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SERAFINO DELL'AQUILA.

Nacque Serafino nell'Aquila in Abruzzo, e fu dalla

patria denominato.

Discordano intorno al nome di sua famiglia le opinioni degli scrittori, e lo stesso accuratissimo Mazzucchelli, che tutte le ha raccolte, non sa all' una più che all'altra attenersi (1). Quella però che lo fa della famiglia Cimino ha, per quanto a noi pare, miglior fondamento.

Ancor fanciullo da un suo zio per nome Paolo fu egli locato in corte del conte di Potenza là dove ebbe occasione di apprender la musica da Guglielmo Fiamingo nella quale maravigliosamente riuscì essendo divenuto maestro a quel tempo nel comporre in canto figurato.

Ridottosi quindi in patria per tre anni, questi impiegò rello studio della poesia, presi avendo Dante e Petrarca a modelli; e ne avrebbe tratto maggior profitto che non fece, se il gusto della poesia tralignata in quel secolo dal primitivo candore non glie lo avesse disdetto (2). In questo spazio molto ancor compose in note musicali.

Sparsasi la fama del suo ingegno, Ferdinando II. Re di Napoli, allora duca di Calabria, lo attirò in sua corte nel 1491. Serafino vi spiccò egregiamente, e la delizia divenne non meno delle persone reali, che di tutte le ornate dame, e de'colti e gentili cavalieri. Questi prendean

Alfieri

(1) Il Crescimbeni vuole che egli fosse della nobile famiglia che è la medesima che quella degli Strinati di Cesee Bernardino Tafuri, che nato fosse di Francesco Piccadoca de' baroni di Ogliastro, e di Lippa o sia Filippa de Legisti dama Aquilana; ma nè l'uno nè l'altro adduce di ciò che afferma veruna pruova.

(2) Concetti bizzarri, imagini strane, e di un colorito fosco ; niuma grazia di stile, niuna eleganza di lingua, che si negligentava fin nella grammatica, distinguono la poesia del secolo XV tralignata dal candore Petrarchesco, prima che Bembo, e tanti altri sublimi ingegni riposta l'avessero nell' antico splendore.

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maraviglioso diletto in udirlo cantare con soave voce accompagnata da armonioso suono, ora meditati componimenti, ora estemporanei versi che la fervida sua fantasia gli dettava (3). Occupato il regno da Carło VIII. Serafino passò nella corte del duca di Urbino, quindi in quella di Francesco Gonzaga marchese di Mantova, nella quale fu caro non meno a lui che ad Elisabetta sua sposa ; e gareggiando tutti i principi Italiani di averlo presso di essi, si trasferì alla corte di Ludovico Sforza duca di Milano, per tutto avuto in egual pregio; d' onde dovè partire per esser venuto pur quello stato in poter de' Francesi.

Si ritrasse finalmente nella corte del cardinal Gio: Borgia, e quindi presso il duca Valentino fratello di costui pel cui mezzo venne fatto cavaliere di grazia dell'ordine gerosolimitano, e gli fu ancora una commenda conferita. Poco però ebbe la ventara di goderne, da che aggravat da febbre terzana, con troppo acerba morte cessò di vivere nell'agosto del 1500 di anni trentaquattro. Il divisato duca e l'accademia Romana presero cura de' suoi funerali, e fa in S. Maria del popolo seppellito. Bernardo Accolti detto l'unico Aretino, gli compose e fece scolpire l'epitaffio che qui rapportianio.

Qui giace Serafin partirti or puoi

Sol di aver visto il sasso che lo serra
Assai sei debitore agli occhi tuoi.

Alto grido levò a' suoi dì Serafino, il quale gli derivờ in parte dal corrotto gusto di quel tempo, siccome avvenne ancora al Cei, e al Tibaldeo, del quale il nostro poeta fu emulo ed imitatore. Ma chi non terrà per troppo ardimentoso l'avviso del Dolce, che poeta da dozzina osờ nominarlo ?

Le rime dell'Aquilano furono allora tenute a quelle dello stesso Petrarca superiori; e questo, oltre alla depravazione dello stile, debbe anche attribuirsi al melodioso concento col quale cantava i suoi versi.

(3) L'arte di compor versi all' improvviso fu molto usata fra Greci, siccome può osservarsi nell' orazione di Cicerone in difesa di Archia.

Del rimanente le poesie di questo antore, delle quali si parla anche a'nostri giorni con lode, tuttochè si risentan del secolo nel quale furon dettate e della qualità d'improvvisatore (4), da moltissimi de' difetti de' suoi contemporanei sono esenti, nè sempre il suo stile è privo di grazie e di coltura. Il sonetto che qui rapportiamo ne può essere una pruova, che scritto è in dialogo, e contiene molta filosofia con poetica vivezza rappresentata (5).

Quando nascesti Amor? Quando la terra
Si rinveste di verde e bel colore:
Di che fosti creato? Di un ardore,
Che ciò lascivo in se racchiude e serra.
Chi ti produsse a farmi tanta guerra?
Calda speranza e gelido timore:
Ove prima abitasti? In gentil core
Che sotto al mio valor presto si atterra.
Chi fu la tua nutrice? Giovinezza

E le sue serve avvolte a lei d'intorno
Leggiadria, vanità, pompa, e bellezza.
Di che ti pasci? Di un guardare adorno:
Non può contro di te morte o vecchiezza?
No; ch' io rinasco mille volte al giorno.

Le maniere de' poetici componimenti da Serafino usate sono sonetti, egloghe, stanze di ottava rima, capitoli, strambotti, e terze rime che denominò disperate, le quali contengono forti invettive di amore, e querele.

Bizzarrissima è poi quell' invenzione di egloghe composte non solo con desinenze sdrucciole, ma tutte di sdrucciole parole.

(4) Per lo più i componimenti de' poeti estemporanei han poca forza, poca correzione, e più apparenza, che sostanza, mancano di lima e di regolare disegno. Questo si può osservare nelle rime degl' improvisatori, le quali sono a stampa, come in quelle del Perfetti, della Corilla, della Sulgher, del Serio, del Gianni ec. Bisogna eccettuarne fra i trapassati Paolo Rolli, e fra i viventi la Signora Bandettini.

(5) Un' elegante parafrasi in versi latini fece di questo Sonetto Giorgio Bucanano.

In tutte le rime dell' Aquilano traspariscono lampi di buona poesia, onde potrebbe di lui dirsi ciò che di Lucilio disse altra volta Orazio :

Cum flueret lutulentus erat quod tollere velles.

Fu l'Aquilano picciolo di statura, grosso di corpo, ma robusto; ed avea capelli lunghi e distesi. Grazioso parlatore egli era, ma talora ne' motteggi troppo vivo e mordace.

Somma lode è per lui di aver ravvivata fra noi la poesia estemporanea, e l'arte di cantare i versi, siccome egli facea al suono del liuto, che molto era a quel tempo in voga, e che con maestria suonava (6).

Molte edizioni si fecero delle sue poesie, fra le altre quella del 1515. una con le rime del Tibaldeo, e possono vedersi presso il Mazzucchelli che ne tesse lungo catalogo.

Non saprei dir con qual fondamento l' Orlandi attribuisce a Serafino cortigiano, poeta, improvvisatore, musico e bello spirito opere teologiche latine, delle quali fa novero, o d'onde ne abbia avuto contezza. Bisogna supporre, che queste sieno, se pur vi sono di qualche frate Francescano, che abbia avuto nome Serafino, prendendo il cognome dalla patria, siccome è uso di questi, e che l'Orlandi, con poca critica e discernimento le abbia attribuite al nostro poeta.

Alcune opere di Serafino furon tradotte in Francese come dal titolo seguente si ritrae: Les trois comptes intitulez de Cupido et d'Atropos inventé par Séraphin poete Italien, et le second et troisième de l'invention de Jean le Maire : Paris par Galiote du Pré 1521. 8.o

ANDREA MAZZARELLA DA CERRETO.

(6) L'usanza di cantar i versi a suono del liuto fu introdotta da Francesco Petrarca, che egregiamente il facea; ed essendo andata in dimenticanza, fu da Serafino restaurata, e quindi seguita da tutti i cortigiani di quel tempo..

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