FACOPO SANNAZARO Il Buccolico italiano, il primo per avventura che gittò i semi della florida coltura del cinquecento è il Patrizio napolitano Jacopo Sannazaro. Ei nacque in Napoli il dì 28 Luglio 1458 da Jacopo Nicolò del sedile di Portanova e da Masella da Santo Mango nobile salernitana. La famiglia di lui originaria delle Spagne ripete il suo cognome da San Nazaro, castello in cui venne ad abitare tra '1 Po el Tesino sul Pavese. Di là sul finire del decimoquarto secolo trapiantolla in Napoli il di lui bisavolo seguendo da capitano la fortuna di Carlo III di Durazzo che movea alla conquista del Regno. Jacopo ebbe per maestro di latine e di greche lettere Giuniano Maggio. Giovinetto peranche venne col nome d'Azio Sincero ascritto a quell' Accademia di cui fu fondatore il Panormita e legislatore, il Pontano. Quivi raffinò il suo gusto gareggiando con quei valentuomini. La nobile donzella Carmosina Bonifacia fu la novella Laura che lo accese di nobil estro, e fu a un tempo il soggetto del primo suono di sua lira. La fama del giovine Poeta penetrò fino entro la reggia del re Ferdinando I. Il figliuol di lui Federigo, indi re di Napoli, ne divenne l'amico e 'l protettore. Nè fa men caro al fratello Alfonso duca di Calabria, sotto i cui vessilli militò in Toscana e altrove, seco tracndo le muse frallo strepito delle armi . Nell'anno 1501 spogliato del trono l'ottimo re Federigo, Sannazaro mostrossi l'amico non del re, ma dello stesso Federigo. Per soccorrerlo vendè la gabella del Gaudello e due castella, accompagnollo in Francia, seco ivi rimase in volontario esiglio, lo assistè alla sua morte, gli rendette gli ultimi doveri, e sparse di calde lagrime la sua tomba. Restituitosi in patria il 1503, cominciò a godere di quella tranquillità d'animo tanto amica delle muse. Condiva i momenti che involava allo studio colla platonica famigliarità di Cassandra Marchesa Dama onesta e spiri tosa tosa in cui onore compose il bel distico: Quarta Charis, decima est mihi Pieris, altera Cypris, che nel nostro idioma può leggersi così: ور Cassandra, sei la decima La quarta delle Grazie, Scrisse il Sincero in lingua volgare e prose e rime con venustà ed eleganza. Fu il più valente Lirico toscano che fiorisse dal Petrarca fino a' tempi suoi il primo che nelle ,, prose dell' Arcadia facesse rivivere la colta prosa italiana imbarbarita dai Filelfi, dai Landini, dai Palmieri e dai Savonarola. Ei seppe cogliere la eleganza del Boccaecio e 'l candore de' Trecentisti coll' avvertenza però di escluderne le faticose trasposizioni e i rancidumi abro,, gati dall'uso (1). La leggiadria poetica, l'invenzione e'l patetico delicato che anima questo componimento, ,, malgrado degli sdruccioli e de' latinismi dell' Egloghe e dello stile delle prose calcato non sulle Novelle, ma sulle altre opere del Boccaccio il rendè molto celebre fra' coetanei; ed i posteri non ignari de' difetti di esso ,, pure non si stancano, nè si stancheranno di leggerlo (2) . L'Arcadia viene considerata come una delle più leggia,, dre produzioni di cui possa gloriarsi l'italiana favella, ,, e l'autor suo come il principe de' volgari poeti buccolici (3). Essa, dice Andrea Rubbi, fu opera giovanile, ma per la novità del lavoro sorprese il mondo, e gli ,, mantenne una lode eterna fino a' di nostri. Troncate aune foglie troppo lussureggianti, proprie dell'età fer,, vida, e voi avrete una buccolica o uguale o migliore di quella di Teocrito e di Virgilio. وو Il suo latino Poema del Parto della Vergine fa sentire nobilmente il suono dell' epica tromba: e tanto si avvi cina (1) Corniani I Secoli della Letteratura Italiana. (2) Pietro Napoli Signorelli Vicende della Coltura delle due Sicilie. (3) Corniani ec. cina al candore e alla sublimità Virgiliana che par di leggere l'inimitabile cantor dell'Eneide. In esso gareggia la brevità collo splendore, l'ornamento coll' armonia, la bellezza colla fluidità. Infine tutti i carmi sɔno per modo armonici, gravi, sentenziosi che pareggiano il vanto di qualsivoglia scrittore il più classico ed elegante. I Letterati d'Italia e d'oltremonti esaltarono a cielo quel poema, lavoro di ventun anni. E gl' immortali Pontefici Leone X e Clemente VII spedirono due onorificentissimi brevi a Jacopo Sannazar ch'a le Camene Lasciar fa i monti, ed abitar le arene. Scaligero ed Erasmo gli appongono a delitto d'aver tratto a figurare in un sacro argomento Divinità gentilesche. Non v' ha dubbio ch'egli avrebbe fatto miglior senno ad. attignere dal fonte inesausto delle sacre carte e le immagini maestose e gli augusti personaggi. Ma ei servì al gusto allora dominante di tutto pennellare colle tinte della pagana mitologia. S'egli sapea prevedere che un tal gusto non era il gusto di tutti i secoli, non vi sarebbe che desi-derare nel suo poema. Pure al detto di un moderno scrittore si è la più bella poesia sacra latina che sia uscita da penna italiana. Le sue colte latine Egloghe Pescatorie posson dirsi originali, che egli il primo fu a corre questo novello fiore sul Parnaso. Un dottissimo Spagnuolo giugne insino a dire che Napoli può gloriarsi più delle Pescatorie di Azio Sincero che della Tebaide di Stazio Papinio. Le sue facili Elegie esprimono Tibullo e Properzio; i suoi vaghi Endecasillabi Catullo; e Marziale parecchi de' suoi arguti Epigrammi. Non è fuor di luogo quì riportare quel rinomato epigramma che meritò dal Senato Veneto secento scudi: Viderat Adriacis Venetam Neptunus in undis Si pelago Tibrim praefers, urbem adspice utramque: A quest' originale ha tolto quasi dissi il pregio il Sonetto del Custode d' Arcadia Michele Giuseppe Morei: Quan |