Dalla Società Tipografica DE CI Assici ITALIANI, contrada di s. Margherita, N.° 1118.
I, più bello imparar filosofia, Non di costumi sol, ma naturale, Senza troppo studiar, mi par che sia Guardare a chi fa bene e chi fa male. E fu certo bizzarra fantasia, E piena d'alto giudizio e di sale Quella di que due savj, ch'un piagneva, E l'altro d'ogni cosa si rideva.
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Rideva l'un, che gli uomini eran pazzi;
L'altro la lor miseria sospirava, Considerando i travagli e sollazzi Magri del mondo, e " che se ne cava. E forse che non par ch'ognun s'ammazzi? Chi va per marchi per terra chi brava, Chi fa il ricco chi il bello chi lo scaltro, Chi sel becca in un modo e chi in un altro,
3 Ma sopra quel che sel divoran, poi, Son re e genti di gran condizione; De' quai l'opere pare, o sciocchi, a voi Che fatte sien con senno e con ragione; E ne sanno tal volta men di noi. Ma il male è che le povere persone Portan le pene delle colpe loro; E così quel ch'è piombo ci par oro.
E così si risolve finalmente, Che la minor pazzia ch'un possa fare, E ammirare ed appetir niente; E da questo Agrican senno imparare, Che l'onore e la vita, tanta gente, E tanti regni e tante cose care, E sette re ch'aveva al suo comando Perdè in un giorno sol per man d'Orlando.
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Laonde adesso armato e disperato, Col corno a mortal guerra lo chiamava. Hallo a guerra finita disfidato, E con esso chiunque il seguitava. Molta furia menando s'è vantato Sol contra tutti loro, e sbuffa e brava. Ma de la Rocca già si cala il ponte, Ed esce fuora in sella armato il Conte.
6 Dopo lui segue Uberto dal lione:
E Brandimarte e 'l feroce Adriano, Nè men di lui valente Chiarione, Lietamente ne van presi per mano. Angelica si pose ad un balcone, Per far più fiero il senator Romano, o Perchè dal viso dove alberga amore, - - Spiri nel petto suo foco e valore.
Quel re feroce in un atto li guarda, Come contra sì pochi i si sdegni; E con la vista gravemente tarda, Quasi volendo inteso esser a segni, Pur disse a suoi così: gente codarda, Gente indegna di star dentro a miei regni, State in riposo: ognun sia cieco e muto; Non sia di voi chi venga a darmi aiuto,
Perchè non ho bisogno; e solo spero, Se costor fusser mille volte tanti, Fargli pentir del lor folle pensiero. Intanto i cavalier vengono avanti. Orlando guarda il re superbo e altiero, E pien d'ardir lo giudica a sembianti; E già di farlo suo dentro a se brama, Com'un simile a se l'altro sempre ama,
Quella gente sgridata ei ammonita, Umilmente chinando il capo, mostra Che la voce del re sarà ubbidita. Il quale addietro volto ha fatto mostra Di tor del campo, e'l suo nimico invita; Onde anche il conte Orlando entra a la giostra, E vengon l'uno a l'altro incontro, quali Da due buon archi spinti van gli strali;
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O se mai forse insieme urtar due tuoni Da Levante a Ponente in cielo, o in mare Onde, altrimenti dette cavalloni, Che due contrari venti fanno urtare, Si piegaro ambedue sopra gli arcioni: Su le groppe a cavai volser cascare: Ruppersi l'aste grosse, e al ciel volorno; Tremò la terra, e fessi oscuro il giorno,
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