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(SL) TINTA. Inf., XIV. Nel V1: Acqua tinta. - ALCUNA una.

36. (L) INTORNO al corpo. dalla-DIPINTA: macchiata.

ALLA:

(SL) DIPINTA. Inf., I. - Georg., III: Pictæque valueres. - XI: Pietis... armis. Ov. Met., IV: Pictis... frenis.

(F) CORDA. Significa la mortificazione con cui Dante sperò vincere la lussuria, secondo l' Evangelista Lara (XII, 35): Sieno i lombi vostri precinti. Som.: Il ento denota continenza. E significa la buona fede per cui sperò trarre a sè i Fiorentini, e ora spera patteggare con la lor frode, si che non gli possa far male. b. XI, 5: Erit justitia cingulum lumborum ejus: et fdes cinctorium renum ejus. Alla buona fede s' oppone la frode; della quale dice il Poeta (Inf., XI) che recide il vincolo d'amore, Di che la fede spezial si cria. Questo poi della corda è simbolo molteplice: onde Dante (Purg., VII), di Pietro d'Aragona: D'ogni valor portò cinta la corda Saggiunge a ciò, che Dante, come terziario dei Francescani, nel Giovedi Santo avrà forse avuto indosso quell' abito e quel cordone (Pelli, pag. 79). Altri per la corda intende la fortezza, contraria insieme e alla lussuria e alla frode. Jo., XXI, 18: Quand' eri più giovane cingevi te stesso e n'andavi dove volevi; ma quando invecchierai, stenderai le tue mani, e altri ti eingerà e condurrà dove tu non vuoi. — DIPINTA. Jer., MII, 5: Si mutare potest Ethiops pellem suam, pardus varietates suas; et vos poteritis benefacere cum didiceritis malum.

aut

37. (L) AGGROPPATA: che chi s'arrampica, s' aggrappi a' nodi.

38. (L) LUNGI DALLA SPONDA, perchè la non desse in

un masso.

(SL) LUNGI. Novell., LXI: Molto di lungi da Roma.

(F) DESTRO LATO. Sempre nel bene la mossa è a destra.

39.

E pur convien che novità risponda (Dicea fra me medesmo) al nuovo cenno, Che 'l maestro con l'occhio si seconda. 40. Ahi quanto cauti gli uomini esser denno Presso a color che non veggon pur l'opra, Ma per entro i pensier miran col senno! 41. Ei disse a me: · Tosto verrà di sopra Ciò ch' i' attendo, e che 'l tuo pensier sogna; Tosto convien ch'al tuo viso si scuopra. 42. Sempre a quel ver ch'ha faccia di menzogna, De' l'uom chiuder le labbra quant' e' puote, Però che senza colpa fa vergogna:

43. Ma qui tacer non posso; e, per le note
Di questa Commedia, lettor, ti giuro,
S'elle non sien di lunga grazia vôte,
44. Ch'i' vidi per quell'aer grosso e scuro
Venir notando una figura in suso,
Maravigliosa ad ogni cuor sicuro;
45. Si come torna colui che va giuso

Talora a solver áncora ch' aggrappa

O scoglio, o altro che nel mare è chiuso, 46. Che 'n su si stende, e da piè si rattrappa.

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Viso: sguardo.

41. (L) SOGNA: imagina in confuso. 42. (L) FACCIA aspetto.- FA VERGOGNA: fa dir cose strane; anco se vere, non è creduto.

(F) FACCIA. Bono Giamboni, traduttore del Tesoro di Brunetto e coetaneo di Dante: La veritade ha molte volte faccia di menzogna. Albertano, XXVIII: Spesse volle la verità ha faccia di bugia... Tal verità dei dire che ti sia creduta; chè altrimenti ti sarebbe riputata per bugia. Æn., II: Armorum facie (apparenza).

43. (L) S': cosi. NON SIEN DI LUNGA GRAZIA VOTE: piacciano a lungo.

(SL) VOTE. Inf., XX: Se Dio ti lasci, lettor, prender frullo Di tua lezione. 44. SICURO: ardito.

(SL) NOTANDO. Virgilio, di Dedalo: Enavit ad Arctos (En., VI). Ma qui nuotava nell'aria grossa come in grave acqua. · MARAVIGLIOSA. Virgilio, di Proteo (Georg., IV): Omnia transformat sese in miracula rerum, Ignemque horribilemque feram. Vita Nuova : Maravigliosamente tristo, Georg., I: Simulacra modis pallentia miris.

(F) SICURO. Giamboni. La sicurtà è non dubitar delle cose che sopravvengono. Som.: Securitas animi quies a timore. Casa: Animosi uomini e sicuri. 45. (L) Ch'AGGRAPPA: legata. —CHIUSO: ascoso.

(SL) CHIUSO. Æn., VI: Obscuris claudunt convallibus umbræ.

46. (L) 'N su colle braccia. RATTRAPPA raccoglie. (SL) RATTRAPPA. Vive in Toscana rattrappire. Vettori: Braccia rattrappate.

Comparazioni ed imagini tolte dall'idea di tempo e di numero.

Dante come proprietà e riposo della mente umana pone la facoltà del raffrontare (1), che in lui era potente che ben sapeva accoppiare Principio e fine con la mente fissa (2). Da una comparazione che in questo Canto rincontriamo concernente la misura del tempo, non sarà discaro trascorrere per alire somiglianti, qual più qual meno efficaci.

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Un ammen non saria potuto dirsi Tosto così, com'ei furo spariti (3). — Nè O si tosto mai, nè I si scrisse, Com'ei s'accese e arse, e cener tutto Convenne che cascando divenisse (4). Tu non avresti in tanto tratto e messo Nel fuoco il dito, in quanto io vidi 'l segno Che segue 'l Tauro e fui dentro da esso (5). In tanto in quanto un quadrel posa E vola e dalla noce si dischiava, Giunto mi vidi.... (6). — E si come saetta che nel segno Percuote pria che sia la corda queta, Cosi corremmo nel secondo regno (7). Quant'è dal punto che il Zenit i inlibra (il sole e la luna), In fin che l'uno e l'altro da quel cinto, Cangiando l'emisperio, si dilibra; Tanto, col volto di riso dipinto, Si tacque Beatrice (8).-E funne ricoperta E l'una e l'altra ruota, e 'l têmo, in tanto Che più tiene un sospir la bocca aperta (9). — Pria che passin mill'anni? ch'è più corto Spazio all'eterno, ch'un mover di ciglia Al cerchio che più tardi in cielo è torto (10). E qual è il trasmutare, in picciol varco Di tempo, in bianca donna quando 'l volto Suo si discarchi di vergogna il carco; Tal fu negli occhi miei (11). — Mostrava alcun de'peccatori il dosso, E nascondeva in men che non balena (12). E come in vetro, in ambra, od in cristallo Raggio risplende si che dal venire All'esser tutto non è intervallo ... (13). Che del fare e del chieder tra voi due Fia primo quel che tra gli altri è più tardo (14). — Non so... quant' io mi

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(1) Purg., XVI. — (2) Inf., XXIII. Purg., XVI: Nella sentenzia tua, che mi fa certo, Qui ed altrove, quello ov' io l'accoppio; rammenta l'evangelico della Madre di Gesù: conferens in corde suo. — ·(3) Inf., XVI. Par., XIV: Tanto mi parver subiti e accorti E l'uno e l'altro coro a dicer: Amme. (4) Inf., XXIV. (5) Par., XXII. - (6) Par, II. (7) Par., V. — (8) Par., XXIX. ·(9) Purg., XXXII. (10) Purg., XI. (11) Par., XVIII. (12) Inf., XXII. —(45) Par., XXIX. —(14) Par., XVII. Il modo francese mi tarda per esprimere desiderio vivo si che ogni intervallo di tempo par lungo e tardo, che ora dicesi: mi pare mill'anni, era della lingua antica ed è in Dante (Inf., IX, XXI) con bella varietà : Par., XI: Corse, e correndo gli parv'esser tardo. Purg.,

-

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viva: Ma già non fia 'l tornar mio tanto tosto, Ch'io non sia col voler prima alla riva (1). · Tu sentirai di qua da picciol tempo Di quel che Prato, non ch'altri, l'agogna: E se già fosse, non saria per tempo (2). Ma del salire Non m'accors' io, se non com' uom s'accorge, Anzi'l primo pensier, del suo venire (3). - Nello speglio In che, prima che pensi, il pensier pandi (4). Si subitamente Che l'atto suo per tempo non si sporge (5).

In queste imagini sentiamo misurate le minime quantità del tempo, e denotate le immensurabili, e tutti i limiti del tempo da ultimo sorvolati. Del soggiorno d'Adamo nel paradiso terrestre dice che fu: Dalla prim'ora a quella ch'è seconda, Come 'l sol muta quadra, all'ora sesta (6). Dell'intervallo dalla creazione degli angeli alla caduta dice: Ne giugneriesi, numerando, al venti Si tosto come degli Angeli parte Turbò'l suggetto de' vostri elementi (7). Dall'idea del tempo passando a quella del numero, ch'è più generale, anche qui troviamo ricchezza di modi e d'ima gini. D'un dubbio: Prima era scempio, e ora è fatto doppio (8); dello splendore d'un celeste: Sopra lo qual doppio lume s'addua (9); del raggio della grazia ne' beati: Moltiplicato in te tanto risplende (10); della virtù dell'intelligenza divina operante negli astri:.... Sua bonlate Moltipli cata per le stelle spiega, Girando se sovra sua unitate (11); della natura degli angeli : ..... Si oltre s'ingrada In numero, che mai non fu loquela Nè concetto mortal che tanto vada (12).

XVI: E par lor tardo Che Dio a miglior vita li ripogna. Inf., II: Tanto m'aggrada 'l tuo comandamento, Che l'ubbidir, se già fosse, m' è tardi.

(4) Purg., XXIV. A significar brevità di tempo hai non solo senza indugio (Inf., XXVII), ma senza dimoro (Inf., XXII), e senza cunta (Purg., XXXI). (2) Inf., XXVI.

(3) Par., X. (4) Par., XV. (5) Par., X. (6) Par., XXVI. — (7) Par., XXIX. (8) Purg., XVI. Senso più spirituale ha semplice. Dell' essenza di Dio, semplice lume; della sua visione, semplice sembiante (Par., XXXIII). Par., XIII: Il suo raggiare aduna, Quasi specchiato, in nuove sussistenze, Eternalmente rimanendosi una. Par., XXIX: Tanti Speculi fatti s'ha, in che si spezza, Uno manendo in sè come davanti. (9) Par., VII. (10) Par., X. II. (11) Par., (12) Par., XXIX. Anco in Paradiso il Poeta però si rammenta che commedia è la sua, e dice: Non ha Firenze tanti Lapi e Bindi, Quante si fatte favole per anno In pergamo si gridan quinci e quindi (Par., XXIX). E rammenta l'altro: Che tante lingue non son ora ap

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Il voto non si può commutare, secondo Dante, se la nuova offerta non sia maggiore di quella prima: se questa in quella, Come 'l quattro nel sei, non è raccolta (1). Domenico non domanda al papa di poter dispensare o due o tre per sei (2), cioè commutare il maggior peso col minore. Da Dio raggia la vita del pensiero altrui nell'anima contemplante, come raggia Dell'un, se si conosce, il cinque e'l sei (3). Nelle faccende civili, massime nel di del pericolo, taglia Più e meglio una che le cinque spade (4). Romeo, il povero pellegrino, chiesto di rendere conto all'ingrato re, gli assegnò selle e cinque per diece (5). E sette volte sta per grande numero indeterminato (6), così come cento è come mille. Ercole al ladro Gliene die' cento, e non senti le diece (7). Dante a'simoniaci: E che altro è da voi all'idolatre, Se non ch'egli uno, e voi n'orate cento? (8). -Chi s'arresta un po' sotto la pioggia del fuoco, per pena, giace poi cent'anni senza poter con le mani scuotere da se gli ardori; i diavoli addentano i barattieri con più di cento raffi; al sentire i falsatori che un vivo viaggiava tra essi, Più fur di cento che s'arrestarono a riguardarlo; se un falsatore in cent' anni potesse fare un'oncia di strada, si metterebbe in via per misurare le undici miglia della sua bolgia, e raggiungere il reo signore che lo indusse al peccato; il falcone senza preda discende muovendosi per cento (9) ruote... disdegnoso e fello (10); più di cento spiriti seggono nella barchetta coll'angelo ; sopra il divino cocchio Si levâr cento.... Mi

prese A dicer sipa tra Savena e 'l Reno (Inf., XVIII ). Sinone al falso monetiere: Son qui per un fullo; E tu per più ch'alcun altro dimonio (Inf., XXX). Di gente ch`i'non aerei mai creduto Che Morte tanta n'avesse disfatta (Inf., III). Se s'adunasse ancor tutta la gente Che... Con quella... El'altra... E qual forato suo membro, e qual mozzo Mostrasse; d'agguagliar sarebbe nulla Il modo della wona bolgia sozzo... (Inf., XXVIII). Qual dolor fora se degli spedali Di Valdichiana.... E di Maremma e di Sardigna í mali Fossero in una fossa tutti insembre ; Tal era quivi.... (Inf., XXIX). Maremma non cred' io che tante n'abbia Quante bisce egli avea (Inf., XXV ). Quante il villan.... Vede lucciole.... Di tante fiamme latta risplendea L'ottava bolgia (Inf., XXVI). Tanti splendor' ch' i' pensai ch'ogni lume Che par nel ciel, quindi fosse diffuso (Par., XXI).. Un ben distributo I pri posseditor faccia più ricchi Di sè, che se da pochi è posseduto (Purg., XV).

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(1) Par., V. (2) Par., XII. - (3) Par., XV. (4) Par.. XVI. (5) Par., VI. - (6) Inf., VIII:. più di sette Volte m'hai sicurtà renduta. Inf., XXII: Per un, ch' io so, ne farò venir selle. Le sette teste della bestia nel XIX dell' Inferno riappariscono nel XXXII del Purgatorio. Nel IV dell' Inferno il castello de' savii e giusti pagani è Selte volte cerchiato d'alte mura, e per sette porte ci si entra. —(7) Inf., XXV. - Alle prime percosse! E giù nessuno Le seconde aspettava nè le terze (Inf., XVIII ). (8) Inf., XIX. (9) Purg.,

XXIX: Non eran cento tra' suoi passi e mici Quando le ripe igualmente dièr volta. - (10) Inf., XVII.

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nistri e messaggier di vila eterna (1). Nel pianeta de' contemplanti cento sperule... s'abbellivan con mutüi rai (2). Più di mille ombre Virgilio mostra e nomina a Dante tra' sensuali; più di mille anime distrutte fuggono per la gora dinanzi all' angelo che vien ad aprire la porta chiusa a' poeti da' diavoli, i quali erano più di mille a impedirne il passo. Farinata giace con increduli più di mille: a mille a mille vanno i Centauri saettando le anime lungo il fosso di sangue.

Dante a Virgilio: Ten priego, E ripriego, che "l priego vaglia mille (3). Firenze è dagli amici perfidi fatta selva tale, che di qui a mill’anní Nello stato primaio non rinselva (4). Se Dante stesse nella fiamma purgatrice ben mill'anni, Non lo potrebbe far, d'un capel, calvo (5). La volontà ferma è come fuoco che si ridirizza sempre se mille volte lo torca violenza; il traditore non vuole dire il suo nome a Dante se questi mille fiate gli caschi addosso a strappargli i capelli; l'uomo assorto in un forte pensiero non s'accorge se d'intorno gli suonino mille trombe. Mille disiri più che fiamma caldi (6) stringono gli occhi di Dante agli occhi di Beatrice. In una valle ove soggiornano pochi monaci, dovria per mille esser ricelto (7); nella valle onde Scipione ebbe gloria, Anteo recava mille lion per preda (8); nella valle ove attendono i principi negligenti è soavità di mille odori (9). Ulisse a' compagni suoi dice: Per cento milia Perigli siete giunti all' occidente (10). Della divina fiamma di Virgilio sono allumali più di mille (11). L'uomo superbo vuol giudicar da lungi mille miglia Con la veduta corta d'una spanna (12). Il lume di Beatrice splende più di mille miglia; più di mille luci appariscono a Dante nel pianeta di Giove; nel trionfo di Maria vede migliaia di lucerne, più di mille splendori (13) accesi da un lume altissimo di cui non vede il principio; più di mille foglie ha la rosa di Paradiso. Delle sostanze angeliche 'l numero.... Più che 'l doppiar degli scacchi s'immilla (14); ma nelle loro migliaia contate da Daniele, Determinato numero si cela (15). A cantare le bellezze di Paradiso se tutte le lingue de' poeti suonassero al millesmo del vero Non si verria (16); al miracolo del Cristianesimo diffuso, gli altri miracoli non sono il millesimo. E perchè la commedia s'intrecci pur sempre alla Cantica, nel libro della giustizia la bontà d'un re zoppo è segnata da I come uno, e il contrario da un' M che significa mille. E d'un altro re: E a dare ad intender quanto è poco, La sua

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scrittura fien lettere mozze (4), che si contrappone alla volontà onnipossente A cui non puole il fin mai esser mozzo (2).

Nel poema Al quale ha posto mano e cielo e terra (3) dovevano trovar luogo anco le lettere dell'alfabeto lasse e nude, e vestire poetica veste. Ne' principii dell'umano linguaggio El s'appellava in terra il Sommo Bene (4). L'alfa e l'omega delle sacre carte vale in Dante principio ed ultima perfezione; e il Satan aleppe non è che l'alfa come titolo di principato e una versione di sua maestà sotterranea. L'Angelo descrive al Poeta in fronte sette P con la punta della spada, e altri angeli, col ventilare dell'ali, debbono cancellargliele su su a uno a uno; e Virgilio, dopo cancellato il primo e rimastegli pur sei le lettere, gli dice: Quando i P, che son rimasi Ancor nel volto tuo, presso che stinti, Saranno, come l'un, del tutto rasi (5), allora salirai la montagna leggiero come nave che scende a seconda. Il nome di Beatrice è compitato per B e per ice da colui che sovente paragona sè stesso a fanciullo. Nel viso umano compitando i due occhi col naso e le occhiaie, egli legge omo; e ne' dimagrati, a'quali le occhiaie più fonde e più nere e più livide, vede risaltare l' M. Gli spiriti amanti giustizia dispongono sé in forma da rappresentare le lettere dell' alfabeto e le parole Diligite justitiam ....... qui judicalis terram. E si fanno or D, or I, or L in sue figure (6); poi si riposano nell'ultima lettera e s'ingigliano all' emme, che non si può veramente, non che lettera d'alfabeto, ma in più fiorito modo fregiare manto di re.

1 nomi de' numeri non paiono prosaici a lui che, picchiando forte, fa balzare d'ogni selce scintilla, e zampilli da ogni terreno scavando profondo. Ne gl'ingegni veramente poetici paventano d'apparire prosaici; appunto come la schietta innocenza ignora il falso pudore. Dante nomina dunque le cose col loro nome proprio, e intende quasi sempre d'essere inteso quanto comporta l'arduità delle cose che dice. Egli scende nel primo cerchio che l'abisso cigne (7). Poi dal cerchio primaio (8) giù nel secondo; poi io sono al terzo cerchio, e così via via. Di nuova pena mi convien

(1) Par XIX. (2) Inf., IX. (3) Par., XXV. (4) Par., XXVI. (5) Purg., XII. (6) Par., XVIII. (7) Inf., IV. (8) Primato ha più volte per primo e primiero, e sezzaio per ultimo, e per finalmente ha'l dassezzo (Inf., VII), e ultimamente (Purg., XX); nè rifugge dal dire penultimo (Par., XXVIII); e fin questo modo di retro, per dire il secondo de' modi indicati (Inf. XI). Sezzaio da sequior - sequor - che è anche l'origine di secondo: onde secondare più volte nel senso di seguitare (Purg., XVI; Par., I); e iterare (Purg., VII), e reiterare (Purg., XIII); ha poi postremo e stremo e novissimo (Par., XVI; Purg., XXVI e XXX).

far versi, E dar materia al ventesimo Canto (4). Ma perché piene son tutte le carte Ordite a questa Cantica seconda (2). Virgilio gli dice dapprima Io sarò primo e tu sarai secondo (3); poi quando sono al Centauro: Questi li sia or primo ed io secondo (4). E nell'uscire d'inferno: Salimmo su, ei primo, ed io secondo (5). E quasi sempre numerati ad uno ad uno i cerchi e le bolge (6). Ma chi volesse abbondanza di numeri vada nel Paradiso, e senta come intorno a quel punto, da cui dipende il cielo e tutta la natura, si girino le intelligenze angeliche in forma di nove cerchi, il primo rapidissimo: E questo era d'un altro circuncinto, E quel dal terzo, e'l terzo poi dal quarto, Dal quinto 'l quarto, e poi dal sesto il quinto. Sopra seguiva il settimo... Così l'ottavo e 'l nono: e ciascheduno Più tardo si movea,secondo ch'era, In numero, distante più dall'uno (7).

Quest'uno, che è Dio, altrove dicesi semplicemente quel che è primo, e la prima virtù, la prima volontà, la prima ugualità, il primo vero; ed altrove: Quell' Uno e Due e Tre che sempre vive, E regna sempre in Tre e Due ed Uno (8). Adunare a lui vale unificare; e della trinità: Quella viva Luce che si mea Dal suo Lucente, che non si disuna Da lui ne dall'Amor che 'n lor s'intrea (9); intrearsi e internarsi gli è non già farsi triplo, ma essere trino. Della trinità, parecchie volte: 0 trina Luce che in unica Stella Scintillando. Tre giri Di tre colori e d'una contenenza. Tu trino ed uno. Una sostanza in tre Persone. Tre Persone in divina natura, Ed in una sustanzia essa e l'umana (10). —E credo in tre Persone eterne; e queste Credo una essenza si una e si trina, Che soffera congiunto sunt et este (11). Abbiam visto adduare, che non è per l'appunto doppiare, usato da lui in altri sensi (12). Incinquarsi (13) vale moltiplicarsi per cinque; e immillarsi, per mille.

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Di corpo trasformato in altro corpo si che la trasformazione non è ancora compiuta, egli dice: Vedi che già non se'ne duo ne uno.... Due e nessun l'immagine perversa Parea (14). D'un dan

(4) Inf., XX. - (2) Purg., XXXIII. (3) Inf., IV. (4) Inf., XII. (5) Inf., XXXIV. — (6) Inf., XXIX: Nell'ultima bolgia delle diece. - (7) Par., XXVIII (8) Par., XIV. (9) Par., XIII. — (40) Par., XIII Par., X: Guardando nel suo Figlio con l'Amore Che l'uno e l'altro eternalmente spira, Lo primo ed ineffabile Valore. Dell'alto Padre, che sempre la sazia Mostrando come spira e come figlia. Inf., III: La divina Potestate, La somma Sapienza e il primo Amore. (11) Par., XXIV. De'giri angelici ternaro (Par., XXVIID; e de' cerchi del Purgatorio, tripartito (Par., XVII); e nell' XI dell' Inferno: tre cerchietti. - (12) Inf., XIV: Doppiar lo dolore. (15) Par., IX: Questo centesim'anno ancor s'incinqua. Così nel IV dell' Inferno, sesta compagnia vale di sci persone. - (14) Inf., XXV.

nato che porta in mano la testa propria: Ed eran due in uno, e uno in due (1).

A significare l'inesperienza del male: Nuovo augelletto due o tre aspetta (2); e'a dipingere il movere di gente mansueta: Come le pecorelle... a una (3) a due a tre. Il noto modo virgiliano è reso là in quelli : L'accoglienze oneste e liete Furo ilerate tre e quattro volte (4). De' sensi simbolici dati nel poema al numero tre non è qui luogo a dire. Ma seguitando de' semplici numeri : Tre ninse, le virtù teologali, danzano dall' una parte del carro mistico; quattro dall'altra, le cardinali; il Grifone tende le ale Tra la mezzana e le tre e tre liste (5) che fanno i candelabri seguando un solco di luce; i quattro animali simbolici sono pennuti di sei ale; Lucifero piange con sei occhi; dieci sono le corna e sette le teste della bestia mostruosa. Una diecina sono i diavoli di Malebranche (6). Niobe è impietrita tra sette e sette suoi figliuoli spenti (7). Le lettere formanti la scritta nel pianeta di Giove com' oro in argento sono cinque volie sette vocali e consonanti (8). La bolgia de' falsatori gira undici miglia, E men d'un mezzo di traverso non ci ha (9); la bolgia di sopra volge miglia ventidue (10). Ventiquattro i seniori coronati sul monte; ventiquattro le anime sante che gli appariscono dentro al sole. Trenta gran palmi e cinqu'alle vede il Poeta dal collo al ventre della grande corporatura de' giganti legati; per ogni tempo che l'anima in vita ha indugiato il pentirsi ne starà in Purgatorio trenta. Cinquanta gradi è salito il sole sull'orizzonte del Purgatorio e Dante non s'era

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(1) Inf., XXVIII. (2) Inteso volte (Purg., XXXI); * Inf., XXVIII: Quel traditor che vede pur con l'uno (inteso occhio), come nel dialogo di Corfù co' quattro vale a quattro piedi; e in una, ad un tratto; come il dantesco ad una vale ad una voce (Purg., IV). —— (3) A uno ad uno più volte (Purg., XXIV; Par., XXXIII ). Purg., XXVI: Baciarsi una con una. Inf., II: Ed io sol uno. Inf., XI: Non pure in una sola parte, per denotare più parti. Ancor più spesso l'uno e l'altro, che parrebbe più prosaico (Par., XIV, XXIX, XXX). Abbiamo ambo, ambe, entrambe, entrambi, intrambe, entrambo, ambodue, amendue, amenduo, amendui (Inf., XXXIII, XIX, XXI, 1); tree e trei (Par., XXVIII ; Inf., XVI); tutti e tre, tulli e cinque, tutte e sette (Purg., XXVII, IX, XXXIII).— (4) Purg., VII.—(5) Purg., XXIX. — (6) Dieci passi in più d'un luogo. I moti del cielo misuransi dal primo mobile, Si come diece da mezzo e da quinto (Par., XXVII). (7) Purg., XII. — (8) Par., XVIII. — (9) Inf., XXX. — - (10) Mille passi caminano i due Poeti e sono lontani tuttavia dalla schiera mansueta, dov'è il mansuetissimo re Manfredi (Purg., III). Nel giro dove si purga il vizio della gola Ben mille passi e più ci portâr oltre (Purg, XXIV). Nel giro dell'invidia: Quanto di qua per un migliaio si conta, Tanto di là eravam noi già iti (Purg., XIII). In quel dell' ira Dante viene più di mezza lega con gli occhi chiusi e barcollando come uomo pien di sonno e di vino. Forse semila miglia di lontano Ci ferre l'ora sesta (Par., XXX).

accorto, tutto ne'suoi pensieri. Cinquanta mesi non saranno passati, e Dante saprà quanto pesa l'arte del ritornare dall'esilio. Al ritorno l'aiuterà un cinquecento dieci e cinque. Stazio sta nell'esilio del Purgatorio più che il quarto centesimo, cioè più di quattro cent' anni a purgarsi della tiepidezza al vero; e migliaia di lunari per la prodigalità (1). Più di cento e cent'anni sta l'aquila trasportata da Costantino nell' estremo d'Europa; cinquecent'anni e più fece dimora in Alba. La Fenice muore e poi rinasce Quando al cinquecentesimo anno appressa (2). Dalla nascita di Cristo a quella di Cacciaguida girò cinquecento ottanta volte il pianeta di Marte. Dalla morte di Cristo a Francesco la Povertà se ne stette mille e cent'anni e più dispetta e scura (3). Dalla morte di Cristo alla visione di Dante corsero anni mille dugento con sessanta sei (4). Alla sua visione di Dio un punto è più lontana cosa a richiamare alla mente che i venticinque secoli corsi dagli Argonauti. Novecento trent'anni visse Adamo; cinquemila secento e due aspetto il Redentore. Queste non diamo tutte come bellezze, ma neppur come macchie e c'insegnano come l'edifizio del poema e nell'intero e nelle menome parti sia formato, come le grandi opere della Natura, in numero e peso e misura.

Notate le minime misure del tempo, giova notare altresi talune delle locuzioni con le quali il Poeta significa l'eternità. Della breve immortalità del nome parlando, egli dice Virgilio pregio eterno di Mantova, ed è riconoscente a Brunetto che gl'insegnasse come l'uom s'elerna, e sente che la vita sua s'infutura per fama in più largo spazio di tempo che non possano essere al mondo punite le perfidie de' suoi nemici. Ma poi del secolo veramente immortale parlando, dimostra il perchè la creatura ragionevole non abbia fine, e chiama l'anima con sostantivo degno assolutamente l'eterno (5). L'infernale egli chiama luogo eterno, eterna prigione, elerne cerchie, aura eterna; eterno pianto, eterno dolore, eterni danni;

(1) A dimostrare la misura dei mesi egli ha modi varii: Inf., XXXIII: Breve pertugio.... m' avea mostrato.... più lune già. Par., XXVII: Divora... Qualunque cibo per qualunque luna. Purg., XXIX: Luna... nel suo mezzo mese. Purg., XVI: Partissi ancor lo tempo per calendi. Inf., X: Cinquanta volte fia raccesa La faccia della luna.... Inf., XXVI: Cinque volte racceso e tante casso Lo lume era di sotto dalla luna. Par., XXVII: Ma prima che gennaio tutto si sverni, Per la centesma ch'è laggiù negletta. Purg., XXIV: L'aura di maggio muovesi e olezza. Inf., XXIX: De li spedali Di Valdichiana tra 'I luglio e 'l settembre. Purg., V: Nè, Sol calando, nuvole d'agosto. - VI: A mezzo novembre Non giunge quel che tu d'ottobre fili. (2) Inf., XXIV. — (3) Par., XI. —- (4) Inf., XXI. (5) Purg., V: Tu te ne porti di costui l'eterno. Il Petrarca, del corpo: Il mio mortal.

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