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base della critica e della storia dell' arte, i suoi cultori, quasi tutti direttori di raccolte estere, si spinsero alla ricerca del bello antico, sconosciuto o negletto, con tutte le loro forze, acuite dalla certezza di saper l'Italia ricca di tal nobile merce e bisognosa di permutarla in oro.

Cosí, presentemente siamo ridotti a tal punto, che è ben raro possa venir alla luce qualche nuovo cimelio, degno di accrescere il nostro numerosissimo ed inestimabile patrimonio artistico.

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Perciò con vero, grande piacere, abbiamo l'onore di annunziare per i primi ai nostri lettori una importantissima scoperta artistica fatta in questi giorni dal cav. Leo S. Olschki, proprietario di una delle principali librerie antiquarie d'Italia e d'Europa, e direttore di questa Rivista.

Il chiaro uomo, già da quattro anni circa, aveva avuta la fortuna di esaminare una antica rara edizione della Bibbia, in geloso possesso d'una vecchia nobile famiglia del Veneto, e vi aveva rinvenuti sei disegni, cinque dei quali egli con sicuro criterio attribuí súbito ad Andrea Mantegna o alla sua scuola.

Il cav. Olschki, perfettamente consapevole della grandissima importanza di tali lavori, s'offrí immediatamente di acquistarli, ma la famiglia posseditrice dei preziosi volumi, forse perché memoria storica di piú gloriosi tempi, od anche perché ne avesse intuito il valore, non volle venderli a nessun prezzo. Però, finalmente, a tanta distanza di tempo, grazie alla sua instancabile attività, ed all'altissimo prezzo che ne offrí, riuscí a diventarne il fortunato possessore.

Il racchiudere tali preziosi disegni non è il solo ed unico pregio dell'opera in discorso, che costituisce per sé stessa un rarissimo cimelio bibliografico, tipografico e storico. Ed eccone la ragione.

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Nella stamperia fondata in Magonza da Gutenberg e dipoi esercitata, cominciando dal 1455, da suoi sleali soci Giovanni Fust e Pietro Schoeffer, erano impiegati due operai tedeschi, Arnold Pannartz e Conrad Sweynheim. Quando nell'ottobre del 1462 Adolfo di Nassau prese e diede il sacco alla città, gli operai di quella officina si dispersero per tutta l'Europa, recando ovunque i benefizi della nuova arte. I due compagni sembra che dimorassero qualche tempo nelle vicinanze della città, poi consigliati dai monaci

benedettini di colà, che l'invitavano a recarsi nella protobadía di Subiaco, nella quale avrebbero trovato non pochi loro connazionali, eruditi e dotti, manoscritti in gran copia e specialmente la quiete desiderata, partirono per l'Italia e verso il 1463 o il 1464, fermarono i loro torchi nella famosa badia.

Questa fu la prima tipografia che venisse fondata nella penisola.

Le pubblicazioni non tardarono a cominciare con trecento esemplari, tutti scomparsi, del Donatus pro puerulis, a cui seguí il Lattanzio, De divinis institutionibus; Cicerone, De oratore, libri III, che è il primo libro a stampa in cui siano caratteri greci, ecc., ecc.

Nel 1467 il marchese don Pietro Massimo '), degno rampollo della antichissima e nobile famiglia romana, che tanto fece per gli studî e per l'agricoltura, che esercitò molti onorevoli officii, tra cui quello di membro dell'ambasciata spedita dal popolo al re di Napoli Ferdinando, in guerra con Sisto IV, chiamò i due tipografi tedeschi a Roma, nel suo palazzo, a stabilirvi un laboratorio tipografico.

Per sei anni i due compagni lavorarono di comune accordo, poi nel 1473, lo Sweynheim abbandonò il Pannartz, che coraggiosamente proseguí da solo l'impresa, sempre presso i Massimo, fino al 1476. Da allora non se ne sa piú nulla, e si arguisce che trovasse la morte durante la peste che in quell'anno infierí nella città.

Il primo dei due soci, lo Sweynheim, si diede ad incidere in rame carte geografiche per un'edizione di Tolomeo, che non condusse a termine, e che comparve solo nel 1478, coi tipi d'altro impressore. Par verosimile che anch'egli venisse rapito dall' epidemia del 1476.

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Questi due tipografi hanno acquisito una vera e grande benemerenza, ed un nome illustre nel campo della cultura e della storia della stampa, non solo perché furono i primissimi che introdussero questa nobil arte in Italia, ma ancora perché le opere da loro edite, risultano di grande importanza letteraria e religiosa, e son condotte con una bellezza ed accuratezza addirittura maravigliose. I caratteri sono magnifici, eleganti, (dello stesso tipo di quelli che adoperava Nicola Jenson nel 1470 in

1) Mori nel 1489.

Venezia, e che tanto lo resero celebre), buona la carta, l'inchiostro a vernice, non corrosivo.

Tra i volumi pubblicati durante il loro soggiorno nell' ospitale palazzo del munifico patrizio romano, che a loro molto deve della sua fama, ricorderemo le traduzioni di Erodoto, di Giuseppe, di Stazio, le lettere di San Girolamo, il primo volume delle quali vide la luce nel 1476 e il secondo fu curato da Giorgio Laver, dandoci cosí una delle piú sicure prove della morte del Pannartz.

Ebbene: tra queste opere, una colossale ve ne ebbe ancora, la Bibbia, coll' esposizione di Niccolò De Lyra.

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Questo illustre esegeta e teologo francese, chiamato Lyranus in latino, nato a Lyre presso Evreux nel 1270, e spentosi a Parigi il 23 ottobre 1340, era nato da genitori ebrei, e aveva per suo vero nome quello di Samuele. Nel 1291 s'inscrisse tra i Francescani di Verneuil, recandosi poco dopo a compiere gli studi in Parigi, ove divenne dottore e insegnò con gran plauso la Teología. Fu Provinciale del suo Ordine per la Borgogna, e nel 1325 la regina Giovanna di Francia lo volle tra i suoi esecutori testamentari. Conosceva assai bene il greco, e a maraviglia l'ebraico, e fin da giovane avendo cominciato a studiare e commentare i sacri libri, fu in grado di dettare, terminandolo nel 1330, un profondo e poderoso commento al Vecchio Testamento, che è la sua opera di maggior lena. E in che giusto concetto lo tenessero i suoi contemporanei, lo chiariscono, i due seguenti versi:

Et si Lyra non lirasset

totus mundus delirasset.

« È d'uopo consultar il De Lyra nei luoghi in cui trattasi di spiegare passi dell'Antico Testamento, e le cerimonie dell'antica legge. Egli si lascia addietro tutti coloro che hanno commentato prima di lui le Scritture, quantunque non riesca cosí bene nelle questioni di filosofia e teología » attesta Riccardo Simon.

Oltre le sue opere pubblicate, quali la suddetta Bibbia; De Messia (Venezia, 1481) e Tractatus de idoneo menstrate et suscipite sancti altaris sacramenti (Germania, xv secolo), abbiamo manoscritte Moralitates in IV Evangelia; Commentaria in IV Libros Sententiarum; Quodlibeta Theologica;

Tractatus de animac claustro (nella biblioteca di Oxford); Sermones, Destinctiones (nella biblioteca di Charleville); Concordantia Evangeliorum (nella biblioteca di Metz); Glossae (in quella di Saint-Omer); De tribus statibus ad perfectionem (in quella di Basilea); Epistolae (nell' altra di Bruges), ecc.

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La nostra Bibbia è conosciuta bibliograficamente sotto l'indicazione di Postillae perpetuae, sive brevia commentaria in universa Biblia, o di Postillae perpetuae in V. et N. Testamentum, o anche di Glossa ordinaria in S. Scripturam. Si compone di 9 parti in 5 grossi volumi in-folio grande. Il 1o, di fogli 450, venne pubblicato nel 1471, mentre gli altri quattro seguenti, uscirono in luce nel 1472, e reca in fine:

mina:

In domo Petri de Maximis Anno salutis

M CCCCLXXI. Die XVIII Nouebris.

Il 2o, di fogli 451, contiene da Esdra fino all' Ecclesiastico, e ter

In domo Petri de Maximis

MCCCCLXXII. die

XXVI Maii

Il 3°, di fogli 398, riporta da Isaia al secondo libro dei Macabei, e termina:

In domo Petri de Maximis Anno salutis
MCCCCLXXII. Die XIIII Januarii.

Il 4o, di fogli 234, contiene i quattro Evangelisti.

Il 5o, di fogli 290, il seguito del Nuovo Testamento, ed ha in fine:

In Domo Petri de Maximis
MCCCCLXXII. die
XIII Martii

Nel principio di questo ultimo volume è la celebre epistola indirizzata da Giovanni Andrea, bibliotecario vaticano, a papa Sisto IV, epistola da cui chiaramente si deduce che la nuova e malagevole industria dei valenti tipografi, nonostante tutta la loro coraggiosa iniziativa, nonostante la buona volontà e lo splendore delle edizioni, non prosperava davvero, talché non

sapevano letteralmente come andar piú innanzi. E il Pontefice, conscio della grande opera dei due tedeschi in pro della cultura, liberalmente li soccorse. Ma quel che rende di altissimo valore per la storia della stampa questa lettera, tanto da far aumentar il pregio della Bibbia che la contiene, è il compresovi elenco dei libri che gli stampatori di Magonza pubblicarono dacché erano venuti a stabilirsi in Italia, cioé dall'anno 1465 al 1472, con allato il numero delle copie tiratone. Sappiamo cosí che prima della stampa del Nicolò De Lyra, essi avevano dato alla luce ben 27 opere, formanti un totale di 12.475 volumi.

A proposito del numero d'esemplari della nostra Bibbia, l'elenco termina nel seguente modo: Nicolai de Lyra volumina Mille Centum MC. Indicazione che dovrebbe sembrar chiara, eppur non è, perché se alcuni bibliofili intendono doversi leggere 1100 esemplari completi, vale a dire 5500 volumi, altri affermano doversi ritenere pubblicati 1100 volumi, cioè 220 esemplari completi. La questione è abbastanza ardua a definirsi; e in quanto a noi, siamo piuttosto del secondo parere.

Questa edizione è rarissima (ciò che convalida il nostro parere), e molto difficile a rinvenirsi completa e ben conservata. Su tal punto tutti gli studiosi si trovano perfettamente d'accordo ').

Quanto al rinvenirsene copie in commercio, ed al prezzo attribuito, se il Brunet) ne cita esitate alla vendita Soubise per 170, alla BrienneLaire per 201 e a quella Boutourlin per 112 franchi, noi notiamo che mancava nella vendita all'asta delle famose biblioteche Sunderland, Hamilton, ecc., che da dieci anni non ne comparve in commercio alcun esemplare, e che quindici anni or sono una libreria di Berlino ne offrí in vendita un esemplare incompleto per 10.000 marchi (13.000 lire circa) e che la Casa libraria di cui il chiaro cav. Leo S. Olschki è proprietario, ne cedette, un decennio fa, una copia mancante di ben due volumi ad un libraio londinese per 200 lire sterline (5400 lire).

Ed è naturale; poiché, ripetiamo, ci troviamo dinnanzi ad un'opera delle prime stampate in Italia, dalla primissima tipografia, primissima per tempo e celebre anche per la ricchezza dei lavori suoi; un'opera che riproduce e propaga le riflessioni scritte sul Testamento da un tale e

1) DE BURE, Bibliographie instructive ou traité de la connoissance des livres nares et singuliers. Paris, 1763, vol. I, pag. 131 sub n.o 119: « Ouvrage regardé comme le premier commentaire qui ait été imprimé sur l'Ecriture Sainte. Les exemplaires en sont rares et difficiles à trouver bien conditionnés. > 2) Paris. Didot, 1862. Tomo III, pag. 1255.

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