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Nell'altro modo si opina qui da molti che non si correrebbe alcun rischio: ammessi i notabili del paese a dare la buona testimonianza su' candidati, autorizzati, se tanto vorrà concedersi dalla Santa Sede, a prender parte ne' debiti modi alla formazione di una lista di soggetti idonei, il voto dei prelati cadrà sempre sopra individui ben conosciuti. I vescovi che devon portare il suffragio, son loro nazionali: come membri della comunità essi pure hanno con essa comuni gl' interessi di corpo. La supposizione astratta ed odiosa di un capo imposto per forza da Roma, non avrà mai luogo: e finalmente anche il Papa è comune padre, come tutti i cattolici sono suoi figli fedeli. Lo spauracchio delta influenza romana, di una dominazione straniera che s' ingerisca, ha cessato di far paura financo al Governo turco.

Sotto questa forma di governo veramente patriarcale gli armeni durereranno ancora de' secoli, e si fortificheranno ogni di più nelle loro istituzioni nazionali e nelle pratiche di quella fede che segnò in ogni tempo le epoche più luminose della loro storia. Essi rimarranno padroni di quelle somme, che furono destinate alla fondazione delle chiese, allo splendor del culto e al soccorso de' poveri, de' malati, delle vedove e degli orfanelli: le loro scuole riceveranno da' maestri che vorranno adoperarvi que' miglioramenti che il tempo domanda; ma i loro figli saranno sotto la sorveglianza della Chiesa preservati dalla corruzione nelle massime e ne' costumi che minaccia l'avvenire dell'attual società: e i beni che sono destinati a tali pii usi, perverranno nelle mani del bisognoso, nè si confonderanno mai colla massa comune per convertirsi, senza saputa dei padroni in macchine, telegrafi e strade ferrate; come pur troppo è avvenuto a quei paesi che spinti da insaziabile sete di libertà, han voluto cambiare la Chiesa collo Stato, il regime paterno col giogo di ferro de' municipii e de' ministeri. E basti finora di questa quistione, della quale mi accadrà dovervi scrivere altre volte.

2. Benchè nello stato presente delle cose, e con un' armata di occupazione di circa 40,000 uomini, la Porta abbia poco a temere per la sua dominazione nell' Isola di Candia; nondimeno finchè i montanari non avran deposte le armi, così come si trova il paese per l'emigrazione de' suoi abitanti, e l'invio di volontarii, d'armi e di munizioni, che la crociera turca non ha potuto o non ha voluto impedire, per precipitare la soluzione di ciò che oggi chiamasi la questione d'Oriente, non si può dire del tutto pacificato. I provvedimenti presi da Alì Pascià affine di rendere più accetta la dominazione turca per via di riforme e di concessioni favorevoli a' cristiani, non hanno avuto alcun risultato sopra la parte belligerante della popolazione. Componesi questa di 12 a 15 mila montanari armati; contro I quali si aprono nuove vie di comunicazione, si costruiscono de' blockhaus per tenerli in soggezione, e proteggere contro le loro scorrerie le popolazioni sottomesse, o che si danno per tali, della pianura e del littorale. Questa guerra rovina la finanza turca, già abbastanza smunta: e non di meno è fuor di dubbio che il Sultano a qualunque costo non consentirà giammai a ceder Candia a' Greci. Con questo non farebbe che incoraggiare le aspirazioni d' indipendenza, spontanee o suscitate delle popolazioni cristiane di Tessaglia, Epiro, Macedonia, per nulla dire dei Principati, e portare all' Impero e all' Islamismo un colpo fatale. Fuad Pascià l'ha detto, e non cessa di ripeterlo: Non vi ha che un secondo

Navarino, cioè un'alleanza di tutte le Potenze marittime contro di noi che possa operare tale conquista; e questa sarebbe già il primo passo allo smembramento del nostro Impero.

Prevedendo ciò che può nascere dallo stato di cose sconcertato e precario in Creta, volendo la Porta tenersi preparata ad un' aggressione manifesta dalla parte degli Elleni dall'un lato, e premunirsi dall'altro contro il pericolo de' sollevamenti che potrebbero eccitare gl' intrighi e le suggestioni della Russia presso le popolazioni Slave della Turchia europea; rinforza la sua armata regolare, chiamando alle armi le riserve, munendo i soldati di armi di nuova invenzione (fucili Snider) e arruolando milizie nazionali, pronte a marciare al primo segno. Dicesi che il numero di queste ultime monti a 180 mila uomini, Bosniaci, Albanesi, Bulgari, ecc. Gli altri preparativi di guerra si spingono in corrispondenza colla massima attività.

3. Due compagnie aventi a capo, l'una M. Van der Elst, l'altra il colonnello Stewart, hanno ottenuto in principio la concessione, la prima della rete della Turchia europea (Costantinopoli ad Andrinopoli e Belgrado, con diramazione da Enos e da Salonico ad Andrinopoli e a Hisch); la seconda della ferrovia di Bassora a Costantinopoli, che deve mettere in comunicazione il Golfo persico col Bosforo. Si discutono mentre vi scrivo le condizioni del contratto per ciascuna di queste due compagnie. La Servia che avea dapprima mosse delle difficoltà pel passaggio della strada ferrata a traverso il suo territorio, negando di guarentire il minimum degl'interessi, come vi si obbliga la Porta, è divenuta più docile alla conciliazione, e le negoziazioni tra questa Potenza e Van der Elst, interrotte a Belgrado, sono state riprese a Costantinopoli coll' Incaricato di affari Servio. Tutto porta a credere che i due irade, firmani del Sultano, che co cederanno definitivamente queste due grandi imprese, saranno emanati tra poco tempo; e che per lo meno i lavori che riguardano la via di Belgrado, cominceranno in Aprile prossimo.

GLI ODIERNI ARMAMENTI

OSSIA

LA FORZA SURROGATA AL DIRITTO

Lo spettacolo che più ferisce gli occhi e insieme più preoccupa gli animi di tutti oggidì, è l'attitudine bellicosa che prendono tutte le Potenze in Europa. Dappertutto si lavorano armi, si fortificano piazze, si allestiscono flotte, si discutono leggi militari, s'ingrandiscono in fretta i ruoli della milizia, si studiano nuovi strumenti di guerra, atti a mietere più vite in meno spazio di tempo. Così la Russia, la Prussia, la Francia, l'Austria, la Turchia, l'Inghilterra, i Principati Danubiani, e va dicendo degli altri Stati di second' ordino. Perfino il pacifico e pressocchè microscopico Stato pontificio è costretto a porsi in istato di valida difesa, innalzando fortificazioni, cingendosi di ripari, e allargando le file del suo piccolo esercito. Il più strano poi si è che mentre si operano tali cose, tutti i Gabinetti protestano e sacramentano che essi sono lungi le mille miglia dal minimo pen siero di ostilità, nulla avendo più a cuore che la conservazione della pace. Vero è che a tali proteste non c'è anima viva che creda, riputandosi arte fina di volpesca malizia, affine di cogliere l'avversario all' impensata. Tuttavia questo non toglie che quelle protestazioni si continuino a fare, con una profusione, che spesso sa del ridicolo. Pari all' attitudine minacciosa, è la diffidenza in che tutti i Governi si mostrano tra loro. Niuno osa stringersi in alleanza coll'altro; tutti Serie VII, vol. I, fasc. 432. 7 Marzo 1868.

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si tengono alla larga tra loro, e si guardano con sospetto reciproco. Quelli che ieri ti sembravano amici; oggi li credereste già in procinto di venire alle mani. Sapreste dirci per avventura con chi è unita la Francia? I giornali meglio informati ora vi dicono che coll'Austria, per opporsi ai troppi ingrandimenti della Prussia. Ora per contrario affermano che ella è unita appunto colla Prussia, per frenare le ambizioni dell' Autocrate russo. Lo stesso dite della Prussia, rispetto alla Russia, verso la quale non si sa se chiuda in seno sensi d'amistà o di livore. Lo stesso dell'Austria, che sembra ondeggiare tra la Francia e la Prussia, senza mai dichiararsi per l'una o per l'altra. Lo stesso dite dell' Inghilterra, che sembra guardare tutti gli altri Stati in cagnesco. Nulla diciamo dell'Italia, pronta già da un pezzo a vendersi al maggior offerente, senza credersi obbligata per questo a tenergli fede. Che significa ciò?

Si suol dire, che le Potenze, non costituendo tra loro vera società, per mancanza di un potere che stia sopra tutte per governarle, sono a vicenda nello stato di natura. Certamente apparisce ora chiaro che esse si trovano nello stato di natura; ma nello stato di natura, immaginato dall' Hobbes, quello cioè della scambievole guerra o almeno della scambievole diffidenza. L'una teme dell' altra; l'una agogna di sopraffare l'altra, e, dove il possa, ghermirla. Quindi si arma; e intanto non muove tosto all'offesa, in quanto non è sicura pienamente delle sue forze. È lo stato in che si trovano scambievolmente le diverse specie di bruti: pronti a predarsi a vicenda e a divorarsi, quando la fame gli stimola e le forze il consentono.

Anche nello stato di natura, o per meglio dire estrasociale (stato che sol per astrazione di mente possiam concepire) la condizione dell'uomo individuo non sarebbe la guerra, ma la pace. Imperocchè anche in tale stato egli sarebbe sospinto da sentimenti di benevolenza verso i suoi simili; e si sentirebbe astretto dal dovere di cercare per essi lo stesso bene, che vuole a sè stesso. L'Hobbes, per riporre lo stato di natura nella mutua inimicizia, fu necessitato a dire, che l'uomo, prima di entrare nella società, non si elevasse punto sopra il mero essere animalesco. In ciò egli fu logico, benchè romanziero. Ma supposto l'uomo, come dee supporsi, nella propria condizione

di creatura ragionevole, non si può non pensarlo colla cognizione della sua dipendenza da Dio, e quindi colla coscienza del dovere di conformarsi all'ordine da lui costituito nel mondo. Or, dove identica è la natura, identico è il fine, ossia il bene a cui essa tende. E però l'uomo, eziandio fingendolo fuori della comunanza civile, non può mirare i suoi simili, ossia quegli esseri, in cui la sua propria natura è come replicata, senza sentirsi tenuto, per seguire gl' intenti del comun Creatore, a portar loro quel rispetto che intende dovuto a sè stesso, e voler che conseguano quel medesimo bene, a cui egli sentesi naturalmente ordinato. Ecco l'idea di benevolenza e di scambievole amicizia, che nasce tra uomo ed uomo, in virtù della semplice ragione, prescindendo da ogni istituto positivo di convivenza. Quindi i veri filosofi riconobbero sempre, indipendentemente dalla società civile, una società, diremo così, umana tra gli uomini, per cui essi, sotto l'autorità di Dio, principe e signore di tutti, fossero tenuti ad amarsi ed aiutarsi scambievolmente. L'acquiescenza in quest' ordine, a cui l'ente ragionevole è inclinato e moralmente astretto ad obbedire, costituisce la pace.

Ciò che non si avvera nel fatto per gl'individui, i quali dappertutto nascono e vivono in società civile, più o meno perfetta, o vuoi anche incoata; si avvera pei diversi Stati politici, i quali non potendo per lo più unificarsi positivamente tra loro, attesa la diversità d'interessi, d' indole, di lingua, di costumi, di territorio, restano vicendevolmente dissociati, e, come suol dirsi, nel puro stato di natura, o per dir meglio nativo. Nondimeno supponendoli giustamente costituiti, non può fare che essi vicendevolmente non si ravvisino simiglianti nell'essere, eguali tra loro, quanto alla personalità giuridica, ordinati da Dio allo stesso fine, aventi i medesimi diritti, degni della stessa riverenza da parte degli altri. Fra loro se ci ha relazione (e come no, se sono in mutuo contatto su questa terra ?), essa, razionalmente parlando, non può essere altra se non di scambievole osservanza, e di scambievole aiuto, in ordine al conseguimento del proprio fine. Tal è l'idea che fu sempre professata nel mondo in civilito, massime dopo l'apparizione del Cristianesimo; e in que

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