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I simoniaci.

Da coloro i quali per danaro mercanteggiano l'onor delle donne e per lucro lusingano, si passa a coloro che per danaro vendono le cose di Dio che di bontà devono essere spose, e fanno strazio della sposa di Cristo, la Chiesa, e nel nome di lei puttaneggiano co' potenti. Questo passaggio è di per sè solo una satira amara.

Simonia, dice Tommaso, è volontà deliberata di comprare o vendere cosa spirituale od annessa a spirituale (4). Il nome è preso da Simone mago del quale si legge negli Atti (2) che offerse agli Apostoli danaro per compera di potere spirituale, tive, che a quanti egli imponesse le mani ricevessero lo Spirito Santo. · Per pecunia, nota Aristotile (3) (citato nella Somma), intendesi tutto quello che il prezzo se ne può con pecunia estimare. Siccome l'anima vive di sua propria vita,

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corpo vive dell'unione con l'anima, così certi oggetti sono spirituali in sè stessi, come i sacramenti e altre cose tali; certi altri diconsi spirifuali in ciò, che sono a tali cose congiunti (4). Indebita è la materia della vendita e compera spirituale per tre ragioni. Primieramente, perchè cosa spirituale non può con alcun prezzo terreno essere compensata; siccome della Sapienza è detto (5), ch'ell' è più cara di tutte ricchezze, e nessuna delle cose desiderabili può a lei compararsi. -In secondo luogo, perchè non può vendere chi non è della cosa il padrone: or il Prelato della Chiesa non è padrone delle cose spirituali, ma dispensatore, secondo quel detto: Si stimi poi l'uomo come ministro di Cristo e dispensatore dei misteri di Dio (6).—In terzo luogo, perchè le protengono da volontà di Dio gratuila; onde il Signore dice: Gratuito riceveste, gratuilo date (7). Chi rende le cose spirituali imita Jesi discepolo d'Elia che ricevette danaro dal leproso mondato (8). Nessuno, dice Gregorio VII, de' fedeli ignora essere eresia simoniaca comprare o vendere l'altare o le decime o lo Spirito Santo (9). I vizii, segue la Somma (10), apposti alla religione sono quasi una protesla d'infedeltà, sebbene talvolta l'incredulità non sia nella mente. E però la simonia è detta eresia, perché il mostrar di credere vendibile il dono dello Spirito Santo è eresia se non di dottrina, di fatto. I Canoni ivi stesso citati: È più

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tollerabile l'eresia di Macedonio, e di que' che sono con lui, impugnatori dello Spirito Santo, che quella de' simoniaci. Perchè quelli nel loro delirio confessano lo Spirito Santo creatura e servo di Dio Padre e Figliuolo, ma questi fanno lo Spirito Santo loro servo. Perchè ciascun padrone vende, se vuole, quel ch'ha, o servo o altro ch'egli possegga.

L'adulto, così Tommaso con sentenza che pare arditissima, ma è conseguenza diretta delle premesse, l'adulto dal quale il prete chiedesse il prezzo del battesimo, e se no, nol volesse battezzare, foss'anco in punto di morte, dovrebbe morire senza baltesimo, anzichè dare prezzo, che il suo desiderio basterebbe. Di qui si vede quanto meno necessario dovesse a tal maestro apparire che per l'ottenimento di beni un po' men preziosi del battesimo, facessersi negoziazioni simili a mercimonio.

Col nome (prosiegue) di compra e vendita intendesi ogni contratto non gratuito; onde nè la permutazione delle prebende o de' beneficii ecclesiastici può farsi d'autorità delle parti, senza pericolo di simonia; e neppure transazioni, siccome il Jus Canonico stabilisce. Ma può il prelato di suo uffizio tali permutazioni fare per causa necessaria od utile. Urbano II (1): Chi da o acquista cose ecclesiastiche non con quel fine che sono istituite, ma per mezzo di lingua o d'ossequio indebito o di danaro, è simoniaco. Se il chierico, sentenzia la Somma, servi al prelato a utilità de' consanguinei di lui o del costui patrimonio, o a cose simili, è simoniaco. Chi per mezzo d'un presente consegue cosa spirituale, non la può ritenere lecitamente; ch'anzi, i venditori di cose spirituali e anco i mediatori loro, punisconsi: se chierici, d'infamia e deposizione; se laici, di scomunica.

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Ricevere però qualche cosa a sostentamento di quelli che ministrano i Sacramenti di Cristo secondo l'ordine della Chiesa e la consuetudine approvata, è cosa lecita, purchè non si prenda come prezzo a mercede, ma come stipendio a necessità. Senonchè: Anche dove la consuetudine consente il pagare certo prezzo non per le cose sacre, ma per la necessità del sacerdote, dee, e questo e il fedele, non solamente non ci congiungere l'intenzione del comprare o del vendere, ma astenersi anche dalle apparenze d'umana cupidità.

(1) Ep. XVII ad Lucium.

In questo Canto il Poeta non nomina che tre papi: dacchè, secondo Tommaso, anco il papa può incorrere in vizio di simonia, come qualunque altro siasi uomo, che il peccato è tanto più grave quanto la persona tien luogo maggiore. Perchè sebbene le cose della Chiesa sieno a lui affidate siccome dispensatore principale; non però sono come a padrone; onde se egli ricevesse per alcuna cosa spirituale, danaro dalle rendite d'alcuna chiesa, non andrebbe senza vizio di simonia; e similmente potrebbe ancora commettere simonie ricevendo danari da' laici, non da' beni di Chiesa. In una canzone attribuita all'Allighieri, di Firenze è detto che la divorano Capaneo e Crasso, e Aglauro e Simone mago, e Sinone e Maometto, cioèla simonia tra gli altri peccati. La simonia di Bonifazio, l'amico allora di Firenze, confessa il Villani guelfo. E mi sia lecito qui notare che sotto gli auspicii di Bonifazio fu cominciata in Firenze la chiesa di Santa Maria del Fiore, degno monumento d'un popolo grande; e Bonifazio stesso diede il primo vescovo a Sebenico mia patria, ove sorge un tempio che in qualsiasi città del mondo sarebbe notabile e singolare.

Dante dopo fatte le mura di Dite vermiglie dal fuoco eterno (1), qui fa lo scoglio forato, e ne' fori i dannati cui succia la fiamma. Accese sono ad essi le piante per assomigliare i simoniaci a coloro che peccarono contro Dio e agli usurai.

Stanno capovolti a indizio della perversione degli animi loro, volti alla terra; e l'estremità sola, la sola apparenza, volgesi al cielo. Così nel Purgatorio gli avari giacciono bocconi, e un papa tra quelli. Così nell'Inferno gli avari vanno carpone; e gli usurai stanno a terra raccolti; e questi fitti nel sasso a cercar quasi l'oro che nei monti si chiude. L'idea de' pie' rossi sarà forse venuta al Poeta dal color delle scarpe papali. Il confitto che parla a Dante è paragonato al perfido assassino, che è colui, come spiega l'Ottimo, che per pecunia uccide l'uomo. Ben paragona chi uccide prezzolato a chi prezzolato consacra. I fori rappresentano le borse, a' simoniaci care: e cosi gli usurai pascon l'occhio della tasca che portano appesa, con tormento minore, perchè meno rei.

(1) Purg., VIII.

In una visione infernale narrata da Gregorio VII, gli usurpatori dei beni della Chiesa di Metz stanno schierati giù giù lungo una scala, e quando un nuovo ne capita, il precedente scende un grado più sotto imagine simile a quella di Dante che fa l'un papa cacciare l'altro più addentro nel foro infuocato; se non che qui più squisito il tormento, perchè capovolti, e perché la pietra li stringe da tutti i lati, e concentra e ripercuote gli ardori; e perché l'un dannato, soprapponendosi all' altro lo arde egli stesso col tocco, col peso lo aggrava: quasi a rappresentare come sui peccati precedenti si facciano soma i seguenti, che da loro si generano per l'esempio. Il Poeta trovava per tutto il terreno da se calcato gli elementi del proprio lavoro; ma egli li raccoglieva sparsi, li condensava dissipati, li formava con l'arte sua creatrice in viva figura. In tutto il Canto spirano il dispetto, lo scherno; abbondano le allusioni bibliche per combattere gli avversarii con le loro armi proprie. Nella Monarchia cita quel di Matteo (1): Non vogliate possedere nè oro nè argento ne moneta nelle cinture vostre. E prosiegue: Etsi per Lucam habemus relaxationem præcepti quantum ad quædam, ad possessionem lamen auri et argenti licentiatam ecclesiam, post prohibitionem illam, inveniri non potui. Poterat imperium in patrocinium ecclesiæ patrimonium et alia deputare: immoto semper superiori dominio: poterat et vicarius Dei, non tanquam possessor, sed tanquam fructuum pro ecclesiæ Chrysti pauperibus dispensator; quod Apostolos fecisse non ignoratur.

Se non che le parole dure dell'esule sventurato sono, in modo degno degli altri spiriti, temperati dal verso. La riverenza delle somme chiavi, che divide lui dalla greggia de' declamatori scabbiosi e rabbiosi, e che consuona al detto di Leone Magno: La dignità anco in erede indegno non vien consuona con le affettuose parole che leggonsi nella Monarchia: Appoggiato a quella riverenza che pio figliuolo deve a padre; pio figliuolo a madre; pio verso Cristo, pio verso la Chiesa, pio verso il pastore, pio verso tutti che la religione cristiana professano.

meno,

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CANTO XX.

Nella quarta gli auguri, i sortilegi, i venefici, gl'indovini. Hanno il collo e la testa volli per forza dalla parte della schiena, onde camminano a ritroso, e guardano dietro a sè, perchè vollero veder troppo davante: rovesciamento non senza continuo dolore. Altrimenti, troppo leggera sarebbe

la pena.

L'erudizione qui tiene il principal luogo: la poesia qua e là, come luce da nuvole acquose, lampeggia. Notisi l'evidenza e la semplicità dello stile.

Nota le terzine 3, 8, 10, 12, 16, 17, 18, 43.

1.

Di

nuova pena mi convien far versi, E dar materia al ventesimo Canto Della prima Canzon, ch'è de'sommersi.

2. I' era già disposto tutto quanto

A riguardar nello scoverto fondo, Che si bagnava d'angoscioso pianto. 3. E vidi gente per lo vallon tondo

Venir, tacendo e lagrimando, al passo
Che fanno le letane in questo mondo.

. Come 'l viso mi scese in lor più basso, Mirabilmente apparve esser travolto Ciascun tra 'l mento e 'l principio del casso. 5. Ché dalle reni era tornato 'l volto; E indietro venir li convenia Perchè veder dinanzi era lor tolto.

6. Forse per forza già di parlasia

Si travolse cosi alcun del tutto;
Ma io nol vidi, nè credo che sia.
7. Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto
Di tua lezione, or pensa per te stesso,
Com'i' potea tener lo viso asciutto
8. Quando la nostra immagine da presso
Vidi si torta, che 'l pianto degli occhi
Le natiche bagnava per lo fesso.

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(F) VIVE. Inf., XXXIII: E cortesia fu lui esser villano. Par., IV: Per non perder pietà si fe' spietato. Cic., Cat. Quæ potest esse in tanti sceleris immanitate punienda crudelitas?... Utrum is clemens ac misericors, an inhumanissimus et crudelissimus esse videatur ? mihi vero importunus ac ferreus qui non dolore ac cruciatu nocentis suum dolorem cruciatumque lenierit. Girol., Ep. V: Summum pietatis genus est in hac re esse crudelem. XXIII: Grandis in suos pietas, impietas in Deum est... Ma della giustizia umana parlando, la sentenza risica di divenire spietata. Eccl., XII, 15: Quis miserebitur incantatori a serpente percusso? L' Ottimo accenna a simil passo di Giobbe. GIUDICIO. Tertul., Mart. La giustizia di Dio anch'essa è bontà. Som.: Dio vuole non il male, ma il bene a cui qualche male è congiunto; così volendo la giustizia vuole la pena. PASSION. Som. La passione della misericordia sorge dalle afflizioni altrui. Altrove: I beati non compatiscono alle pene de' dannati. Distingue la misericordia di passione, che è quasi di istinto, e quella di elezione, che è ragionevole.

11. (L) Cur: chi. Ru: ruini.

(SL) TEBAN. Anfiarao, uno de' sette ch' assediarono Tebe (un altro ne rincontra nel XIV), era indovino. TERRA. Stat., VII: Ecce alte præceps humus ore profundo Dissilit. Rui. Par., XXX, t. 28: Rua. Stazio

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(SL) LASCI. I nemici gli rinfacciavano con ischerno la sua renitenza del venire alla guerra. E' non voleva. La moglie lo tradì. Rammenta il VII dell' Inferno: Perché tieni? E perchè burli?

13. (L) HA FATTO PETTO DELLE SPALLE: ha il mento verso la schiena.

(F) DIRIETRO. Mich., III, 6: La notte avrete per visione, e per divinazione le tenebre. Anche in un pagano e studiato da Dante, i falsi vaticinii sono dannati. Lucan., IX: Sortilegis egeant dubii, semperque futuris Casibus ancipites.

14. (L) MEMBRA viso, seno, cute, pelo.

(SL) TIRESIA. Stat. Theb., e Ov. Met., III. - DI. Semint. Di uomo fatto femmina. — MEMBRA. Ov. Met., III: Nam duo magnorum viridi coëuntia silva Corpora serpentum baculi violaverat ietu; Deque viro factus (mirabile!) fæmina, septem Egerat autumnos... Percussis anguibus isdem Forma prior rediit.

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(SL) ARONTA, come poscia Calcanti. Luc. Phars., I: Tuscos... vates; quorum qui maximus ævo Aruns incoluit desertæ monia Lunæ... — RONCA Inf., XXVI: Dove vendemmia ed ara. - Roncáde; una terra nel Veneto, come dire luogo coltivato. Roncare per runcare dicevasi in Italia fin dal 752 (Murat., Mon. Nonant. Fund.). Tanto sono antiche le origini di nostra lingua.

17. (L) SPELONCA Luni deserta.

(SL) STELLE. Lucano, d' Aronte: Fulminis edoclus motus, venasque calentes Fibrarum, et monitus errantis in aëre penne (Phars., I). Virgilio, d'un augure: Qui sidera sentis (En., III).

18. (L) OGNI PILOSA PELLE: capelli e peli del pettignone.

19. Manto fu; che cercò per terre molte,
Poscia si pose là dove nacqu' io:
Onde un poco mi piace che m'ascolte.
20. Poscia che 'l padre suo di vita uscio,
E venne serva la città di Baco,
Questa gran tempo per lo mondo gio.
21. Suso in Italia bella giace un laco,

Appié dell'Alpe che serra Lamagna Sovra Tiralli, ed ha nome Benaco. 22. Per mille fonti, credo, e più, si bagna, Tra Garda e Val Camonica, Pennino Dell' acqua che nel detto lago stagna. 23. Luogo è nel mezzo, là dove 'l trentino Pastore e quel di Brescia e 'l veronese Segnar poria, se fesse quel cammino. 24. Siede Peschiera, bello e forte arnese, Da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi; Onde la riva intorno più discese.

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22. (L) PER MILLE FONTI... SI BAGNA: Pennino si bagna dell'acqua... Mille fonti che poi fanno il lago, scendono dall'alpi pennine, che fanno un triangolo con Garda e Valcamonica.

(SL) BAGNA. In senso alquanto differente dal comune e affine al latino balneum, che indica non semplice umidità, ma copia d'acqua. Forse si bagna è impersonale da sottintendervi il luogo tra Garda, Valcamonica e Pennino. Purg., X: D' intorno a lui parca cuicato e pieno Di cavalieri.

23. (L) PORÍA: potrebbe. SE FESSE QUEL CAMMINO: i tre vescovi potrebbero, in esercitare insieme le loro funzioni, benedire, se movessero verso l'ultimo confine delle diocesi loro.

(SL) LUOGO. Æn., VII: Est locus Italiæ medio, e altrove più volte. MEZZO. La sinistra è diocesi di Trento, la destra di Brescia, il lago tutto di Verona. Anche l'Alberti (Italia) pone il detto confine li presso. Altri per mezzo intende l'isoletta nel lago,

24. (L) ONDE LA RIVA INTORNO PIÙ DISCESE: là dove la riva scende. ARNESE: rocca. DA FRONTEGGIAR: da far fronte.

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23. Ivi convien che tutto quanto caschi

Ciò che 'n grembo a Benaco star non può; E fassi fiume giù pe' verdi paschi. 26. Tosto che l'acqua a correr mette co',

Non più Benaco, ma Mincio si chiama
Fino a Governo, dove cade in Po.

27. Non molto ha corso, che truova una lama,
Nella qual si distende, e la impaluda ;
E suol di state talora esser grama.
28. Quindi passando la vergine cruda,
Vide terra nel mezzo del pantano
Senza cultura, e d'abitanti nuda.
29. Li, per fuggire ogni consorzio umano,
Ristette co' suoi servi a far su' arti;
E visse, e vi lasciò suo corpo vano.
30 Gli uomini poi, che 'ntorno erano sparti,
S'accolsero a quel luogo, ch'era forte
Per lo pantan ch'avea da tutte parti.
31. Fêr la città sovra quell'ossa morte:

E per colei che 'l luogo prima elesse,
Mantova l'appellàr, senz' altra sorte.

32. Già fur le genti sue dentro più spesse
Prima che la mattia da Casalodi
Da Pinamonte inganno ricevesse.

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(SL) VERGINE. Poi s'unì al fiume Tosco. Virgilio, di Camilla: Aspera virgo (.En., XI). Stazio, di Manto: Phobea virgo (Theb., IV). -CRUDA. Hor. Carm., III, 14: Nuptiarum expers, et adhuc protervo Cruda marito. Semint., troppo letteralmente: Crudel verginità. Cresc., Il, 15: Il crudo campo sia tre o quattro volte arato. Stazio la dice innuba e libatrice di sangue. Egli stesso: Savorum arcana magorum. NUDA. Cesare dice nudare littora per isguarnir di soldati. Is., XXIV, 4: Terram... nudabit... et disperget habitatores ejus. 29. (L) ARTI maghe. VANO dell' anima.

(SL) ARTI. Novellino, XXI: Gittaro loro incantamenti e fecero loro arti. Stat., IV: Omneş Ter circum acta pyras, sancti de more parentis, Semincces fibras et adhuc spirantia reddit Viscera.

(F) ARTI. Voce propria della magia. Aug., de Civ. Dei, II: Arti fallaci e vane, per inganno de' demo

aii introdotte.

31. (L) SENZ'ALTRA SORTE. Gli antichi per dar nome alle città solean trarre le sorti, e consultare oracoli. (SL) ELESSE. Georg., IV: Eligitur locus. (F) SORTE. Le sorti propriamente diconsi quando si fa cosa dal cui esito si venga a conoscere alcun che d'occulto. Decr.: Le sorti con le quali voi tutto decidete nei vostri giudizii, le quali i Padri condannarono, sentenziamo non essere altro che divinazioni e malefizii. 32. (L) MATTÍA: stoltezza folle.

(SL) MATTIA. Vive in Toscana.

CASALODI. Conti

33. Però l'assenno, che se tu mai odi Originar la mia terra altrimenti, La verità nulla menzogna frodi. 34. Ed io : Maestro, i tuoi ragionamenti Mi son si certi, e prendon si mia fede, Che gli altri mi sarien carboni spenti. 35. Ma dimmi della gente che procede, Se tu ne vedi alcun degno di nota: Chè solo a ciò la mia mente rifiede. 36. Allor mi disse: Quel che dalla gota Porge la barba in su le spalle brune, Fu, quando Grecia fu di maschi vôta 37. Si ch'appena rimaser per le cune, Augure; e diede 'l punto con Calcanta In Aulide a tagliar la prima fune. 38. Euripilo ebbe nome. E così 'l canta

L'alta mia Tragedia in alcun loco.
Ben lo sai tu, che la sai tutta quanta.

guelfi insignoritisi di Mantova il 1272; il ghibellino Pinamonte de' Bonacossi, nobile, conoscendo quanto i nobili fossero odiati, persuase al conte Alberto de' Casalodi relegasse per alcun tempo i gentiluomini suoi aderenti ch'eran più forti. Questi lo fece. Pinamonte col popolo uccise gli altri nobili tutti, e si fece signore; Dante, ghibellino, non loda il tradimento, ma chiama stolto il guelfo tradito. V. Mur. Rer. Ital., t. XX (Hist. Mant.). RiCEVESSE. Arman.: Per tirannia forza ricevevano. Dante I ha nelle prose. Cresc: Riceveva nocumento dalle lignuole.

33. (L) ORIGINAR LA MIA TERRA ALTRIMENTI: darle altr'origine. MENZOGNA. Caso retto.

(SL) On. Arios., XVII. 68: E se n'udite mai far altri gridi. Direte a chi li fa che mal n'è istrutto. Quanto più nobile in Dante! FRODI. Questo racconto può conciliarsi con le cose dette nell'Eneide: l'avviso del Poeta cade sopra altre origini ch'e' teneva per false; per esempio, da Tarcone toscano.

(F) FRODI. Som.: Frodati della cognizione di Dio. 34. (F) CARBONI. Siccome nel Salmo CXIX (v. 4) i carboni dinotano lingue potenti al nuocere, così nel nostro i carboni spenti dinotano parola impotente. Dan.: Oculi ejus ut lampas.

35. (L) PROCEDE: va. rimira.

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(SL) PROCEDE. Æn., XI: Omnis longe comitum processerat ordo. RIFIEDE. Purg., XVI: La gente, che sua guida vede Pure a quel ben ferire ond'ell'è ghiotta. Inf., X: Sentier ch'ad una valle fede. Chi legge risiede può confermarlo con quel di Virgilio: sedet... sententia... - Idque..... sedet (sta fitto in mente) (Æn., VII); ma gli è modo più languido.

36. (L) Grecia... DI MASCHI VÒTA: tutti all' assedio di Troia.

(SL) QUEL. Viene agl'indovini.

37. (L) A TAGLIAR LA PRIMA FUNE: a salpare, uccisa Ifigenia.

(SL) CALCANTA. Æn., II, 122. AULIDE. Æn., IV, 426. FUNE. Æn., IV: Tortos... incidere funes. 38. (L) L'ALTA MIA TRAGEDIA: l'Eneide. - ALCUN un. (SL) CANTA. Æn., II: Eurypilum scitatum ora

cula Phobi Millimus.

(F) TRAGEDIA. Commedia chiama la propria come poesia più dimessa, al suo credere.

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