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CANTO XXXIII.

Argomento.

Ugolino gli narra della sua morte. Dalla verità viene al Canto la maggiore bellezza. Un fallo de' tempi, collegato alle vicende della patria sua, delle quali anch'egli era vittima, ispirò degnamente il Poeta. L'altra parte del Canto non è men bella. Il diavolo che s'incarna nel traditore la cui anima cade viva viva nell' Inferno, è invenzione fondata sulle seguenti sentenze citate da Pietro: Descendant in infernum viventes (Psal. LIV, 15); Tradere hujusmodi satanæ (Ad Corinth., I, V, 5); Nomen habes, quod vivas, et mortuus es (Apoc., III, 1); Anania, cur tentavit satanas cor tuum .... ? (Act. Apost., V, 3); Cum diabolus jam misisset in cor, ut traderet eum Judas Simonis Iscariotæ.... Post buccellam, introivit in eum satanas (Joann., XIII, 2, 27); Peccato moritur anima, disjungitur a Deo, et jungitur diabolo (Decret.). In senso contrario: Jam non ego: vivit vero in me Christus (Ad Gal., II, 20).

Nota le terzine 1, 3, 4, 7; 9 alla 26; 28, 31, 33, 34, 35, 38, 39, 42; 44 alla 49, con l'ultima.

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1. (SL) BOCCA. Stat., IX: Ore tenens hostile caput. · SOLLEVO. Lucan., VI: Hæc ubi fata, caput, spumantiaque ora levavit. FIERO. Stazio, di Tideo divorante Menalippo Feritas jam non eget armis (Theb., IX). — PECCATOR. Ugolino della Gherardesca, Pisano guelfo, d' accordo con l'arcivescovo Ruggieri, cacciò a tradimento di Pisa, Nino de' Visconti di Gallura, figliuolo d'una sua figlia, che se n'era fatto signore, e posesi in luogo di lui. Abbiamo una canzone che dipinge il malo stato di Pisa sotto il suo reggimento. FORBENDOLA. Stazio,

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4. I' non so chi tu sie, nè per che modo
Venuto se' quaggiù; ma Fiorentino
Mi sembri veramente, quand' i' t'odo.
5. Tu de' saper ch'i' fu' 'l conte Ugolino,
E questi l'arcivescovo Ruggieri.
Or ti dirò perch'i' son tal vicino.

6. Che per l'effetto de' suo' ma' pensieri,
Fidandomi di lui, io fossi preso,

E poscia morto; dir non è mestieri.

cresciuto in orgoglio, co' Gualandi, i Sismondi, i Lan-
franchi, tre delle maggiori case di Pisa, alzato il ves-
sillo della Croce, con popolo venne alle case del conte,
e dopo dura zuffa, presolo con due figli e due nipoti nel
1288. uccisogli un altro nipote, e presa la moglie e la
restante famiglia, li chiuse nella torre de' Gualandi, e
per farli morire di fame fece inchiodar l'uscio, e gel-
tare le chiavi in Arno. PARLARE. Inf., V, terz. 42;
Petr.: In guisa d'uom che parla e plora.
4. (SL) FIORENTINO. Dunque nemico di Pisa.
5. (L) TAL VICINO: mangiator suo.

(SL) [CONTE. Vill., VII, 120 e 127].

RUGGIERI.

Il Troya vorrebbe che Guido di Montefeltro, non l'ar-
civescovo, fosse il reo principale della morte del conte.
Non è dimostrato ancora. VICINO. Petr.: Al regno de'
Franchi aspro vicino.
6. (L) MA': mali.

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(SL) MA'. Mich., VII, 15: Propter fructum cogitationum eorum. - Vill., VII, 120, 127. L' accusavano di avere per oro ceduto a Firenze e a Lucca le castella della Vernia, di Ripafratta, d'Asciano. Fino dal 1284, nella battaglia della Meloria, dove la guelfa Genova abbatte Pisa ghibellina (tutte e due fulminate del pari

7. Però quel che non puoi avere inteso, Cioè come la morte mia fu cruda, Udirai; e saprai s'e' m'ha offeso.

8. Breve pertugio dentro dalla muda

La qual per me ha 1 titol della fame, E 'n che conviene ancor ch'altri si chiuda, 9. M'avea mostrato per lo suo forame

Più lune già; quand' i' feci 'l mal sonno Che del futuro mi squarciò '1 velame. 10. Questi pareva a me maestro e donno,

Cacciando 'l lupo e i lupicini al monte Per che i Pisan veder Lucca non ponno. 11. Con cagne magre, studiose, e conte,

Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi,
S'avea messi dinanzi dalla fronte.

in questo Canto), Ugolino nel forte della mischia fuggi col terzo delle forze pisane, non per viltà, ma per indebolire la patria in modo da dominarla sicuro. Æn, VI: Vendidit hic auro patriam, dominumque potentem Imposuit. V. anche Orazio (I Sat., II, 88).

7. (SL) OFFESO. Cacciato Nino di Gallura, Ugolino, per pretesto da nulla, uccise il nipote dell' arcivescovo: di li la vendetta.

8. (L) BREVE: piccolo. MUDA: carcere buja.

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(SL) BREVE. In questo senso frequente a' Latini. MUDA. Buti: Muda chiama quella torre, o forse perchè così era chiamata, perchè vi si tenessono le aquile del comune a mudare (le penne), o per transunzione, che vi fu rinchiuso il Conte e li figliuoli, come gli uccelli nella muda. ALTRI. Annunzia sventure per quel profetico lume ch'è ne' dannati.

9. (L) Più LUNE: dall'agosto al marzo.

(SL) SQUARCIÓ. Æn., VI: Aperitque futura.

(F) VELAME. Som.: Tutti sperimentano che i sogni hanno un qualche significato... I sogni talvolta sono segni degli avvenimenti futuri in quanto riduconsi ad alcuna causa comune ed a' sonni e agli avvenimenti futuri. Talvolta dall'interiore disposizione del corpo formasi nella fantasia alcun moto che si conviene con tali disposizioni; siccome all' uomo nel quale abbondano gli umori frigidi occorre ne' sogni il trovarsi nell' acqua o nella neve; e però i medici dicono che è da attendere a' sogni per conoscere le interiori disposizioni del corpo. 10. (L) QUESTI: l'arcivescovo, MAESTRO E DONNO: guida e signore. CACCIANDO: cacciante. MONTE. S. Giuliano tra Pisa e Lucca.

(SL) MAESTRO. Fest.: Magister populi, cujus erat in populum summa potestas. Deut., XVI, 18: Judices et magistros constitues..... ut judicent populum. Æn., IX: Rectores juvenum et rerum dedit esse magistros. DONNO. È più; però lo soggiunge. Caro: Marito e donno dell' armento. LUPO. Nel lupo è figurato egli stesso; ne' lupicini, i figliuoli e i nipoti. Il sogno del lupo era augurio di fame, e, dice l'Ottimo, simbolo della tirannide di lui, come di Licaone in Ovidio. MONTE. LO cacciano verso Lucca per rinfacciargli le castella tradite a Lucca e a Firenze.

11. (L) STUDIOSE: sollecite. o conoscenti tal caccia.

CONTE: note in Pisa,

(SL) STUDIOSE. Studio a' Latini dice insieme fretta e cura acuta ed ingegno. Studiarsi per affrettarsi in Toscana. CONTE. Così saputo diciamo uom che sa ⚫ vuol far mostra di sapere. E fors' anche conte, perchè di famiglie cospicue o note troppo a Ugolino. Petr. :

12. In picciol corso mi pareano stanchi

Lo padre e i figli; e con l'agute scane Mi parea lor veder fender li fianchi. 13. Quand' io fui desto innanzi la dimane,

Pianger senti' fra 'l sonno i miei figliuoli Ch'eran con meco, è dimandar del pane. 14. Ben se' crudel se tu già non ti duoli

Pensando ciò ch'al mio cuor s'annunziava. E se non piangi, di che pianger suoli? 15. Già eran desti; e l'ora s' appressava, Che 'I cibo ne soleva essere addotto; E per suo sogno ciascun dubitava. 46. Ed io senti' chiavar l'uscio di sotto All'orribile torre. Ond' io guardai Nel viso a' mie' figliuoi, senza far motto. 17. I' non piangeva: si dentro impietrai. Piangevan elli; ed Anselmuccio mio Disse: Tu guardi si! Padre, che hai? 48. Però non lagrimai, nè rispos' io

Tutto quel giorno, nè la notte appresso; Infin che l'altro sol nel mondo uscio, 19. Com' un poco di raggio si fu messo Nel doloroso carcere, ed io scorsi Per quattro visi il mio aspetto stesso; 20. Ambo le mani per dolor mi morsi. Ed ei, pensando ch'i' 'l fessi per voglia Di manicar, di subito levôrsi,

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(F) CAGNE. Imagine di nemico inseguente. Jer., XV, 3: Gladium ad occisionem, et canes ad lacerandum. MAGRE. Simboleggia la fame, come le vacche di re Faraone.

12. (L) SCANE: zanne. LOR.: a me lupo e a' figli. 13. (L) INNANZI LA DIMANE: all'alba.

(F) PANE. Jer. Thr., IV, 4: Parvuli petierunt panem, et non erat qui frangeret eis. 14. (SL) PIANGI. Più potente del virgiliano: Quis talia fando... Temperet a lacrymis? (Æn., II). 15. (L) ADDOTTO: recato. gnarono pane.

SUO SOGNO: gli altri so

(SL) ADDOTTO. Gio. Vill. Adducea la vivanda

all'oste.
16. (L) CHIAVAR: inchiodare.

di sopra.

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(SL) CHIAVAR. Purg., VIII, terz. ult., e in Fr. Giordano. Uscio. A quel che pare, erano nel piano GUARDAI. S'accorse che avevano deliberato farli morire di fame. 17. (L) IMPIETRAL: divenni come pietra.· -ANSELMUGCIO: un nipote. - Si: così.

(SL) ANSELMUCCIO. St. Pis.; Murat., Rer. It., I, XXIV, 655.

(F) DENTRO. Reg., I, XXV, 37: Emortuum est cor ejus intrinsecus, et factus est quasi lapis. 19. (L) IL MIO ASPETTO STESSO: simili a me e per sangue e per fame.

20. (L) MANICAR: mangiar.

LEVORSI: si levår.

(SL) MANICAR. Questa voce è condannata come plebea fiorentina nella Volgare Eloquenza. Segno è che tutto il poema è scritto in volgar fiorentino.

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21. E disser: « Padre, assai ei fla men doglia Se tu mangi di noi. Tu ne vestisti Queste misere carni, e tu le spoglia. 22. Quetámi allor, per non fargli più tristi. Quel di, e l'altro, stemmo tutti muti. Ahi dura terra, perchè non t'apristi? 23. Poscia che fummo al quarto di venuti, Gaddo mi si gittò disteso a' piedi, Dicendo: Padre mio, che non m'aiuti? » 24. Quivi mori. E come tu mi vedi,

Vid' io cascar li tre, ad uno, ad uno Tra 'l quinto di e 'l sesto. Ond' i' mi diedi, 25. Già cieco, a brancolar sovra ciascuno:

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21. (SL) VESTISTI. Parole ch' anco i nepoti potevano volgere al padre del padre loro. MISERE. Æn., II : Miseros morsu depascitur artus. La voce misero e in Virgilio e in Dante ritorna più volte collocata in modo maestro, e sovente posposta ove par più potente. CARNI. Modo biblico.

(F) SPOGLIA. Crysost.: Spogliare il corpo. Aug. in VIII de anima: Corporibus exutæ. 22. (L) QuetáMI: mi quetai.

(SL) TERRA. Æn., X: Aut quæ jam satis ima dehiscat Terra mihi?

CHE: perchè.

23. (L) GADDO: un figliuolo. 24. (SL) VEDI. Cosi disperato, affamato, languente, cosi intirizzito di debolezza e di orrore.

25. (L) CIECO di fame. -POTÈ IL DIGIUNO uccidermi.

(SL) BRANCOLAR. Per conoscere s' eran vivi, 0 per moto d'uom vicino a morire. CHIAMAI. Non si divertiva dunque a mangiarli. POTE. Il dolore mi tenne in vita, la fame mi spense. Buti: Dopo gli otto di ne furon cavati, e portati, inviluppati nelle stuore, al luogo delli frati minori a s. Francesco, e sotterrati nel monumento ch'è allato agli scaglioni, a montare in chiesa, dalla parte del chiostro, co' ferri a gamba: li quali ferri vidio cavati dal ditto monumento.

(F) PorÈ. La fame, secondo Galeno ( De sanit. tuenda, IV), dissecca; il dolore concentra gli umori. E un sentimento morale combatte sovente un corporeo e lo fa men cocente.

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COME.

26. (SL) TORTI. Semint.: Con torto occhio. En., VIII: Vix ea dicta. 1: Vix ca fatus erat. FORTI. Ugolino fu feroce uomo e feri nel braccio di pugnale un nepote perchè gli consigliava provvedesse di vettovaglie la città, sospettando non quegli aderisse a' suoi nemici. Questo nepote fu da lui maritato a una figlia del conte Guido di Caprona (Tronci, Ann. Pis., 1287): onde non fu di quelli che perirono nella torre. 27. (L) DEL BEL PAESE LÀ DOVE'L SI SUONA: Italia. 1 VICINI: Firenze e Lucca.

(SL) PISA. E pure era Pisa devota ad Arrigo: tanto grave su tutti i peccati cade l'ira di Dante. Nel 1313, erano al soldo di Pisa mille, tra Tedeschi, Bra

28. Muovansi la Capraia e la Gorgona,

E faccian siepe ad Arno in su la foce, Si ch' egli annieghi in te ogni persona. 29. Chè se'l conte Ugolino aveva voce

D'aver tradita te delle castella; Non dovei tu i figliuoi porre a tal croce. 30. Innocenti facea l'età novella

(Novella Tebe!), Uguccione e 'l Brigata, E gli altri duo che 'l canto suso appella.

banzoni, Fiamminghi (Vill., IX, 55); e per durar ghibellina, chiamò a sè Uguccione che la reggesse, invocati indarno altri principi. [Donizo, Vita Mathildis presso il Muratori, dissert, XXXI: Qui peryit Pisas, videt illic monstra marina. Hæc urbs Paganis, Turcis, Libycis, quoque Parthis Sordida; Chaldæi sua lustrant mania tetri]. — Là. Da questo là altri deduce che Dante quando scriveva il presente fosse fuori d'Italia; ma il là ai trecentisti era riempitivo frequente. Leg. Tob.: Lo paese là dov'egli dimora. - [Si. Volg. Eloq., I, 5.]

(F) Sì. Conv., 1, 10: La gran bontà del volgare del si. E nella Volgare Eloquenza (I, 18) dice che il si pronunziano coloro che tengono la parte orientale, da' genovesi confini insino a quel promontorio d'Italia dal quale comincia il seno del mare Adriatico e la Sicilia, Anco nella Vita Nuova distingue la lingua d'oc, di oui, del si.

28. (L) LA CAPRAIA E LA GORGONA: isolette di contro a Pisa lontane venti miglia dalla foce dell'Arno.

(SL) MUOVANSI. Æn., IV: Litora litoribus contraria, fluctibus undas Imprecor. [Arditissimo pensiero che nessun altro avrebbe saputo esprimere in così semplici e poetici modi.] SIEPE. Terribile idea, venutagli forse dalla favola di Delo mobile sopra l'onde (Ov. Met.). Qui nota il Buti una contraddizione dell' odio. Per aver Pisa fatti perire quattro innocenti, Dante vorrebbe affogati tutti gl' innocenti di Pisa. Esecrabile voto, massime dopo la battaglia della Meloria; esecrabile in uomo nemico e straniero, non che in Bianco e Toscano. Appunto per correre alla sconfitta della Meloria uscirono della foce d'Arno le pisane galee, gridando: battaglia, battaglia !

29. (L) VOCE fama. CROCE: tormento.

(SL) VOCE. Ar.: Ha voce Che l'uom gii cerca invan la vita tôrre. TRADITA. Dante, che i traditori punisce, non poteva certo perdonare a Uguccione Faggiolano che nel 4314 ebbe Lucca a tradimento (Vill., IX, 59; Murat., Chron. Est., XVI, pag. 570; ivi, pag. 574 e XIX, pag. 1079). - PORRE. Dante usa di frequente l'evidente modo di: porre gli occhi sopra alcuna cosa, o, nell'altrui vista: Pon mente al temerario ardir di Serse. Petrarca: Non dovei tu i figlioi porre a tal croce. Il porre degl' Italiani non s' accorda affatto col ponere de' Latini, mentre presso di essi valea anche deporre; perciò Virgilio (Æn., XI) disse: Pone animos et pulsus abi (Deponi l'ira); - Spem si quam accitis Elolum habuistis in armis, Ponite ( Deponete ogni speranza). Ma Dante non avrebbe detto: Ponete ogni speranza, voi che 'ntrate. Lasciare, per lo più, è la voce che traduce meglio il deponere dei Latini. } 30. (L) UcucCIONE: figliuol d'Ugolino. Nino, nipote. Dro: Gaddo e Anselmuccio. (SL) TEBE! Pisa, nota Pietro, fu fondata da' Tebani, venuti dalla ellenica Pisa. Ma qui il Poeta allude insieme ai tragici casi di Tebe e agli odii fraterni.

BRIGATA:

Duo. Il Troya crede poter dimostrare con un docu

31. Noi passamm'oltre, là 've la gelata Ruvidamente un'altra gente fascia, Non vôlta in giù, ma tutta riversata. 32. Lo pianto stesso li pianger non lascia;

E' duol, che truova in su gli occhi rintoppo, Si volve in entro a far crescer l'ambascia: 33. Che le lagrime prime fanno groppo, E, si come visiere di cristallo, Riempion, sotto 'I ciglio, tutto 'I coppo. 34. E avvegna che, sì come d'un callo, Per la freddura, ciascun sentimento Cessato avesse del mio viso stallo; 35. Già mi parea sentire alquanto vento. Perch'i': Maestro mio, questo chi muove? Non è quaggiuso ogni vapore spento?

-

mento, che de' nipoti del conte alcuno aveva moglie. Ma Dante nel 1288 era in età di ventitrè anni e ben doveva sapere il vero del fatto: nè suol per capriccio mentire alla storia, nè parlando a' contemporanei l'avrebbe osato. Anche il Villani attesta che li figliuoli e í nepoti... erano giovani yarzoni ed innocenti. Riman dunque a vedere se il nipote d' Ugolino ch'aveva moglie fosse un altro figliuol di fratello, non di figliuolo. Del resto età novella può intendersi per inesperta delle pubbliche cose, Dondimeno atta alle armi. Machiavelli, St. II: Il figliuolo non aveva ancora diciott'anni, Nondimeno l'età, l'innocenza, la forma sua nol poterono dalla furia della mollitudine salvare.

31. (L) LA GELATA: il gelo. - RIVERSATA: rovesciata.

(SL) OLTRE. Alla terza regione, la Tolommea, dove gelano, dice Pietro, que' che tradirono a mensa, come frate Alberigo, o come Tolommeo capitano nel campo di Jerico, genero di Simon Maccabeo, il quale a Simone e a Matatia di lui figlio imbandi gran convito, e da armati nascosti li fece trafiggere (1, Mach., XVI). Altri pone in questa regione que che tradirono i benefattori, come Tolommeo re d'Egitto, uccisor di Pompeo: ma l'opinione di Pietro coetaneo non è da sprezZare: e può conciliarsi con l'altra, ponendo in questa regione i traditori di coloro che molto si fidano. RIVERSATA. Ar., XXX, 66: Stordito in terra si riversa.

(F) RIVERSATA. Chi tradi benefattori od ospiti sla nel ghiaccio col capo all'ingiù; ma non tutti intero nel ghiaccio come quelli della Giudecca.

32. (L) PIANTO gelato. RINTOPPO di lagrime gelate già.

(SL) ENTRO. Ov. Met., XIII: Vocem lacrimasque introrsus obortas Devorat ipse dolor. Seneca: Premo gemitus meos et introrsus hærentes lacrimas ago. 33. (L) COPPO: cavità convessa di fuori.

(SL) Coppo. Berni, Orl., III, 6, 56: Il coppo dell'elmetto.

(F) GROPPO Som. Fletus corporalis fit per quamdam resolutionem lacrimarum.

34. (L) AVVEGNA CHE... benchè per il freddo ogni senso avesse lasciata la sede del viso mio, come d' un callo insensibile.

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(SL) CESSATO. Vill., IX, 512; Gradi di S. Gir., ALL: Cessano le mie orecchie che non odano male (lat. avertunt). STALLO. Stabulum a' Latini aveva senso generale d' abitazione. Vite de' ss. Padri: Lo suo stallo era in cella o per lo diserto.

35. (L) PERCH': onde.

(F) VAPORE. Il vento viene dal cadere d'una co

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Un poco, pria che 'l pianto si raggeli. · 39. Per ch'io a lui: Se vuoi ch'i' ti sovvegna, Dimmi chi fosti. E s'i' non ti disbrigo, Al fondo della ghiaccia ir mi convegna. 40. Rispose adunque: - I' son frate Alberigo; Io son quel delle frutta del mal orto, Che qui riprendo dattero per figo. 41. Oh! (dissi lui) or se' tu ancor morto? Ed egli a me: - Comel mio corpo stea Nel mondo su, nulla scienzia porto.

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(SL) IMPREGNA. Aug. Conf., VIII: Sonus vocis me fletu gravidus.

39. (L) DISBR:GO, tergendo le lagrime.

(F) CONVEGNA. E' doveva andar fino al centro: onde l'imprecazione è ingannevole. L'ombra credendolo un dannato della Tolommea, gli dà fede. Il Poeta crede lecito con un traditore le restrizioni mentali. Aug., de Evang. (II, 22)· Non ogni cosa che si finga è menzogna, ma quando fingiamo cosa che niente significa di vero, allora è menzogna; ma quando la finzione nostra risponde a un qualche significato, non è menzogna ma una certa figura di verità.

40. (L) FIGO: fico. Più per meno.

(SL) ALBERIGO. De Manfredi di Faenza; frate godente astutissimo. Per guanciata avuta da Manfredo, suo parente, prese ad odiarlo a morte; ma fingendo di rappacificarsi, lo invitò a cena: e dopo mangiato, alle parole di lui: vengan le frutta, uscirono gli sgherri ed uccisono lui col figliuolo Alberghetto che s'era rifugiato sotto la cappa d'Alberigo. L' Ottimo dice che tradi due volte a quel modo. ORTO. Frutte del mal orto è proverbio toscano. DATTERO PER FIGO. Volgarmente: pan per focaccia.

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42. Cotal vantaggio ha questa Tolommea, Che spesse volte l'anima ci cade Innanzi ch' Atropós mossa le dea. 43. E perchè tu più volentier mi rade Le 'nvetriate lagrime dal volto, Sappi che tosto che l'anima trade, 44. Come fec' io, il corpo suo l'è tolto Da un dimonio, che poscia il governa Mentre che 'l tempo suo tutto sia vôlto. 45. Ella ruina in sì fatta cisterna.

E forse pare ancor lo corpo, suso, Dell'ombra che di qua dietro mi verna. 46. Tu 'l déi saper se tu vien pur mo giuso. Egli è ser Branca d'Oria; e son più anni Poscia passati, ch'ei fu si racchiuso. 47. I' credo (diss' io lui) che tu m'inganni: Chè Branca d'Oria non mori unquanche; E mangia e bee e dorme e veste panni.

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CADE: il

44. (L) IL CORPO SUO L'È TOLTO DA UN DIMONIO... MENTRE CHE 'L TEMPO SUO TUTTO SIA VOLTO: finchè il corpo muoia, ci sta un diavolo.

(SL) GOVERNA. Æn., IV: Dum spiritus hos reget artus. TEMPO. Josue, XXIII, 1: Evoluto... multo tempore. Paral. II, XXI, 19: Temporum spatia volve rentur. Di demonii entrati in corpo, per pena, V. Bolland, I, 46, 177, 345, 494, 496, 691, 1067. 45. (L) ELLA: l'anima.

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VERNA gela.

PARE... SUSO: apparisce

46. (L) Mo: ora. — RACCHIUSO nel gelo.

(SL) D'ORIA. Uccise a tradimento Michel Zanche, suocero suo per occupare il giudicato di Logodoro in Sardegna. Nel 1508 insieme con Opicino Spinola signoreggiò Genova, tenendone i Fieschi in bando: i quali rientrarono con Arrigo pacificati ai d'Oria: e morto Arrigo, cacciarono i d' Oria in esilio. Branca d' Oria è nominato nella LVIII delle Cento Novelle. 47. (L) UNQUANCHE: mai.

(SL) PANNI. Comico, per far più terribile l' ironia. Ma breve è lo scherno in lui. Nella Monarchia : Naturalis amor diuturnam esse derisionem non patitur; sed, ut sol æstivus qui disjectis nebulis matutinis, ler

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ras luculenter irradiat, derisione omissa, lucem correctionis ostendere mavult.

48. (L) DI MALEBRANCHE: de' barattieri.

(SL) Fosso. Inf., XXI, terz. 43; XXII, terz. 30,-GIUNTO. L'anima del traditore, appena pensato il tradimento, precipita nell' Inferno. Ella lo pensa: un demonio lo compie.

49. (L) PROSSIMANO: congiunto.

(SL) VECE. Greg., Ep. VI, 51: Quod diabolus cor hominis ingrediatur, si evangelio creditur, non negatur. 50. (L) Lui: a lui.

(SL) CORTESIA. A traditore sta bene esser deluso. Poi aprirgli gli occhi era un rinnovargli il tormento delle lagrime che tornerebbero a congelarsi. Alleviare il dolore del reo, dice l'Ottimo, è far contro alla divina giustizia. Inf., XX: Quí vive la pietà quind'è ben morta.

51. (L) DIVERSI D'ogni costumE: d'ogni buon costume travolti.

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Altre visioni infernali.

I vecchi Commenti di Dante dichiaravano in parte il senso letterale e lo storico; si stendevano nel simbolico, dando però forse al Poeta intendimenti che per l'appunto non erano i suoi; taluni accennarono a passi d'antichi a' quali egli ebbe la mira; ma rimanevano quasi intatte le quattro copiose fonti della poesia dantesca, dico le tradizioni correnti nel suo e ne' precedenti secoli, le

dottrine d'Aristotele e de' Padri, Ja Bibbia, e i tre o quattro scrittori latini allora più noti; finalmente la lingua toscana allora comunemente usitata, e viva nel popolo tuttavia. Singolare che le fonti della tradizione sieno state prima cercate a proposito del profano novelliere che del sacro poeta; e che uno de' primi a scoprire la ricca miniera fosse un allievo del secolo decimo ottavo,

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