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in Roma

avvalendosi del perdono che concedevasi af vinti dal vincitore Ottavio. Colà veggendosi egli privo del padre e de' paterni beni, rivolse l'animo alla poesia. Le Muse cortesemente lo accolsero. Virgilio e Vario principi de' Poeti a quel tempo in Roma commendarono i versi d'Orazio a Mecenate. E quell' uomo veramente nobile, perchè proteggitore degli uomini di lettere, volle veder lo Scrittore de' nuovi carmi latini. Il vide, gli favellò, e al solito in poche parole, ne seppe la patria, i natali, e altre siffatte cose. Piacquero a quell' Ottimate e i versi, e le ingenue sue risposte. Ma non venne il Poeta che dopo il nono mese tra' suoi amici annoverato. Le Muse adunque il posero dapprima in grazia del Ministro, e poscia col mezzo suo acquistarongli la grazia dello stesso Ìmperatore.

Quanto e qual amore nudrito per lui abbia Mecenate, lo attesta quell' epigramma :

Ni te visceribus meis, Horati,

Plus jam diligo, tu tuum sodalem
Ninnio me videas strigosiorem.

E assai meglio il dimostra quell' elogio ch' egli stesso dall' estremità dell' Esquilie diresse ad Augusto,

Horatii Flacci, ut mei, memor esto.

Augusto pur anche onorò di sua preziosa amicizia il nostro Vate. Gli compartì assai volte le sue regie munificenze; gli donò presso i Sabini una villa, in cui tutto l'anno lavoravano otto servi con un castaldo, e che un tempo abitata, co' suoi frutti alimentava ben cinqne famiglie separate; gli offerì sino l'onorevole impiego di segretario di gabinetto ed egli lo rifiutò, e l'Imperatore non punto se ne offese. Anzi fu tanta infra essi amichevole dimestichezza, che Augusto a tal proposito gli scrive: Neque enim, si tu superbus amicitiam nostram sprevisti, ideo nos quoque ανθυπερφρονουμεν . Ed in altra occasione con esso si lamenta, che dopo alcuni scelti sermoni non faccia più menzione di essolui: Irasci me tibi scito, quod non in plerisque ejusmodi scriptis mecum potissimum loquaris. An vereris ne apud posteros infame tibi sit, quod videaris familiaris nobis esse?

Örazio per altro a più titoli meritava l'amicizia di sì

au

augusti personaggi. Ornato egli era di bei costumi, di gentili maniere, pieghevole al genio altrui, non faccendiere, non recitatore importuno de' versi suoi, non vile adulatore, rigido osservatore delle leggi sacre dell' amicizia, amico panegirista degli uomini illustri e letterati del tempo suo, di Virgilio, di Vario, di Pollione, di Antonio Julo, di Lollio, di Messala Corvino, de' Pisoni, di Munanzio Planco, di Agrippa. Quindi caro ai Grandi di Roma, e particolarmente a Mecenate e ad Ottavio Augusto.

Egli il nostro Orazio fu scrittore di Satire, non così severe come quelle di Persio nè così mordaci come quelle di Giovenale. Direbbonsi proprie di un Filosofo elegante, che sorridendo poco altro censura che le follie, le debolezze degli uomini.

Scrisse ancora dell' Epistole, piene di finezze e di facezie, ma senza ornamenti, con istile semplice andante familiare, tanto più difficile, quanto più negletto. Così scrivendo a Mecenate, ch' egli ha posto in obblio le bagattelle, e che tutto si è consecrato a imparar la filosofia, come quella che insegna ad imbrigliar le cupidigie, e posporre tutto alla virtù, comincia con quel parlare piano, ma cascante di vezzi, e pieno di dolcezza inimitabile :

Prima dicte mihi, summa dicende camona .

Così fa quando scrive che senza la coscienza del retto oprare non vi è probità, che senza probità non può darsi libertà; così finalmente quando insegna il modo come conseguire la tranquillità dell'animo .

Egli pure il nostro Vate scrisse l' Arte Poetica, quel didascalico poema di tanto buon senso ripieno, e di critica si eccellente, che può chiamarsi a ragione il Codice del buon gusto; opera superiore ad ogni censura, sebbene per pretesa mancanza di metodo la più censurata di tutte. L'avvocato Petrini, che tradussela in terza rima, credendola come altri sconnessa a cagione de' copisti, l'hà meglio ordinata, senza mutar pure un verso. Ma con buona pace de' suoi censori, la didascalica poesia ammette pure un pocolino di quel vago disordine, ch'è figlio del divino

entusiasmo.

Orazio infine scrisse delle Odi, quelle che gli han meritato il titolo di autore e principe de' carmi lirici latini.

Quin

Quintiliano il chiama pieno di giocondità e di grazia per varie figure e parole felicemente audace, quasi il solo degno d'esser letto tra' lirici Poeti. E'l famoso critico Scaligero dopo aver caratterizzate le Oraziane Odi quali di artifizio singolare, quali di sceltissime parole; l una piena di gravità, l' altra di grande spirito, non che degna di un tanto autore; quella di stil grandioso, questa vaghissima quanto altra mai; tutte adorne di tanta venustà ed eleganza, che abbiano a lui, non che agli altri tolta ogni speranza di raggiugnerlo in siffatti studj, giugne per fino a dire, che due in fralle altre ve n'erano più dolci assai del nettare e dell' ambrosia delle cui simili volea piuttosto averne fatte, che di molte delle Pitioniche e Nemeoniche di Pindaro; ch' esser anche assoluto Signore di tutto il Regno di Aragona. Veramente pompeggia in esse a meraviglia bene e'l pieno di Alceo, e la dolcezza di Saffo, e i voli di Pindaro e le grazie di Anacreonte.

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Senonchè sia colpa de' tempi, o difetto delle umane cose tanti bei pregi, tanti morali sentimenti veggonsi bene spesso infelicemente svisati da termini licenziosi, da immagini indecenti; talchè il Cigno Venosino non serbò sempre la candidezza di un cigno. Egli però a gloria della virtù confessa col solito candore i suoi proprj difetti e in questo ben anche merita non poca lode.

Fu piccolo di statura e corpolento; amante anche troppo del vino e de' raffinati piaceri: ora Stoico, or Accademico, ed ora Epicureo, o per meglio dire di niuna setta filosofica, come egli stesso lo afferma, quando dice:

Ac ne forte roges, quo me duce, quo lare tuter
Nullius addictus jurare in verba magistri;

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Quo me cunque rapit tempestas, deferor hospes. Cessò di vivere in Roma il di 27 Novembre, l'anno 745 dalla edificazione di Roma, e'l sesto innanzi all' Era Volgare, d'anni 57 meno undici giorni, un mese incirca avanti la morte di Mecenate. Lasciò erede Augusto e fu sepolto nell' estremità dell' Esquilie 'presso alla tomba del suo illustre amico e protettore.

L'AB. VITO MARIA DE GRANDIS

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Monsignee Giuseppe Orlandi

Celebre Mattematico.

Nacque in Tricase në Salentini nel 1712-
Mori in Giovenazzo nel 1776.

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In Japoli presso Nicola Gervasi al Gigante.1.23

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