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NICOLA PICCINNI.

UESTO genio dell'armonia nel 1717 nacque in Bari, da onesti, ma poveri parenti. Assai ragazzo fu mandato in Napoli a studiar la musica nel Conservatorio di S.M. di Loreto sotto il celebre maestro Durante. Piccinni fino all'età di 17 anni mostrò di non aver estro per comporre in musica; e quindi era da' Rettori del Conservatorio lasciato quasi in libertà. Questa specie d'abbandono gli fece far conoscenza con un ricco gentiluomo Napoletano, che avendo la mania di voler passare per compositore di musica, amava di tener presso di se qualcuno del mestiero.

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In una delle grandiose accademie, che solea dare questo dovizioso dilettante, Piccinni produsse alcune carte di musica vocale, ed istrumentale. E siccome esse furono ritrovate da tutti quelli, che v'erano concorsi, piene d'una vera espressione, di giudiziose e sorprendenti novità, e d'una continuata armonia, procurarono al giovane autore l'onor di scrivere nell'anno ventesimo della sua età un dramma pel Real Teatro di S. Carlo, che potea chiamarsi allora il vero Licèo della musica.

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Il dramma che Piccinni pose in musica fu la Zenobia, uno de' più patetici e sentimentali del gran Metastasio. Al suo incanto perderono di pregio tutte le musiche di quei drammi, che si erano fino allora molto apprezzate. Piccinni introdusse nel canto la chiarezza della voce, che, facendo sentir le parole animate dal sentimento dà l'anima all' espressione. Egli seguì perfettamente l'espressione della poesia. Nel patetico fu il primo, che si servì de' semituoni. Diede forma alle seconde parti delle arie, adattando ad esse la musica che 'l loro senso richiedeva. Rettificò ed abbelli l'unione delle voci ne' pezzi concertati. Animò l' istrumentale, lo liberò da quella servitù, che avea d'anticipar fissamento il canto della voce. Arricchì gli orchestri degl'i

strumenti da fiato, che vi mancavano. E diede finalmente alla musica rappresentativa ne'varj caratteri, che s'espongono sulla scena, quella verità che ora accende ora commuove, e sempre alletta, e che da' maestri di musica suoi predecessori non era stata conosciuta.

La musica della Zenobia fu più volte replicata in Napoli, e fu prodotta su tutt'i gran Teatri d'opera, che vi sono nell' Europa. E quando Metastasio l'intese in Vienna, all' aria d'agitazione, che dice Lasciami, o Ciel pietoso Esclamò, ecco la mia Zenobia nella situazione, in cui io volea rappresentarla. E ne scrisse lettera di congratulazione al Maestro.

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Piccinni animato da sì fortunato successo si rivolse ad ingentilire il teatro buffo, e di mezzo carattere, che non ostante d'essere allora in uno stato di poca decenza, godea, come in oggi, il genio deciso della nazione. Egli dunque v' abolì la musica di note e parole che vi si usava, e che potea dirsi gesticolare; e vi sostituì l' espressione graziosa, il canto, e l'armonia. E quel ch'è più, v' introdusse il serio - buffo, o sia quell' unione di serio col buffo sostenuto dal medesimo istrumentale, che rese le nostre musiche graziose di sommo pregio, e di piacere a tutta l'Europa.

Tutte le novità, che Piccinni introdusse nel dramma buffo e di mezzo carattere divennero leggi pe' suoi contemporanei, e successori maestri di cappella. Egli per interrompere la monotonia del recitativo, quasi sempre uniforme in quelle commedie, introdusse nel corso della rappresentazione i pezzi concertati a quattro, cinque, e sei voci, che prima non si conoscevano. Fu l'autore di lunghi finali cantabili nella fine degli atti. De'graziosi duetti buffi. E delle arie de' buffi non più gesticolari con qualche indecenza, ma armoniche e dilettevoli. Se il suo genio ogni giorno appariva più ammirabile, la fecondità del suo talento si rendeva sempre più straordinaria. Regolarmente in ogni anno egli scrivea quattr❜opedue re, per Napoli, una per Roma, ed una per Venezia. L'incontro di queste era quasi sicuro.

E di fatti passando già Piccinni pel più celebre maestro di musica de' suoi tempi; ed avendo portata l'armonia ad un grado di perfezione, d' onde dopo la di lui morte è cominciata precipitosamente a discendere, per la fama della musica dell' Alessandro nelle Indie di Metastasio, scritta da lui nel detto anno 1772 pel Real Teatro di S. Carlo, e nella quale quel genere d'armonia sembra, che avesse avuto il suo confine, fu chiamato in Parigi dalla Real Corte di Francia; ed ivi colla bellezza ed interesse delle sue musiche oscurò la fama, che da più anni vi s'aveano acquistata Gluck, e Sacchini. Ma nel 1788 accaduta la rivoluzione in quel Regno, egli per qualche sua imprudenza, di cui molto pativa, fu il solo, che perdè tutt'i soldi. E siccome per la nota poco economia della moglie null' avea conservato delle grandi ricchezze guadagnate in quasi tutta l'Europa, si ritrovò in grandi strettezze, e dovè ritornare in Napoli, ove fu fatto Direttore de' Conservatorj di musica col soldo di ducati 60 al mese.

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Piccinni era allora già vecchio, ed anche indebolito da un tocco apopletico, per cui non conservò più l'antica vivacità della sua fantasia. Ciò non ostante scrisse in Napoli il Gionata oratorio sacro, dispiacque. E dopo quella musica avrebbe avuta la proprietà della Cappella Reale, di cui era già maestro di Cappella soprannumerario, e sarebbe stato eletto ancora maestro delle Principesse Reali, se uno di quelli accidenti, da cui l'uomo spesse volte non può esimersi, non l'avesse a torto screditato alla Corte. E siccome Regis ad exemplum totus componitur orbis, la mancanza della protezione Reale gli fece perdere quella del pubblico. El suo Ercole in Termodonte di stil francese fu completamente fischiato nel Reatro di S. Carlo, senzacchè l'avesse rimpiazzato qualcuna delle ottime sue musiche uscite, come avrebbe dovuto accadere.

Ridotto egli a vivere co' soli soldi, e con qualche Chiesa, che avea prima di partire per Francia; e per la sua età vecchia, e morbosa debolezza non essendo

più nello stato di comporre, appenacchè nel 1798 vennero in Napoli i Francesi se ne ritornò colla famiglia in Parigi, ove la Republica l' avea già nominato direttore del Collegio musicale. Giunto però colà, con dispiacere degli amatori della vera armonia l'anno appres

so se ne morì.

Quantunque la ristrettezza propostaci non ci permetta qui d'analizzare tutte le novità con cui il nostro gran Piccinni perfezionò la musica; pure non possiamo tralasciar di dire, che nella differenza, che passa tra la musica e la poesia, egli sia il solo da compararsi all' immortal Metastasio nell'arte di saper sempre muovere il cuore umano per farli sentire le più tenere commozioni. E ciò riuscì a Piccinni perchè nelle sue musiche vocali cercò sempre le poesie sensate, e non si diparti della loro espressione.

I I capi d'opera delle musiche serie di questo gran maestro sono la Zenobia, il Cid, il Cajo Mario, l'Artaserse e l'Alessandro nelle Indie. Stando in Francia s'immortalò nello stile medio in cui scrisse Ifigenia in Aulide, Everla in Termodonte, ed altre di meno grido. Riguardo poi alle musiche buffe, e di mezzo carattere possono dirsi di tutta eccellenza quante ne scrisse; pur tuttavolta le più celebri sono la Cecchina fatta e plicata in tutta l' Europa, l'Astuto balordo, il Curioso imprudente, Ciommo Fico-secca, l'Alchimista, e i Viaggiatori.

CARLO OLIVA.

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