(Se la sua prima origine si mira) Per suoi progenitori Inaco, Acrisio, E per patria ha Micene. A questo dire Stava nel suo proposito Latino Ognor più duro. E la regina intanto Più dal veleno era del serpe infetta: E già tutta compresa, e da gran mostri Agitata, sospinta e forsennata,
Senza ritegno a correre, a scagliarsi,
A gridar fra le genti e fuor d'ogni uso A tempestar per la città si diede.
Qual per gli atrii scorrendo e per le sale Infra la turba de' fanciulli a volo
Va sferzato paléo ch'a salti, a scosse, Ed a suon di guinzagli roteando E ronzando s'aggira e si travolve, Quando con meraviglia e con diletto Gli va lo stuol de' semplicetti intorno,
Inachus Acrisiusque patres, mediaeque Mycenae. His ubi nequidquam dictis experta, Latinum Contra stare videt, penitusque in viscera lapsum Serpentis furiale malum, totamque pererrat; Tum vero infelix, ingentibus excita monstris, Immensam sine more furit lymphata per urbem: Ceu quondam torto volitans sub verbere turbo, Quem pueri magno in gyro vacua atria circum Intenti ludo exercent: ille actus habena Curvatis fertur spatiis; stupet inscia supra
E gli dan co' flagelli animo e forza; Tal per mezzo del Lazio e de' feroci Suoi popoli vagando, insana andava La regina infelice. E quel che poscia Fu d'ardire e di scandalo maggiore, Di Bacco simulando il nume e'l coro
Per tor la figlia a i Teucri, e le sue nozze Distornare, o'n dugiare, a' monti ascesa Ne le selve l'ascose: O Bacco, o Libero, Gridando, Eüoè: questa mia vergine
Sola a te si convien, solo a te serbasi.
Ecco per te nel tuo coro s'esercita
Per te prende i tuoi tirsi, a te s'impampina, A te la chioma sua nodrisce e dedica.
Divolgasi di ciò la fama intanto
Fra le donne di Lazio, e tutte insieme Da furor tratte, e d'uno ardore accese Saltan fuor de gli alberghi a la foresta.
Impubesque manus, mirata volubile buxum; Dant animos plagae: non cursu segnior illo Per medias urbes agitur, populosque feroces. Quin etiam in silvas, simulato numine Bacchi, 385 Maius adorta nefas, maioremque orsa furorem, Evolat, et natam frondosis montibus abdit; Quo thalamum eripiat Teucris, taedasque moretur; Euoe Bacche, fremens, solum te virgine dignum, Vociferans; etenim molles tibi sumere thyrsos, 390 Te lustrare choros, sacrum tibi pascere crinem.
Ed altre ignude i colli e sciolte i crini, D'irsute pelli involte, e d'aste armate, Di tralci avviticchiate e di corimbi, Orrende voci e tremoli ululati Mandano a l'aura. E la regina in mezzo A tutte l'altre una facella in mano Prende di pino ardente, e l'imeneo De la figlia e di Turno imita e canta, E con gli occhi di sangue e d'ira infetti Al cielo ad or ad or la voce alzando, Uditemi, dicea, madri di Lazio, Quante ne siete in ogni loco, uditemi. Se può pietate in voi, se può la grazia De la misera Amata, e la miseria
Di lei, ch' ad ogni madre è d'infortunio, Disvelatevi tutte e scapigliatevi;
Fama volat, furiisque accensas pectore matres Idem omnes simul ardor agit, nova quaerere tecta. Deseruere domos, ventis dant colla comasque. Ast aliae tremulis ululatibus aethera complent, 395 Pampineasque gerunt incinctae pellibus hastas. Ipsa inter medias flagrantem fervida pinum Sustinet, ac natae Turnique canit hymenaeos, Sanguineam torquens aciem; torvumque repente Clamat; lo matres, audite, ubi quaeque, latinae. Si qua piis animis manet infelicis Amatae Gratia, si iuris materni cura remordet; Solvite crinales vittas, capite orgia mecum. Eneide Fol. II
Euoè; a questo sacrificio
Ne venite con me, meco ululatene. Così da Bacco e da le furie spinta
Ne gía per selve e per deserti alpestri La regina infelice, quando Aletto, Ch'assai già disturbato avea il consiglio Di re Latino e la sua reggia tutta, Ratto su le fosc' ali a l'aura alzossi; E là've già d'Acrisio il seggio pose L'avara figlia ivi dal vento esposta, A l'orgoglioso Turno si rivolse. Ardea fu quella terra allor nomata,
E d'Ardea il nome insino ad or le resta, Ma non già la fortuna. In questo loco Entro al suo gran palagio a mezza notte Prendea Turno riposo, allor ch' Aletto
Talem inter silvas, inter deserta ferarum,
Reginam Alecto stimulis agit undique Bacchi. 405 Postquam visa satis primos acuisse furores, Consiliumque omnemque domum vertisse Latini: Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem Acrisioneis Danae fundasse colonis, Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam Dictus avis: et nunc magnum munet Ardea nomen. Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis Iam mediam nigra carpebat nocte quietem. Alecto torvam faciem, et furialia membra
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