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Non paia strano che nell' entrare alla pena de' violenti il Poeta esclami: Oh cieca cupidigia, oh ira folle! L'Apostolo chiama radice di tutti i mali la cupidità, cioè la volontà naturale disordinata di cosa qualsiasi: però c'entra l'ira violenta e rapace si degli omicidi, sì de' ladroni di strada, e si de' governanti non giusti. Stazio (1): Cœcumque cupidine regni. Orazio: Fervet avaritia miseroque cupidine pectus (2).

Dice Aristotile (3) meno turpe l'incontinenza dell'ira che della concupiscenza. Ira, dice Tommaso (4), è meno di concupiscenza, e con quella ricchezza che fa maravigliosa la sua parsimonia, lo prova con quattro argomenti: perchè nell'ira è un principio di ragione, dove nella concupiscenza soverchiano i sensi; perchè nell'ira può più la subita forza del temperamento, il quale trasmetlesi anco per la generazione, onde più spesso da iracondi nascono iracondi, che da incontinenti incontinenti; perchè l'ira si sfoga apertamente, la concupiscenza ama tenebre e frodi: perchè in questa è diletto, in quella il male stesso è accompagnato da pena. Ma d'altra parte l'ira, nota Tommaso (5), è più grave in quanto fa al prossimo maggior nocumento.

L'ira incontinente è fuor di Dite; l'ira bestiale de' tiranni, dentro. Il Minotauro, bestia e figlio di re, figura l'ira e la rapina tirannica, la quale si nutre di carne umana e di giovane sangue.

La rapacità si contiene sotto la violenza, della quale è una specie (6). La cupidigia muove i tiranni a rapina, l'ira a dare la morte. Ne' Centauri figura, dice il Boccaccio, gli uomini dell'arme, co' quali i tiranni tengono le signorie contro a' piaceri de' popoli. Virgilio li pone alle porte d'Inferno, a posare (7): stabulant. Meglio

metterli in caccia. I violenti in Ezechiele (1) son detti cacciatori, e nella Genesi Nemrod. E i Centauri in Inferno saettano i tiranni come fossero flere selvagge; il che rammenta la storia di Nabucco.

Della rapina e privata e pubblica, cosi la Somma (2): La rapina è violenza e costringimento per cui togliesi contro giustizia ad altri quel che è suo. Chi per violenza toglie cosa altrui, se è persona privala opera illecitamente e commelte rapina, siccome apparisce ne' ladroni; ai principi poi la podestà pubblica commettesi per questo che sieno della giustizia custodi, e però non è lecito ad essi usare violenza e costringimento se non secondo il tenore di giustizia, e ciò contro i nemici con la guerra o contro i cittadini rei con la pena. Se poi contro giustizia essi prendono violentemente le altrui cose, commettono rapina e sono alla restituzione tenuti. E quanto alle prede di guerra, è da distinguere che se s'ha guerra giusta, le cose con forza acquistate in guerra diventano di chi le prende; e questa non è rapina; sebbene si possa anche in guerra giusta peccare con l'intenzione per cupidigia di preda; cioè, se non per la giustizia principalmente combattesi, ma per la preda (3). E quanto a' principi, se eglino da' sudditi esigono quel che è ad essi dovuto secondo giustizia per conservare il comun bene, anco se violenza s'adoperi, non è rapina. Ma se indebitamente per violenza estorcano, gli è rapina siccome il latrocinio, onde dice Agostino (4): Remota justitia, quid sunt regna nisi magna latrocinia? Quia et latrocinia quid sunt nisi parva regna? Ed Ezechiele (5): Principes ejus in medio illius quasi lupi rapientes prædam. Onde sono tenuti alla restituzione siccome i ladroni, e tanto più gravemente peccano

II. (1) Theb., (2) Ep, I, 1. (3) Eth., VII. (4) XXXII, 50. (3) Aug., Ver. (2) 2, 2, 66. (4) Som., 2, 2, 156. —(5) Som., 153 e 156: Ira con- Dom., ser. XIX: Militare per la preda è peccato. duce a omicidio. (6) Som., 2, 2,118. (4) De Civ. Dei, IV. - (7) Æn., VI. - (5) XXII, 27.

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de' ladroni, quanto più pericolosamente e più comunemente contro la giustizia pubblica fanno: della quale son posti a custodi.

Tyranni maxime violentias subditis inferunt (1); e Aristotile (2): I tiranni che guastano la città e rubano le cose sacre non chiamiamo semplicemente illiberali, cioè avari. Il motto di Geremia (3): prado gentium corrisponde al titolo che dà Lucano al Macedone di felix prædo (4); e forse ad ambedue i passi avrà Dante avuta la mira. L'Ottimo a questo luogo: È da notare come la tirannica signoria è pestilenziosa e malvagia... Intende il tiranno solamente il suo bene proprio di che elli imale di tutto il rimanente. Item è iracondo acciocthe li sudditi per forza non sperino in alcuna sua tranquillitade... Ed è senza ragione rubesto e fiero... e questo perocchè non si fida: elli crede che ciascuno procuri il suo distruggimento. Ed è salvatico, che mai colli suoi cittadini non usa, nè ha con loro dimestichezza o familiarilade; e questo perchè nol conoscano, e perchè nol trovino lascivo e abile alli loro voleri... Toglie le forze d'ogni singolare persona, perchè non li possano rubellare; vive con gente strana e di mala condizione, li quali per la loro crudeltade tengono sotto paura tutto il popolo... E però che li tiranni hanno tali

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condizioni nel mondo, si li accompagna là con quelli centauri animali mostruosi.

Tommaso (1): Tyrannorum dominum diuturnum esse non potest cum sit multitudini odiosum: che rammenta quello dell' VIII del Paradiso: Se mala signoria che sempre accora Li popoli suggetti. Ma quella sentenza è per terrore ed ammaestramento de' popoli temperata dall'altra (2): Tyranni sunt instrumentum divinæ justitiæ ad puniendum delicta hominum.

Due volte, a quel ch'io rammento, ha Dante la voce tirannia (3), due volte la voce tiranno, laddove dice che Romagna non è, e non fu mai Senza guerra ne' cuor de' suoi tiranni (4), e che le terre d'Italia tutte piene Son di tiranni (5) : egli che tante volte pronunzia con riverenza i nomi di re e imperatore, e che da Tommaso apprendeva a distinguere re da tiranno. Regnum non est propter regem, sed rex propter regnum, quia ad hoc Deus providit eis, ut regnum regant et gubernent, et unumquemque in suo jure conservent: et hic est finis regiminis, quod si aliud faciunt in seipsos commodum retorquendo, sunt reges, sed tyranni (6).

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CANTO XIII.

Argomento.

Nel secondo girone de' violenti penano i suicidi, trasformati in aspri tronchi sensibili, come il corpo di Polidoro in Virgilio. Le Arpie li divorano, come in Virgilio l'avoltoio divora il cuore di Tizio. E le Arpie da Virgilio son poste sulla soglia d'Inferno. Il Poeta trova Pier delle Vigne, secretario di Federigo II. Poi rincontrano anime nude inseguite da cagne nere che vanno per lacerarle, e sono i prodighi che disperali si uccisero o si lasciaron morire, prodighi bestiali, non che incontinenti.

Canto pieno di vita e di varietà, perché storico la miglior parte.

Nota le terzine 1, 2, 5, 8, 9, 12, 14, 15, 19, 22; 24 alla 27; 51; 53 alla 48.

1.

Non era ancor di là Nesso arrivato,
Quando noi ci mettemmo per un bosco
Che da nessun sentiero era segnato.

2. Non frondi verdi, ma di color fosco;
Non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti;
Non pomi v'eran, ma stecchi con tosco.
3. Non han si aspri sterpi, nè sì folti,
Quelle flere selvagge che 'n odio hanno,
Tra Cecina e Corneto, i luoghi colti.
4. Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,
Che cacciâr delle Strofade i Troiani
Con tristo annunzio di futuro danno.
5. Ale hanno late, e colli e visi umani,

Piè con artigli, e pennuto 'l gran ventre.
Fanno lamenti in su gli alberi strani.

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6. (L) MENTRE : fin.

(SL) MENTRE. Inf., XVII: Mentre che torni Ha senso anche di fino a che, come il dum de' Latini. Pandolf.: Starà con voi, mentrecchè non l'abbandonerete. 7. (L) TORRIEN fede al mio SERMONE: non le crederesti a me.

(SL) TORRIEN. Petr.: Sospiri Che acquistan fede alla penosa vita. FEDE. En., III: Dictu video mirabile monstrum... Eloquar, an sileam?

(F) TORRIEN. I suicidi sono incarcerati in un tronco, perchè avendo gittata via la spoglia mortale, non meritano riaverla. Chi si priva della vita sensitiva, avrà solo la vegetante.

8. (L) PER CH': onde.

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10. Però disse 'I maestro: Se tu tronchi Qualche fraschetta d'una d'este piante, Li pensier ch'hai, si faran tutti monchi. 14. Allor porsi la mano un poco avante,

E colsi un ramuscel da un gran pruno; E'l tronco suo gridò:- Perchè mi schiante? 12. Da che fatto fu poi di sangue bruno,

Ricomincio a gridar: - Perchè mi scerpi? Non hai tu spirto di pietate alcuno? 13. Uomini fummo, ed or sem fatti sterpi. Ben dovrebb'esser la tua man più pia Se stati fossim' anime di serpi. — 14. Come d'un stizzo verde, ch'arso sia Dall' un de' capi, che dall' altro geme, E cigola per vento che va via, 45. Così di quella scheggia usciva insieme

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(SL) [STIZZO. Assai male e con freddo ragionamento l'imitò l'Ariosto (VI): Come ceppo talor che le midolle Rare e vole abbia, e posto al foco sia; Poi che per gran calor quell'aria molle Resta consunta che in mezzo l'empia, Dentro risuona e con strepito bolle, Tanto the quel furor trovi la via: Così mormora e stride e si corruccia Quel mirto offeso.] — GEME. Crescenz.: E la nera lerra gemerà e renderà cotali risudamenti, e non grandi gronde d'acqua.

(F) COME. Accenna a un passo di Aristotile (Meteor.).

15. (L) SCHEGGIA: ramo rotto.

(SL) SCHEGGIA. Æn., III: Ater et alterius sequitur de cortice sanguis. COME. Modo che rammenta il virgiliano: Similis tenenti... imploranti... laboranti (Æn., XII, VII; Georg., III), e l' oraziano: Similis metuenti (Sat., II, 5). — TEME. Æn., III : Mihi frigidus horror membra quatit.

16. (L) PUR: sol. RIMA: parola.

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(SL) LESA. Lesione per mutilazione era voce del tempo ed è tuttavia lermine medico. RIMA. Metro per grido (Inf., VII). Altri intende del III dell'Eneide: Horrendum, el dictu video mirabile monstrum.

17. Non averebbe in te la man distesa; Ma la cosa incredibile mi fece Indurlo ad ovra ch'a me stesso pesa. 18. Ma dilli chi tu fosti; si che 'n vece

D'alcuna ammenda, tua fama rinfreschi Nel mondo su, dove tornar gli lece. 19. El tronco: Si col dolce dir m'adeschi, Ch'i' non posso tacere. E voi non gravi Perch' io un poco a ragionar m'inveschi. 20. Io son colui che tenni ambo le chiavi Del cuor di Federigo, e che le volsi, Serrando e disserrando, si soavi, 21. Che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi. Fede portai al glorioso ufizio, Tanto, ch' io ne perdei lo sonno e i polsi. 22. La meretrice che mai dall'ospizio

Di Cesare non torse gli occhi putti,
Morte comune, e delle corti vizio,

17. (L) OVRA : opera. ̧

RINFRESCHI:

(SL) AVEREBBE. È nel Sacchetti. 18. (L) AMMENDA del dolore a te fatto. rinnovi in bene. GLI LECE: può. 19. (L) VOI NON GRAVI PERCH': a voi non sia grave che. 20. (L) TENNI AMBO LE CHIAVI DEL CUOR l' aprivo al volere e al disvolere. SOAVI: dolcemente.

(SL) CHIAVI. Petr.: Del mio cor, donna, l'una e l'altra chiave Avete in mano. Par., XI: A cui, com' alla morte, La porta del piacer nessun disserra. SOAVI. Inf., XIX: Soavemente spose il carco. Ott.: Per la virtù... e massimamente per lo suo bello dittare... fu tanto eccellente consigliere appo lo imperadore Federigo, che per suo operamento e consiglio solo, quasi tutte le cose ch' erano per lo impero si governavano.

21. (L) DAL SEGRETO SUO QUASI OGNI UOM TOLSI: solo ebbi i suoi secreti. -LO SONNO E I POLSI: prima la pace, poi la vita.

(SL) POLSI. Dante, Rime: Che fa da' polsi l'anima partire.

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22. (L) LA MERETRICE invidia. CESARE imperaPUTTI: sfacciati.

tore.

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(SL) COMUNE. Æn., II: Trojæ et patriæ communis Erinnys.

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(F) MERETRICE. Sen., Phon.: Simul ista mundi conditor posuit Deus, Odium atque regnum. — PUTTI. Add. Aug. Conf., IV: Meretrices cupiditates..Conv.: La bocca meretrice di questi adulteri. Questo aiuta a spiegare lo strupo del VII dell' Inferno. L'invidia diabolica, cagione de' nostri mali, è stupro tentato contro Dio. MORTE. L'invidia, meretrice e morte comune, nel I dell' Inferno move dagli abissi la lupa (avarizia), la quale impedisce ed uccide. Accusarono Pier delle Vigne i cortigiani dell'avere tradito il secreto alla Chiesa di Roma. Ott. Per lo consiglio di costui l'imperadore ebbe sospetto Enrico suo primogenito, il quale elli avea fatto re della Magna, e temendo che non tradisse la corona, il mandò preso in Puglia, nel qual luogo il detto Enrico... alla sua vita impose fine, onde lo imperadore molto addolorò, siccome elli mostra in quella che comincia: Misericordia pii patris... E credesi che per questo trovasse cagione sopra il detto Piero, che elli medesimo a istanza del papa avesse fatta una lettera contro a quella che lo imperadore avea fatta alli principi cristiani...

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(SL) INFIAMNO. Mach., II, XIV, 11: Adversus Judam, inflammaverunt Demetrium. ANIMI. Dino: Aceese gli animi di tutti contra... · INFIAMMAR. L'accusarono oltracciò d'avarizia e d'ambizione: onde Federigo lo fece acciecare e chiudere in carcere, dove nel 1249 s'uccise dando del capo nel muro. Del resto, se vere non erano quelle accuse, era ben vero che Pietro avea condotto Federigo a infierire contro Enrico suo figlio, e carcerandolo condurlo al suicidio; onde il padre prestò facil credenza alle cortigiane calunnie. Di Piero son le lettere scritte in nome di Federigo; abbiamo suoi versi italiani, mediocri, citati da Dante; abbiamo un'invettiva contro il papa in rima latina. Era di Capua. Nè a lui è da imputare il libro: De tribus impostoribus. — Lieti. En., V: Lætum... honorem. TORNARO. In una canzone siciliana citata da Dante: Vostro orgogliare dunque e vostra altezza... tornino in bassezza. Vit. ss. Padri: Il pianto di Giuliana fu tornato in grande letizia.

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(SL) LEGNO. Giura per la nuova veste, come per la propria sua vita. Æn., IX: Per caput hoc juro. ONOR. Pure il Poeta lo caccia tra gl' increduli nelle fiamme. Federigo era degno d'onore come amico delle lettere, com' uomo di valore e di senno, e Ghibellino ardente; ma Dante doveva dannare l'empietà di lui, e le corrispondenze col nemico di tutta Europa, il Soldano. Cæsar amor legum, di lui gli uomini del suo tempo. E nel Convivio lo chiama l'ultimo imperatore de' Romani perchè tali non gli parevano nè Ridolfo, nè Adolfo, nè Alberto e Arrigo VII non era ancora. Lo loda poi come toico e cherico grande.

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(SL) Uom. Inf., I: Od ombra od uomo. LABE RAMENTE. Georg., 1: Tellus Omnia liberius, nullo po scente, ferebat. Novell., XIX: Della grande libertà e cor tesia del re giovane.

30. (L) NOCCHI: piante nodose. - SPIEGA: sviluppa (SL) SPIEGA. Nel senso del latino explicare. Georg. II: Frondes explicat.

(F) LEGA. Conv. II, 5: L'anima è legata e incar cerata per gli organi del... corpo. Lucan., VI: Eranime artus, invisaque claustra timentem Carceris antiqui, 31. (L) FORTE: fortemente.

(SL) BREVEMENTE. Delle proprie sventure s'inve sca a ragionare; del supplizio, breve. 32. (L) FEROCE in sè. SETTIMA FOCE, ch'è questa (SL) FEROCE Æn., VI: Lucemque perosi Projec animas. FOCE. En., VI: Faucibus Orei. - Fauces 4 verni. Ogni cerchio è come bocca che inghiotte e divora dirà nel XXXI dell' Inferno.

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33. (SL) BALESTRA. Nardi: La balestra era arme sata da' soldati meno apprezzati. GERNOGLIA. En III: Telorum seges, et jaculis increvit acutis. La spel mette di molti germogli. [ L'âme retombe dans un aut corps et y prend racine comme une plante dans la ter où elle a été semée. Plat., Phédon; Trad. di Cousin (F) CADE. Ezech., XXIX, 5: Sutla faccia della te ra cadrai: non sarai raccolta, nè raccattata; alle best della terra e ai volanti del cielo diediti a divorare. SCELTA. Gittaron la vita quasi a caso; a caso germ gliano nella pena.

34. (L) PASCENDO sè. FANNO DOLORE, E AL DOL FINESTRA straziano, e di li esce parole e sangue. (SL) SURGE. Georg., II: Sponte sua quæ se tollunt. fortia surgunt. VERMENA. ED., III: Cornea virgult SILVESTRA. En., III: Hic confixum ferrea texit Tri rum scges, et jaculis increvit acutis. — Finestra, Virgil di porta scassinata (Æn., II): Ingentem lato dedit a

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