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E' non cessa però d'esser uomo: l'equità sua a quando a quando traluce magnanima; ma poi le ire la offuscano, e il provocato dolore la irrita. Ardente nelle lodi, ardentissimo ne' vituperii; or vantatore della propria grandezza, ora dimesso, e conoscente (al modo che i vili non la conoscono) la fiacchezza propria, il proprio nulla; nemico d'ogni simulazione, ma non padrone di sè tanto da non adoperare la forza della mente nel dare alla passione stessa aspetto di generosa virtù ; pronto insomma a mostrarsi altrui non pur quale egli è, ma quale e' sente, qual crede d'essere; e in ciò non mai ingannatore, ma tal volta ingannato egli stesso. E ben disse che al suo poema avevano posto mano e cielo e terra; perchè in esso s'alterna quant'ha la parola ispirata di più austero, e la virtù di più candido, e l'amore umano di più profondo, e l'ira di più meditato, e il disprezzo di più amaro, e l'amicizia di più cordiale, e la riverenza di più modesto, e i bassi affetti di più difficile a indovinare a chi non li abbia sperimentati, e i nobili di più generoso. Semplice e forte, ardente e grave, conciso e abbondante, immaginoso e esatto, severo ed umano, tragico e comico, dotto e poeta, Fiorentino e Italiano, simbolo delle contraddizioni che rendono glorioso e infelice questa nazione e l'umana natura. Chi cerca in esso non altro che il poeta, non saprà mai degnamente apprezzarlo, giungerà forse a deriderlo; chi lo considera come un infelice mal conosciuto dal suo secolo, e che anela darsi a conoscere mostrandosi intero, facendo pompa dell'ira sua, come della scienza, sdegnando e nei concetti e nei sentimenti e nello stile e nel linguaggio ogni raffinatezza dell'arte; quegli saprà doppiamente ammirarlo nelle bellezze, degnamente scusarlo nei difetti, indovinare gl'intendimenti ch'egli ama talvolta nascondere sotto il velo dei versi strani.

I destini di Firenze erano a que'tempi si collegati ai destini della nazione intera, e l'Italia, allora più che mai, aveva tal parte nelle ambizioni e ne' timori e ne' raggiri di tutti i potentati europei, che Dante non poteva cantare della gran Villa, senza stendere la sua voce al di là dell'Alpi e de' mari. Quella missione che ai di nostri è affidata ai negoziati politici o alla libera voce de' giornali, o a gravi trattati scientifici, Dante, l'esule e quasi mendico cittadino, esercitava, unico tra gli uomini di stato d'allora, unico tra i poeti di tutti i secoli, in mezzo all'intera nazione; la esercitava in quei canti, che i rozzi artigiani ripetevano nelle officine, che i grandi temevano e ambivano; che poi sonavano interpretati dalle cattedre, nelle chiese; che trasvolarono i secoli, ed ora risonano sino in quel mondo ch'egli diceva senza gente, eternando coi dolori e coi rancori di un uomo, le glorie e le sventure di un popolo. Nella mente di Dante le miserie e le vergogne della discordia che agitava Firenze non erano che un anello di quella grande catena che si avvolgeva intorno al bel corpo d'Italia. Egli piange sul suo nido natio, ma dopo avere esecrato i tiranni di cui le terre d'Italia eran tutte piene. Gli Svevi da Federico a Corradino, gli Angioini da Carlo a Roberto, gli Aragonesi da Pietro a Federico, i Tedeschi da Alberto ad Arrigo, i Francesi da Carlo Magno a quel Valois, e i Re di Spagna, di Navarra, di Portogallo, d'Inghilterra, di Scozia, d'Ungheria, di Boemia, di Norvegia, di Cipro, passan tutti a

e niste desortazione, di rampogna, o maledetti con

il dolore. Non provincia in Italia, non città

01 aon tocchi nel volo della concitata passione, dond'egli

avid a Deranza o di vendetta. Gli uomini di tre secoli gli passano suurvist in essere marchiati d'infamia; ed egli, come il suo Minosse, amera segna a ciascuno il suo grado dell'inferno, in quell'inferno mucho a vemietta gli stampa rovente nell'anima.

ku voru gi venne il suggello del genio. Quel vasto disegno de' tre mondi è oranae ale civih intenzioni dell'esule. La descrizione delle bolge ghiacciate ed arucina, de cercaì della solitaria montagna, e delle sfere armonizzanti di luce, Qdo dese lontano, posto ad aggiungere alle figure storiche più evidente rilievo. Ele pitture stesse della natura corporea, le stesse visioni del mondo della fede, in tanto nel poema di Dante son vive, in quanto vi scorre per entro, quasi sangue, la storica verità. Gli altri poeti, ai fatti che cantano cercano una similitudine nel mondo de'corpi: Dante agli oggetti del mondo corporeo cerca quasi un illustrazione ne' fatti della storia; e il suo tremore alla vista dei diavoli è paragonato al sospetto di que' che uscivano patteggiati di Caprona, e le figure dei giganti alle torri di Montereggione, e le tombe degli eresiarchi a quelle d'Arli e di Pola, e il borro infernale alle rovine del Trentino, e la selva dei suicidi agli sterpi tra Cecina e Corneto, e gli argini del nero ruscello a que' de' Fiamminghi e de Padovani, e le cappe degl'ipocriti alle cappe degli eretici arsi, e le piaghe de' falsarii al marciume di Valdichiana, e il ghiaccio de' traditori al Danubio in Austerich, e l'atteggiamento della frode al giacersi del bevero là tra' lurchi. Le storiche allusioni ora prorompono dalla poesia dantesca come incendio dilatato, ora come lampo sfuggevole, ora scendono quasi fiume pieno, ora serpeggiano quasi per vie sotterranee. Gli è un cenno talvolta, che significa una serie di fatti, di passioni; gli è talvolta un simbolo, che la rabbia assume per trasparir più potente dal velo della profezia e del mistero.

Quindi la difficoltà di penetrare certi intendimenti di Dante; difficoltà la quale talvolta i commentatori confessano o col tacere, o col poco dire, o col contraddirsi. Inutili dichiarazioni grammaticali, ed ingiurie a' precedenti commentatori, e dubbi accumulati a dubbi, e allegorie ad allegorie; tali i più de' commenti. Ma quello che più deve recar maraviglia si è l'abbattersi in uomini ai quali lo studio di Dante fu professione prediletta, e quasi unico vanto, e trovarli non curanti de' fatti più importanti che commettono la poesia dantesca alla storia. Eccovi un autore di fama raccontare che i Guelfi ajutati da Manfredi sconfissero i Ghibellini: eccovi il Perticari creare Giangiotto signore di Rimini, e chiamar degno amico di Dante l'uomo che cent' anni innanzi amò la sorella di Ezzelino beatificata da Dante.

Non accade fermarsi a confutare l'idea strana del Foscolo, della missione apostolica che Dante riceveva lassù in Paradiso per riformare la Chiesa; egli che, gridando con ira passionata l'enormità degli abusi, professava ad un tempo La

riverenza delle somme chiavi; e affermava l'impero di Roma essere stato stabilito da Dio

per lo loco santo

U' siede il successor del maggior Piero.

Non accade fermarsi a confutare quelle tante ragioni di convenienza con le quali egli, il Foscolo, s'ingegna di dimostrare che Dante non diede fuori in vita sua del poema altro che i canti meno storici e meno iracondi; poichè non solamente le tradizioni a ciò contraddicono, ma e i fatti, e l'indole del poeta, e le sue speranze, e i suoi fini, e la natura de' tempi.

Ma dal bene studiare le allusioni storiche del poeta viene dedotta questa conseguenza, che uomo di tale ingegno, di tale esperienza, e tanto desideroso di dimostrare in piena luce, parte almeno di certe verità, oltre al dover essere onorato come poeta, dev'essere interrogato come narratore e pittore di grandi memorie; e siccome le altrui autorità servono a rischiarare i suoi versi, così i versi di lui debbon servire a confermare e conciliare le autorità degli storici antichi. In questo aspetto non è stata forse ben riguardata finora l'opera dell' Allighieri, e nessuna poesia: e pure la storia da simili comparazioni trarrebbe inaspettata e amenità e moralità ed evidenza.

Speriamo che la nostra letteratura incominciando a considerare in Dante il cantore della rettitudine e della religione, l'amico della patria e del vero, il poeta storico, apprenderà, non più ad echeggiare la durezza de'versi, o ad affettare l'ardimento di certi modi, o a ricopiare in nube le forme fantastiche della visione da lui scolpita, ma ad emularne la storica fedeltà, la libertà coraggiosa; e conoscerà finalmente essere inefficace e peggio che inutile ogni poesia che non venga dall'anima.

COMMEDIA

DI

DANTE ALLIGHIERI

CON RAGIONAMENTI E NOTE

DI

NICCOLÒ TOMMASÉO

MILANO
PER GIUSEPPE REJNA
1854

COI TIPI DI G. BERNARDONI.

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