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Ma se è cessata la quistione romana, per converso è sorta, in tutto il rigore del termine, la quistione italiana; e ciò per la inevitabile opposizione de' contrarii. Quand' anche il Governo italiano rinunziasse formalmente a Roma, la sovranità temporale del Pontefice non potrebbe rimanere nelle microscopiche proporzioni, a cui presentemente è ridotta. Roma oggidì vi dà l'immagine di un capo senza corpo. Essa si trova a poche miglia di distanza da un forte regno, che ad ogni istante potrebbe inghiottirla. Il piccolo territorio, ond'è circondata, non può nè colle sue rendite sopperire al mantenimento dello Stato, nè colla sua popolazione fornire elementi bastevoli alla milizia. Il denaro di S. Pietro può durare perpetuamente? I sacrificii di tanti giovani generosi, che accorrono da tutte le parti d'Europa per la difesa del comun Padre, dovranno prolungarsi, senz'alcun termine? Per fermo, se il potere temporale del Pontefice è riconosciuto indispensabile, dee di necessità costituirsi in guisa, che abbia in sè stesso tutto ciò che è necessario per sussistere e conservarsi. Giustamente si dice che le sue guarentigie convien che d'ora innanzi sieno serie. Ma la prima guarentigia, per la sicurezza d'uno Stato, è una tal quale proporzione co' suoi vicini.

Ciò nella stessa supposizione che l' Italia rinunzii alle sue aspirazioni verso Roma. Ma una tal supposizione è ella possibile? Si ha un bel dire che l'unità italiana può sussistere senza Roma. Ciò di per sè è vero; ed è vero altresì che il possesso di Roma le sarebbe anzi mortale. Ma qui la cosa vuol considerarsi in concreto, non in astratto. In concreto l'unità d'Italia non può prescindere da Roma. Ciò fu osservato da quasi tutti gli oratori delle due assemblee, e fa messo in piena luce dal Cardinal Bonnechose in quel suo magnifico discorso al Senato del 30 Novembre. Conviene scegliere tra l' unità italiana, egli disse, e il poter temporale del Papa; non si dà mezzo. E la ragione è chiarissima; sia che si riguardi il principio, di cui essa unità s' informa; sia che la base, su cui si appoggia; sia che la volontà di coloro, da cui dipende, oggidì il governo della Penisola. Il principio è quello della rivoluzione. Ora la rivoluzione per bocca del suo profeta, il Mazzini, ha confessato esser matto chi crede che il capo della Chiesa possa essere suddito di veruno; ma che per questo

appunto dee procurarsi di renderlo tale, acciocchè sia distrutta la sua autorità spirituale. « Coloro, egli disse in uno scritto recente, i quali oggigiorno combattono il Principe di Roma, facendo professione di venerare il Papa e d' essere cattolici, sono o inconseguenti o ipocriti. » La guerra non è al Principe, ma al Pontefice. La prima non può considerarsi, che sol come mezzo per la seconda. Il Papato in sè stesso è ciò, che si odia e si vorrebbe abolito o almen reso inefficace.

La base poi della presente unità d'Italia è formata dai plebisciti. Ora i famosi plebisciti furono esplicitamente redatti colla condizione di Roma capitale. Se questa condizione si toglie, la base è divelta, e l'edifizio crolla.

Da ultimo la volontà di coloro, che reggono oggidì le sorti della Penisola non è dubbiosa. Basti, se non altro, l'ultima circolare del Menabrea. Essi vogliono Roma ad ogni costo; e sol, quanto ai mezzi per conseguirla, concedono, a parole, temperamenti.

Il marchese Moustier per persuadere che cotesta volontà non è poi sì ostinata, come si dice, ha recato uno specioso argomento. Egli ha detto: «Se è vero che l'Italia sia talmente innamorata dell'unità, che non possa sopportare l'idea di vederla menomata in nulla, e tale è la teorica svolta dai più ardenti amici del Papato; come si può sostenere che l'unità sia vicina a disciogliersi, quando si ammette che sia così forte il sentimento di essa in Italia 1?» Ma egli stesso ha aperta la via alla risposta; soggiungendo che l'Italia altualmente è nelle mani della minorità del paese, non in quelle della maggiorità. Ora questa minorità appunto è quella, che attacca all' idea di unità il possesso di Roma. Quanto alla maggioranza vera, essa non solo non anela al possesso di Roma, ma abbomina cordialmente l'idea stessa di unità. Essa la crede perniciosa agl' interessi non solo della religione, ma allo stesso benessere materiale d'Italia. Quindi gli amici del Papato possono benissimo sostenere queste due cose cioè che il possesso di Roma è inseparabile dall'idea di unità, perchè tale è il pensiero della minoranza dominante; e che nondimeno questa unità non è lontana dal perire, perchè nil

1 Senato. Tornata del 30 Novembre.

violentum durabile, ed è certamente violento ciò, che è contrario ai voli della maggioranza. Infatti, se per poco usciamo dall' aula parlamentare di Firenze, e ci aggiriamo in mezzo al vero popolo, che cosa scorgiamo? Uno scontento generale; un desiderio di radical mutamento; una persuasione in tutti di prossima rovina di questa mal composta baracca. Vogliamo anche intorno a tal punto riportare un brano del discorso del sig. Thiers. « Volgiamo lo sguardo, egli dice, all' Italia. La condizione è deplorabile; giacchè non abbiam reso felice nessuno, nè il Papa, nè l'Italia, nè la Francia. Voi avete creduto far meraviglie con la Convenzione; ma voi non avete assicurato il Papa dal periglio, ed avete invece tolto all'Italia la sua forza, trasportando la corona d'Italia dalla forte città di Torino alla molle e spiritosa Firenze, che l'ha accolta con un sorriso. La Sicilia è assolutamente staccata dal Governo; Napoli pronta ad insorgere; Milano fremente; Torino, irritata, parla apertamente di spezzare l'unità italiana. E questo Re infelice, chiuso nel palazzo Pitti, fatto pei Medici e non pei lupi di Savoia, non osando ritornare nel suo paese natale, dove si abbatte la sua statua, dee sentirsi ben punito d'aver accettato questo compito mazzinianó, di rovesciatore di troni 1. >>

Ecco dunque necessariamente sorta la quistione italiana. L' Italia non può restare qual è. Lo stesso imperatore Napoleone sembra averlo riconosciuto, giacchè permise che il suo Ministro facesse men-. zione d'un' Italia nuova. Senza dubbio, è mestieri che l'Italia si rinnovelli, costituendosi in forma diversa dalla presente. Ma quale che debba essere la sua ricostituzione, conviene assolutamente che ella sia fatta per guisa, che la Sovranità pontificia sia rimessa nel primiero suo lustro e nelle primiere condizioni di prosperità e sicurezza.

1 Corpo Legislativo. Tornata del 4 Dicembre.

LA SEDE ROMANA E IL GOVERNO DI RUSSIA'

In uno de' precedenti quaderni cercammo di mettere in chiaro, che i tumulti e le ribellioni eccitatesi in Polonia in questi ultimi anni, cioè dal 1861 al 1864, debbano ascriversi in parte alla durezza, con che il Governo stesso di Russia trattò sempre quella misera nazione, ed in parte ai maneggi tristissimi ed alle incessanti suggestioni de' settarii, i quali, ritrovata la materia dispostissima ad avvampare, accesero con somma facilità le fiamme di quell' incendio. Al solo riandare queste verissime cagioni de' detti sconvolgimenti, si può toccare con mano la temerità e la falsità della calunnia, colla quale il Governo russo attribui quelle medesime sedizioni ai principii della cattolica Chiesa, alle pretese trame del clero polacco ed alle clandestine insinuazioni del Romano Pontefice. Senonchè simili calunnie, siccome quivi avvertimmo, restano con ciò confutate solo indirettamente. Esse meritano di vantaggio qualche confutazione e qualche risposta più diretta, che già promettemmo di dare, e che ora, sciogliendo la nostra promessa, diamo nel presente articolo.

Dell' aperta falsità delle calunnie del Governo russo contro la cattolica religione ed il romano Pontefice.

Prima d'ogni altra cosa vale richiamare alla memoria le calunnie, apposte dal Governo di Russia alla Santa Sede; perchè così vie

1 Vedi il volume XII della Serie VI, pag. 13 e segg.

meglio si farà manifesto quanto esse siano vane e quanta ingiustizia contengano, allorchè si troveranno messe a rincontro della verità de' fatti, che soggiungeremo qui appresso.

Secondo il principe Gortchacoff, l'augusto Pontefice Pio IX diede animo alla rivolta, per aver significato di approvare le pretensioni e le agitazioni del popolo insorto. Le lettere apostoliche, egli dice, spedite dalla Santa Sede in quei giorni, erano dirette ad aumentare i tumulti, e ad avvalorare le pratiche turbolente del clero polacco: Les communications clandestines du Saint-Siege avaient pour effet immédiat d'accroître les troubles et d'encourager les manifestations du clergé polonais. Nè dubita di affermare, che si venne per questa via a maggiormente stringere la sacrilega alleanza tra la ribellione e la Chiesa cattolica. Tutti quei disordini, aggiungeva il colonnello Moller, dovevano senza niun dubbio accagionarsi au penchant avéré du clergé catholique pour le brigandage et la rébellion, penchant commun à tout ce clergé, depuis le saint-père Pie IX et ses cardinaux à Rome jusqu'au dernier desservant de la plus pauvre des églises de Lithuanie. In una parola, gli uomini di quel Governo confessano concordemente, che dai principii e dalle tendenze dei settarji era sollevata la tempesta; ma insieme affermano, che la cattolica religione o, ciò che torna allo stesso, la Sede Romana professava que' rovinosi principii, e promoveva quelle inique tendenze, ed in tal guisa rendevasi rea delle sedizioni, le quali misero in tanto scompiglio quelle infelici contrade.

Siamo d'uno stesso avviso in tutto quello che spetta all'influenza, esercitata potentemente dalle sètte a fine di eccitare, di mantenere e di accrescere que' moti sediziosi. Gli argomenti, co' quali si dimostrano così pravi maneggi, furono già da noi toccati nell'articolo precedente. E di nuovo chiamiamo qui per tutto questo, quali le chiamammo allora, degne d'essere accolte come una fedelissima rappresentanza de' fatti, le parole del principe Gortchacoff, ove egli affermava, che: Le mal dont souffre actuellement le royaume n'est pas un fait isolé. L' Europe entière en est affectée. Les tendances révolutionnaires, fléau de notre époque, se concentrent aujourd'hui dans ce pays, parce qu'elles y trouvent assez de matières combu stibles pour espérer d'en faire le foyer d'une conflagration, qui

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