse da Nevio l'invenzione di Venere che con Giove si lagna della tempesta da cui erano travagliati i Trojani. Ed a questo proposito mi conviene avvertire che Nevio scrisse un Poema intitolato Iliade Cipria, ossiano le Guerre di amore in verso eroico, che ha dato origine ad un erramento di Quadrio (1).

Parlando delle sue opere teatrali egli compose undici Tragedie (2), e molte Commedie. Di tutta questa collezione non ci rimangono che pochi frammenti. Nelle commedie tanto valse che fu da' dotti Romani preferito a Terenzio. Infatti Sedigito ove parla de' Commediografi del Lazio lo pone nel terzo luogo dopo Cecilio e Plauto :

Dein Naevius, qui servet praetium, tertiu' est.

(1) Quadrio (St. della Volgare Poesia) afferma che Nevio scrisse u Poema sulla guerra di Troja; e così lo confonde con questo sull' Iliade Cipria.

(2) Eccone il catalogo: Egisto Alcestide Danae Duloreste Ettore le Fenisse = il Cavallo Trojano

eurgo = Ifigenia

Protesilaodamia.

Esione = Li

Terenzio viene collocato nel sesto luogo:

In sexto sequitur hoc loco Terentius.

L'epitaffio che Nevio da se stesso si compose, comechè debba riprendersi per l'orgoglio Campano che è un modello di latina semplicità ed ele

vi regna, ganza:

Immortales mortales si foret fas flere

Flerent Divae Camoenae Naevium Poetam.
Itaque postquam est Orcho traditus thesauro,
Obliti sunt Romae lingua latina loqui.

Noi daremo fine a queste notizie sulle opere e la vita di Nevio con una osservazione che tende ad accrescere la nostra gloria letteraria. Comechè si debba confessare che nell'epoche più moderne noi possiamo contare un numero di tragici e di comici di alto merito che uguaglino quelli che produssero le altre regioni italiche; se vogliamo portarci coll'immaginazione a' secoli i più brillanti dell'antichità noi potremo gloriarci di avere prima con Alesside e con Rintone emulata, per avventura, la gloria se non de' Greci, almeno de' Siculi in questo genere: quindi di avere con Livio Andronico introdotto in Roma il teatro, che contribuì a rendere umano quel popolo rozzo e crudele; in ultimo con Nevio, con Ennio, e con Pacuvio di avere sparsa di lepidezze, e di venustà la lingua del Lazio, che fino a quel tempo era tutta barbara. (1)

GIUSEPPE BOCCANERA DA MACERATA.

(1) Il Toppi parla nella sua opera di una medaglia di marmo bianco che si trovava a suo tempo in Napoli nella casa di Tommaso Manso. Si vedeva da una parte un lupo che tenea sotto di se un agnello, e dall' altra una testa d'uomo con questa iscrizione: Naevius Poeta Campanus.

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