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Ma la Camera dei Deputati considerava il Gabinetto del Menabrea come troppo ligio al Governo imperiale di Francia; e perciò nella tornata del 22 Dicembre lo volle abbattere col suo voto di sfiducia, pronunziato dai 201 contro 199,

Grande fu la commozione destata perciò in Francia ed in ogni ordine di persone; ed il giornale ufficioso la France ebbe a manifestare le sue impressioni in un gravissimo articolo, del quale giova riferire qui i brani più rilevanti.

«Non cerchiamo di dissimulare l'importanza di questo voto. È la risposta italiana alle dichiarazioni francesi del 5 Dicembre. La Camera fa ben più che confermare il voto di Roma capitale; essa rifiuta la fiducia ad un Ministero, che pur mantenendo il programma nazionale», non voleva tuttavia romperla colla Francia, e chiedeva un voto di biasimo per il tentativo rivoluzionario di Garibaldi. Essa dice al Governo: «Voi avete avuto torto di richiamare le truppe italiane en« trate sul territorio pontificio; bisognava andare a Roma, rimanervi, «e se la Francia interveniva, andarle incontro ed accettare il con«flitto ». Il signor di Cavour rivendicava Roma, ma col consenso della Francia, che si lusingava di ottenere, e respingeva come una pazzia od un'ingratitudine il pensiero di una lotta coi suoi alleati di Solferino. Il Parlamento presente va più lungi; esso vuole Roma senza la Francia e contro la Francia. Che cosa farà il ministero Menabrea? »

Qui, discussi i soli due partiti, o di appellare al suffragio di una nuova Camera, sciogliendo la presente e procedendo a nuove elezioni generali, o di darla vinta alla rivoluzione, la France fa notare che a oggidi chiedesi colle minacce e pretendesi ottenere per forza quello che il Cavour si riprometteva dall' abilità diplomatica e dal tempo. » dall'abilità Quindi conchiude il suo dire con le seguenti parole:

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« Il voto del 22 Dicembre a Firenze, dopo il voto del 5 Dicembre a Parigi, è di natura tale da rischiarare pienamente la situazione. Da una parte e dall' altra, si sa ciò che si vuole. Non si tratta più che di sapere, se le rivendicazioni degli Italiani prevarranno sugl' interessi e sull' onore del nostro paese. Ed è nel punto in cui l'Italia, cedendo a nefaste influenze, entra nella via più pericolosa per essa, chè si trova a Firenze taluno che se la prende con coloro fra noi, che tentarono di trattenerla su questo fatale pendio! I nemici dell'unità italiana! ma essi non sono in Francia, sono in Italia. Sono gli uomini, i quali, nello stesso tempo che slanciavano Garibaldi su di Roma, offrivano di capitale in capitale la loro alleanza, e finivano col soccombere dinanzi all'impotenza dei loro malvagi disegni. Sono questi uomini, i quali, invece di conservare all' Italia il riposo e la calma di cui abbisogna per riorganizzarsi, sviluppare le sue forze e rialzare il suo credito, la precipitarono nelle avventure e nella rivoluzione. Sono questi uomini, i quali invece di usar prudenza nel nostro paese, verso interessi e principii che nessun Governo sacrificherà mai, si presero l'assunto di porre alle prese le passioni dell'Italia e la dignità della Francia.

« Ecco i veri nemici dell'unità italiana. Noi non siamo, dal canto nostro, i nemici, senonchè di ciò ch'è nemico del nostro paese, che di ciò che vuole diminuire la sua autorità morale e pericolare i suoi interessi più inviolabili. Si disse all' Italia, ed era il consiglio più perfido: Andate pure, la Francia non disfarà quanto ha fatto. Noi ris

ponderemo: Certamente, la Francia non può avere il pensiero di disfare la sua opera, ma v' ha qualcosa di più impossibile per essa, cice di lasciarsi disfare da coloro che essa fece. »

3. Il Menabrea, per rabbonire i Garibaldini, avea loro annunziato il proposito del Governo di sospendere, a guisa di rappresaglia contro la Franca, il pagamento della quota parte del Debito pubblico pontificio, che la Francia gli avea fatto accettare in adempimento dei doveri assunti colla Convenzione del 15 Settembre 1864. Le parole del Menabrea furono da noi riferite in questo volume a pag. 110. Questa risoluzione, improntata di perfidia e slealtà, raddoppiò l'indegnazione di quanti sono gli uomini onesti, e crebbe le ire della magnanima nazione francese. Il diario officioso la France, tra molti altri, se ne fece interprete col seguente articolo.

«È impossibile il non esser colpiti dal contrasto, che offrono al presente la condotta dell'Italia e le risoluzioni del S. Padre, rispetto al debito riguardante le antiche province distaccate dal Governo pontificio. L' Italia che percipisce le imposte di queste province, cerca nelle circostanze presenti un pretesto per sfuggire agl' impegni da lei sottoscritti. Ella sospende, ritarda il pagamento del debito pontificio. Dopo aver raccolto i beneficii, ripudia i carichi. Per quanto a noi riguarda ella si pone esattamente nella condizione di un uomo, che dopo essersi impadronito della proprietà altrui, vorrebbe liberarsi dall'ipoteca onde è gravata, e che costituisce la guarentigia dei creditori.

«Noi non chiediamo se questa condotta è leale. I nostri lettori hanno già risposto. Ma essa non è pure un errore politico? L'Italia meritò che il Governo del Santo Padre gli desse in faccia al mondo una lezione che è già per essa un castigo. Pio IX non ha voluto che la fiducia, che avevano messo in lui i creditori della S. Sede, fosse ingannata. Esso, lo spogliato, la vittima, il Capo di un Governo che ha perduto i quattro quinti del suo territorio e che vive in qualche modo oggidi dei soccorsi del mondo cattolico, ha considerato come un dovere di soddisfare, pel coupon scaduto, il debito trasferito all'Italia. Ieri ancora gli Stati che gli rimangono erano invasi, ed è all'indomani di questa colpevole aggressione che dice all'Europa: Se l'Italia manca alla sua parola, io manterrò la mia. Egli poteva credersi liberato, poichè altri godono della rendita delle province che gli furono tolte. Ma preferi pagare ciò che agli occhi del mondo non deve, anzichè lasciare n dubbio gl'impegni in cui la sua firma è rimasta come una guarentigia d'onore.

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Questa nobile risoluzione, accolta come doveva essere da tutti gli onesti, non fa che mettere viemeglio in rilievo tutto ciò che vi ha di deplorabile nella condotta dell'Italia. »

4. Alli 31 Dicembre l' imperatore Napoleone III ricevette con solenne pompa, che parve anzi straordinaria, il sig. Roberto Luigi conte von der Goltz, il quale, smessa la qualità di ambasciadore straordinario e ministro plenipotenziario della sola Prussia, ebbe a presentare a S. M. le nuove credenziali, per cui assunse carica ed ufficio di rappresentante della Confederazione dell'Alemagna settentrionale. Il sig. De Goltz parlò in questi sensi:

«Chiamato dalla Costituzione federale a rappresentare la Confederazione nelle sue relazioni internazionali, il Re di Prussia desidera vivamente di mantenere e sviluppare viepiù i rapporti di buon accordo e

di mutua fiducia tra la Francia e gli Stati confederati. Questo desiderio è nello stesso tempo conforme ai sentimenti di sincera amicizia, di cui il mio Re è animato verso la persona di Vostra Maestà. Gli ordini del Re mi presc ivono di adempiere in questo senso le mie funzioni. »>

L'Imperatore rispose: « Notificandomi le nuove funzioni di cui siete incaricato come rappresentante della Confederazione del Nord, voi volete rinnovarmi le assicurazioni d'amicizia del vostro Re. Ve ne ringrazio. Da parte mia colgo con piacere questa occasione per accertare il buon accordo esistente fra i due Governi, e pregarvi vogliate essere presso il vostro Re l' interprete de' miei sentimenti. Avendo potuto apprezzare le grandi qualità che vi distinguono, non dubito che continuerete, come per lo passato, a fare tutti i vostri sforzi, per mantenere fra i due paesi quest' accordo amichevole, che è pegno della loro prosperità, e una guaguarentigia per la pace dell' Europa. »>

5. Il di 1° Gennaio ebbe poi luogo il consueto ricevimento alle Tuileries, pel Corpo diplomatico, per le Camere, i grandi dignitarii dello Stato ed i rappresentanti del Clero.

S. E. il Nunzio pontificio, a nome del Corpo diplomatico, indirizzò alI'Imperatore questo complimento:

.« Sire. In occasione del nuovo anno il Corpo diplomatico vi presenta, per mio mezzo, il suo rispettoso omaggio. La felicità di Vostra Maestà, quella della sua augusta famiglia e la prosperità della Francia formano l'obbietto dei voti che ad ogni epoca dell' anno, ma in ispecie in questo giorno solenne, ognuno di noi è fortunato di offrire a Vostra Maestà imperiale. >>

L'imperatore, deludendo l'espettazione di molti, rispose con queste poche parole:

«Sono lieto d' incominciare, come sempre, il nuovo anno circondate dai rappresentanti di tutte le Potenze, e di poter esprimere ancora una volta il mio costante desiderio di conservare con esse le migliori relazioni. Vi ringrazio dei voti che fate in loro nome per la Francia, per la mia famiglia e per me. »>

Mons. Darboy, Arcivescovo di Parigi, presentando a S. M. l'omaggio del suo clero, parlò in questa forma:

« Sire. Io offro a Vostra Maestà gli omaggi rispettosi del clero di Parigi, e la prego d'aggradire i voti che formiamo per l'Imperatore, generoso sostegno del Santo Padre; per l' Imperatrice, provvidenza degli sventurati, dei poveri; pel Principe imperiale, speranza della generazione che ci seguirà. Iddio conservi Vostra Maestà! L' aiuti a mantenere nel mondo l'influenza della Francia, guarentigia di giustizia e di pace! Dia all'Imperatore d'assicurare nel nostro paese, colla legittima soddisfazione degl' interessi materiali, il progresso e il trionfo delle idee morali e religiose che formano la vera felicità dei popoli, la stabilità dei troni, la forza e l'onore di quelli che comandano e di quelli che obbediscono! >>

Ai quali voti l'Imperatore fu benigno della seguente risposta:

« I voti che indirizzate al cielo per l'Imperatrice, pel Principe imperiale e per me mi commuovono profondamente; essi partono da un cucre nobile. So che voi non separate gl' interessi della religione da quel li della patria e della civiltà. »

IL MONDO CATTOLICO

E

LA SOVRANITÀ PONTIFICIA

Ecco già omai nove anni che la guerra mossa alla Sovranità pontificia in Roma, sotto pretesto dell'unità politica d'Italia, dura ostinatamente la medesima. I suoi conduttori, coll'avvicendarsi dei casi, mutano bensì armi, non però variano propositi. Ma ecco altrettanti anni che il mondo cattolico, avvegnachè in mille guise impedito e contrariato da malvagi artifizii, propugna i diritti di questa Sovranítà, ultimo baluardo della libertà della Chiesa nell'universo, con una perseveranza di animi ed un conserto di operazioni, che mette in isgomento i suoi più appassionati nemici. Fresche e presenti alla memoria di ciascheduno sono le vicissitudini delle offese e delle difese in questa guerra, che nelle storie del cristianesimo non ha pari : e sarebbe di certo bello e fruttuoso lavoro l'illustrare la serie dei fatti e dei monumenti che, dal Giugno del 1859 al Novembre del -1867, hanno rendute le une per infamia e le altre per gloria immortali. Se non che l' infierire delle ultimissime offese alla detta Sovranità ha così fuor del solito rinfiammato l'ardore di cotali difese, che veramente porta il pregio di considerarne con qualche studio la forza, per poi dedurne conseguenze non già nuove, ma più chiare di quello che in addietro apparissero.

Il Santo Padre Pio IX, nell'allocuzione concistoriale dei 20 Decembre 1867, epilogando le straordinarie dimostrazioni che, a difesa Serie VII, vol. I, fasc. 129.

17

18 Gennaro 1868.

del suo trono assalito, si sono fatte e si vengon facendo per tutto l'orbe cattolico, ha così favellato :

«Mentre Satana e i suoi satelliti e figliuoli non cessano d'infuriare e d'inferocire in ogni più aperta guisa contro la divina nostra religione, contro noi e questa Cattedra di Pietro, e di tormentare i popoli di questa infelicissima Italia, nella massima lor parte a noi devotissimi, il misericordioso e benigno Signore con ammirabili portenti assiste la sua Chiesa, assiste noi e ci conforta col suo aiuto onnipotente. Per fermo, venerabili fratelli, tutti i vescovi del mondo cattolico, sempre più uniti a noi ed a questa Santa Sede con istrettissimo vincolo di fede e di carità, di una mente e di un cuore, or colla voce, or cogli scritti, non cessano di difendere la causa cattolica e con ogni aiuto soccorrere noi e questa Sede apostolica. Ed anche personaggi laici, nei grandi e pubblici congressi d' Europa, alzano la loro voce a difesa dei dritti della Chiesa cattolica e di questa Santa Sede, e a rivendicazione del civile Principato nostro e di questa stessa Sede. La qual causa di questo medesimo civile Principato, specialmente nel Senato e nel Corpo legislativo di Francia, fu testè splendidamente e magnificamente propugnata a voti pressochè unanimi, col plauso e colla gioia di tutti i buoni. I cattolici popoli poi, grandemente detestando l'abbominevole perfidia dei nostri nemici, con pubbliche e splendide dimostrazioni godono di manifestare la loro figliale pietà e venerazione a noi e a questa Santa Sede, e con continue largizioni soccorrere alle angustie nostre e di questa stessa Santa Sede; e i fedeli di ambedue i sessi, benchè poverelli, ci aiutano col loro danaro. E si trovano ancora, tra gli ecclesiastici e i laici, chiarissimi scrittori che colle loro opere, o facondissimi oratori che coi loro discorsi, anche nelle pubbliche adunanze, sommamente si gloriano di difendere sapientemente e diligentemente gl'inconcussi diritti della giustizia, della verità e di quest'apostolica Sede, e confutare le menzogne degli avversarii. Moltissimi personaggi poi, anche di nobilissimi casati, da quasi tutti i paesi e per impulso di religione, abbandonate le loro famiglie, ed anche le mogli e i figliuoli, concorrono a gara in questa città e, sprezzando tutti i disagi e i pericoli, coraggiosamente s'inscrivono tra i nostri

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