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17. I' vidi un, fatto a guisa di liuto

Pur ch'egli avesse avuta l'anguinaia Tronca dal lato che l'uomo ha forcuto. 18. La grave idropisia, che si dispaia Le membra con l'omor che mal converte, Che 'l viso non risponde alla ventraia, 19. Faceva lui tener le labbra aperte, Come l'etico fa, che per la sete L'un verso 'I mento, e l'altro in su riverte. O voi che senza alcuna pena siete, E non so io perchè, nel mondo gramo (Diss'egli a noi), guardate, e attendete 21. Alla miseria del maestro Adamo.

20.

I' ebbi, vivo, assai di quel ch'i' volli; E ora, lasso un gocciol d'acqua bramo. 22. Li ruscelletti che de'verdi colli

Del Casentin discendon giuso in Arno, Facendo i lor canali e freddi e molli, 23. Sempre mi stanno innanzi, e non indarno; Chè l'immagine lor via più m'asciuga Chemale ond' io nel volto mi discarno. 24. La rigida giustizia che mi fruga,

Tragge cagion del luogo ov'i' peccai,
A metter più gli miei sospiri in fuga.

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(SL) FURIE. Ovid Fast., VI: Agitur furiis Athamas. 9. (L) SCHIUDE: esce.

10. (SL) CAPOCCHIO. Inf., XXIX, t. 46. GRATTAR. Par che accenni alle schianze che costoro si stavan grattando. 11. (L) L'ARETIN: Griffolino.

(SL) SCHICCH. Altri lo dice Cavalcante; la famiglia dell' amico di Dante. E i Donati gli erano affini. 12. (L) SE: cosi. - L'ALTRO: Mirra. SI SPICCHI: parta.

13. (SL) SCELLERATA. Ovid. Met., X: Scelus est odisse parentem: Hic amor est odio majus scelus. E quasi dieci volte nella narrazione questa parola ritorna. AMORE. Ovid. Met., X: Ipse negat nocuisse tibi sua tela Cupido, Myrrha, facesque suas a crimine vindicat isto. 14. (L) FALSIFICANDO SE IN ALTRUI FORMA: facendosi credere altra donna. SOSTENNE s' offerse. (SL) FALSIFICANDO. Ovid. Met., X: Nominc mentilo veros exponit amores.

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15. (L) LA DONNA DELLA TORMA: la cavalla. - TESTANDO per Buoso morto. NORMA legale.

(SL) Buoso. Mori senz'erede; altri dice soffocato da Gianni. Questi si finse moribondo in sua vece, testò, fece erede Simone Donati, nipote di Buoso, in luogo d'altro a cui toccava l'eredità, e lasciò a sè per legato una bella cavalla, il che spiacque all' erede, ma non la negò per non si scoprire. TORMA. Armento di cavalli. È in Virgilio (En., XI). Altri dice una mula.

17. (L) PUR CH'egli avesse avuta L'ANGUINAIA TRONCA... A tagliarlo dalle coscie in giù, rimaneva un liuto: ventre gonfio, e collo sottile.

(SL) FORCUTO. Si secco in viso, si grosso del ventre, che a tagliarlo di sotto le cosce, sarebbe parso un liuto la testa, il manico; il ventre, la cassa. 18. (L) OMOR : umor. - Viso magro.

(SL) OMOR. Nel Convivio ed in Semintendi.

(F) OMOR. Som.: Privatio debitæ commensurationis humorum est de ratione speciei ægritudinis. – CONVERTE. Assimila; o: rivolge a' luoghi dove non dovrebbe. Così il dottor Cioni. Som.: Virtutem nature potentem ad convertendum multum cibum. Umori bene digesti.

L'UN labbro.

19. (L) Lui: a lui. (SL) RIVERTE. G. Vill. Faccano rivertire i cavalli e ergere indietro.

20. (F) ATTENDETE. Jer. Thr., I, 12: O voi tutti che passate dalla via, attendete e vedete s'egli è dolore come il dolor mio.

21. (SL) ADAMO. Bresciano. A richiesta de' conti di Romena, castello del Casentino, falsò le monete: bruciato in Firenze. GOCCIOL. Bocc.: Senz' avervi entro gocciol d'acqua.

22. (L) FREDDI: freschi.

(SL) FREDDI. Frigidus per fresco in Virgilio (Georg., II, III).

23. (L) INNANZI al pensiero. Asciuga di sete. (SL) INNANZI. En., X: Pallas, Evander, in ipsis Omnia sunt oculis.

24. (L) MI FRUGA: mi ricerca le vene tormentandomi in sete. - A METTER PIÙ GLI MIEI SOSPIRI IN FUGA: a farmi sospirare. La memoria m' è pena.

(SL) FRUGA. Purg., XVIII: Io cui nuova sele... frugava. FUGA. Quasi fuggenti alle dolci acque del Casentino. Petr. : Ite, caldi sospiri, al freddo core.

25. Ivi è Romena, là dov'io falsai

La lega suggellata del Batista; Per ch' io il corpo, suso, arso lasciai. 26. Ma s'io vedessi qui l'anima trista

Di Guido, o d'Alessandro, o di lor frate, Per fonte Branda non darei la vista. 27. Dentro ci è l'una già, se l'arrabbiate

Ombre che vanno intorno, dicon vero: Ma che mi val, ch' ho le membra legate ? 28. S'i' fossi pur di tanto ancor leggiero

Ch'i' potessi in cent'anni andare un'oncia, l' sarei messo già per lo sentiero, 29. Cercando lui tra questa gente sconcia, Con tutto ch'ella volge undici miglia,

E men d'un mezzo di traverso non ci ha. 30. I' son per lor tra si fatta famiglia;

Ei m'indussero a battere i florini Ch' avevan tre carati di mondiglia. 31. Ed io a lui - Chi son li duo tapini Che fuman come man bagnata il verno, Giacendo stretti a' tuoi destri confini ? 32. Qui gli trovai, e poi volta non dierno (Rispose), quando piovvi in questo greppo; E non credo che deano in sempiterno. 33. L'una è la falsa che accusò Giuseppo : L'altro è il falso Sinon, greco da Troia. Per febbre acuta gittan tanto leppo.

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34. E l'un di lor, che si recò a noia Forse d'esser nomato si oscuro,

Col pugno gli percosse l'epa croia. 35. Quella sono come fosse un tamburo: E mastro Adamo gli percosse 'I volto Col braccio suo, che non parve men duro; 36. Dicendo a lui: Ancor che mi sia tolto Lo mover, per le membra che son gravi, Ho io il braccio, a tal mestier, disciolto. 37. Ond' ei rispose: - · Quando tu andavi Al fuoco, non l'avei tu così presto: Ma sì, e più, l'avei quando coniavi. Tu di' ver di questo:

38. E l'idropico:

Ma tu non fosti si ver testimonio Là 've del ver fosti a Troia richiesto. 39. S'i' dissi falso, e tu falsasti ' conio

(Disse Sinone): e son qui per un fallo; E tu per più ch'alcun altro dimonio. 40. Ricorditi, spergiuro, del cavallo

(Rispose quei) ch'aveva enfiata l'epa: E sieti reo, che tutto 'l mondo sallo. 41. A te sia rea la sete, onde ti crepa (Disse 'l Greco) la lingua; e l'acqua marcia: Che 'l ventre innanzi agli occhi ti s'assiepa. 42. Allora il monetier: Cosi si squarcia La bocca tua per dir mal, come suole. Che s'i' ho sete e umor mi rinfarcia;

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40. (L) EPA: il ventre d'armati. TUTTO 'L MONDO SALLO. Siati amaro a pensare che tutto

il mondo per la fama sa il misfatto tuo.

(SL) SPERGIURO. En., II: Perjurique arte Sinonis. Peggio, dic' egli, spergiurare che falsare il meENFIATA. Æn., II: Scandit fatalis machina muros. Fæta armis. VI: Armatum peditem gravis attulit

tallo.

alvo. [REO. Dante, Rime: Però che gli occhi mi sarebber rei Molle fiate più ch'io non vorria... E affogheriano il cor, piangendo lei.]

41. (L) AGLI OCCHI TI S'ASSIEPA: fa quasi siepe agli occhi.

(SL) ASSIEPA. D' idropico o di donna gravida i Toscani dicono che ha la pancia agli occhi. 42. (L) RINFARCIA: infarcisce; n' ho fin troppo.

(SL) SQUARCIA. Ov. Met., VI: Dilatant patulos convicia rictus. SUOLE. Dicesti male de' Greci tuoi stessi (En., II).

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(SL) QUEI. Più volte in Virgilio le similitudini cominciano: Velut ille...

47. (L) SCUSAVA col turbamento.

(SL) SCUSAVA. Purg., V: Del color consperso Che fa l'uom di perdon talvolta degno. 48. (L) MEN. Caso retto.

(SL) DIFETTO. Costrutto ambiguo, ma dichiarato dal senso. E siffatte ambiguità sono inevitabili talvolta anco a' grandi scrittori; se non che rare in essi, e per evitarle non fanno sforzi che nocciano alla franchezza del dire.

(F) LAVA. S. Ambr.: Per pudore si sminuisce la 49. (L) FA RAGION: pensa. ACCOGLIA: colga.

colpa.

I falsatori di persone, di moneta, di parole.

Il Canto incomincia con lunghi accenni a due passi delle Metamorfosi: l'uno quasi tradotto e con molta efficacia, l'altro compendiato in parole d'abbondante pietà e di schiettezza potente: Ecuba, trista, misera e cattiva, Poscia che vide Polisena morta, E del suo Polidoro in su la riva Del mar si fu, la dolorosa, accorta... I lamenti d'Ecuba in Ovidio, in mezzo allo scintillar dell'ingegno, hanno calore verace d'affetto; e comparata alle aride superfluità di certi moderni la sua soprabbondanza feconda, apparisce quasi maestrevole parsimonia (1). E così nella morte di Polisena son tratti di natura vera, e però di vero poeta. Anche a Mirra accenna Dante, che nelle Metamorfosi ne aveva letto i lungamente e quasi castamente narrati amori (2): ed egli nella lettera ad Arrigo chiama Firenze Mirra scellerata ed empia, la quale s'infiamma nel fuoco degli abbracciamenti del padre. Mirra falsifica se in altri; Gianni Schicchi, fiorentino, altri in sè. E Dante altrove accusa di falso i suoi Fiorentini marchiando que' che arrossan per lo staio, cioè che falsificarono le misure pubbliche (3), e alludendo

amaramente a' tempi antichi che era sicuro il quaderno e la doga (1). Caco corre affocando i dannati un diavolo sta per passarli a fil di spada: qui le ombre mordono. I contraffattori di persone mordono, quasi per vendicare un sull'altro l'inganno teso ad altrui, e stracciare co' denti la maschera che li ricopre; gli alchimisti giacciono marcidi; i menzogneri a tradimento e a calunnie, febbricitanti e fumanti fumo puzzolente, per significare la calunnia e la bugia insidiosa che dà al capo a chi la cova, e si manifesta col mal'odore che sparge intorno di se; i falsatori di moneta, idropici, per indicare, dice Pietro, la voglia insaziabile e il sozzo affetto. Orazio così paragona l'avaro all'idropico: Crescit, indulgens sibi, dirus hydrops. Nec sitim pellit, nisi causa morbi Fugerit venis, et aquosus albo Corpore languor (2). L'Ottimo cerca corrispondenza tra l'incomodo umore dell' idropico, e la dannosa materia del falsario. Putrescere faciat femur tuum, et tumens uterus tuus disrumpatur (3)....... Inflato ventre computrescet femur (4). Strana ma evidente è l'ima

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gine del liuto dal ventre grosso e dal collo fine; e rammenta quel di Lucano (1): Ipse lalet penitus, congesto corpore mersus.

Li fa sitibondi, perché le ricchezze, come dice nel Convivio egli stesso, promettono di torre ogni sete e apportare saziamento; ma in loco di saziamento e di refrigerio, recano sete di casso febricante intollerabile. Nel Vangelo il ricco dannato: Manda Lazzaro, esclama, che intinga la punta del suo dito nell'acqua, e refrigeri la mia lingua (2). E qui maestro Adamo: l'ebbi, vivo, assai di quel ch' i' volli; E ora, lasso! un gocciol d'acqua bramo.

Rammenta le acque del Casentino, ove signoreggiavano i conti di Romena; anche perchè nel pian di Casentino guerreggiò la prima volta il Poeta contr' Arezzo nel 1289 (3): poi nell' esilio tornò a dimorare coi conti di Romena: e dopo la infelice spedizione contro Firenze, irato della lor dappocaggine, li lasciò. Bello che l'imagine delle fresche acque godute in vita, in Inferno tormenti il monetiere e l'asciughi. Stazio (4) fa dire ad un'ombra: Heu dulces visere polos, solemque relictum Et virides terras et puros fontibus amnes. Nella sete descritta dal Tasso, con meno parsimonia ma non senza efficacia: S'alcun giammai tra frondeggianti rive Puro vide stagnar liquido argento... Chè l'imagine lor gelida e molle L'asciuga e scalda, e nel pensier ribolle. Simile pensiero ha nel Filebo Platone; e il Boccaccio, della donna al sol cocente: Vedeva Arno, il qual porgendole desiderio delle su' acque, non iscemava la sete, ma l'accresceva. Vedeva ancora in più luoghi boschi ed ombre e case, le quali tutte similmente l'erano angoscia, desiderando. E con la troppa arguzia orientale, un poeta arabo citato da Abd-el-kader quando usci della carcere di Francia e vide Sicilia, già tenuta dalle arabe lance: Campagne di Sicilia! la vostra memoria è il mio tormento. Se le lagrime non fossero si amare, crederei che i miei pianli fossero i fiumi di quell'isola fortunata.

Perchè Dante distingua gli alchimisti da' falsatori di moneta e quelli ponga men basso, ammalati di scabbia non idropici, l'Ottimo così dichiara: Non solo con alchimia si può falsar le monele puotesi eziandio commetter fallacia in coniarle e batterle.... di minor lega che non è l'usato ordine... la quale è pubblica fraudolenzia; imperociocchè, siccome mostra il Filosofo nel quinto dell'Etica, la moneta fu trovata per comune utile e bene degli uomini: e perciò si commette su quella fraude e mette disordine e ingiustizia di quello al quale fine ella fu diretta e ordinata. Certo il Poeta

ebbe l'occhio al passo toccato dell'Etica, e riguardò la falsificazione come perturbatrice del sociale commercio, però la gravò di tal pena.

Una delle più infernali imagini di vendetta è in questo Canto laddove l'artista tentato da tristi signori a essere macchina di conio falso, sapendo che que' tre sono già tra' dannati, per l'amaro ristoro di dissetarsi de' loro tormenti non darebbe la fonte di Siena, che corre celebre tuttavia: e grida che se l'idropisia gli lasciasse fare un passo d'un'oncia in cent'anni, si sarebbe già messo in via a misurare le undici miglia che la dolorosa bolgia gira; cioè a dire, che dopo più d'un milione d'anni si sazierebbe di quella abborrita e agognata vista. Undici miglia ha la decima bolgia, ventidue la nona: di qui deduce l'Anonimo che l'ottava n'ha quarantaquattro, la settima ottantotto, e tutto Malebolge cinquemila secento trentadue. Il giro della terra è ventiquattromila circa. Ad ogni bolgia scema lo spazio, cresce il delitto; onde il numero de' colpevoli è meno. Nota che ne' sette cerchi precedenti a Malebolge la misura non raddoppia: chè allora il limbo avrebbe più di due milioni di miglia: ma quivi il declivio è più forte, e più gente ci cape. Il Rossetti trova nel Dittamondo, che il fosso di Roma girava ventidue miglia; e nel Nibby, che il circuito di Roma moderna è di undici miglia e mezzo; e deduce che in queste due ultime bolgie è figurata Roma, e in Lucifero il papa. Fantasia più ingegnosa che solida.

Gli ultimi falsatori si trovano a destra del Poeta andante, cioè, nota l'Anonimo, più presso al pozzo, dunque più rei: perchè falsare il vero a calunnia e a tradimento, è delle falsita la più nera. Li fa febbricitanti, a simboleggiare il delirio e il vaniloquio de' tristi; e li dipinge che fumano fumo puzzolente, come d'unto che bruci, a indicare la frode che li annebbiò. Li fa immobili in sempiterno; come Virgilio di Teseo infelice: sedet, ælernumque sedebit (1); che fu già notato siccome indizio della tradizione pagana, credente anch'essa immortali le pene. E le membra legate di mastro Adamo rammentano: ligatis manibus et pedibus ejus, mittite eum in tenebras exteriores (2).

De' falsi in parola son due, la moglie di Putifarre, e Sinone che accusa i Greci per tradire Troia, e si fa troiano attestando gli Dei e la luce del cielo. In una canzone il Poeta chiama Sinone falso Greco, e dice, da lui, cioè dalla traditrice menzogna, divorata Firenze.

Maestro Adamo, bresciano, arso vivo in Firenze, viene a rissa con Sinone senza fede nè patria, e l'uno all' altro rinfaccia il peccato e la pena, e vuol questa e quello nell'altro maggiori. Ma ve

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ramente il falsator della fede, massime se a ruina d'intera città o nazione, intendesi che sia più reo del falsator di moneta; e se Adamo è idropico, Sinone anch'egli patisce di sete per febbre acuta, e ne fuma come fumano i ladri trasformati in serpenti (1). La viltà delle ingiurie ritrae la viltà delle colpe. Si pigliano a parole per essere Sinone dall'Italiano nomato si oscuro: che è ferita al Greco superbo (2). Proprietà della rissa è l'ingiuria con percossa (3): onde Sinone percuote Adamo nel ventre marcio, Adamo lui nella faccia, che gli doleva per febbre, in pena della' menzogna sfacciata e de' pestilenti pensieri. Proprietà della rissa è altresì la prontezza allo sfogo, il

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compiacervisi ed il provocare (4); il che tutto s'avvera nella rappresentata qui. E tuttoche questa di Dante sia Commedia, egli che intende col comico stesso ispirare dignità, si fa rimproverare a Virgilio l'attenzione troppa con che stette ascoltando la rissa. I Proverbii: Honor est homini, qui separat se a contentionibus: omnes autem stulti miscentur contumeliis (2). — Labia stulti miscent se rixis (3). — Noli contendere verbis: ad nihil enim utile est, nisi ad subversionem audientium (4).

Il Canto comincia con similitudini tolte dalla favola, lunghe e finisce con una più breve, nuova, e tolta dall' osservazione intima dell'umano pensiero. Una comparazione del sogno abbiamo in Omero, e una in Virgilio (5): ma in Dante più, e, come i tempi più maturi portavano, più profonde.

(1) Somma, I. c. — (2) XX, 3. — (3) Prov., XVIII, 6; e la Somma: Da difetto di ragione accade che altri tenda ad offendere inordinatamente altrui. — (4) Ad Timoth., II, II, 14. - (5) Iliad., XXIII; Æn., XII.

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