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V

tale che chi non n'abbia notizia non riesce a ravvisarli facilmente, nel margine i nomi loro sono trascritti e riportati per intero, con l'indicazione del casato e spesso della paternità o del luogo di nascita, quasi a loro dichiarazione: il che è naturale facesse l'autore stesso, come quegli che sapeva quali personaggi intendesse significare, e poteva dubitare che in qualche modo intorno ad essi accadesse al lettore di rimaner incerto. Cosí c. 1' l'Insubrum extorrem dominumque ducemque Sfortigenam è dichiarato: << Maximilianus sfortia », e a c. 3" lo Sfortiada « Lodo. Sfor. »; a c. 6 il Manfredus esimio fra i giovani di Parma è dichiarato « Manfredus pallauicinus »; c. 8° un Busyris significa « Petrus Busius »; c. 21' un Ambrosius scurra nel margine risulta « Ioannes ambrosius »; c. 40' un Mercurius ha la nota « Mercurij Paleologi excursio »; c. 51° al Tiphernatis populi dominator è apposta la dichiarazione « Vitellus tiphernas », e ad un Aeneas, nulla non laude superbus questa: « Aenea Equitis mantuanj mors indigna »; c. 68' un Masinus è dichiarato « Iacobus Masinus Cesennas » e « Demetrius Epirota » un Demetrius; il Mancinus a c. 69' è « Mancinus mignonus peditatus ductor »; il Jacobus Marius Sfortiada alumnus a c. 77' è « Iacobus Marius Cayacensis Jo. Sfortia alumnus Eques »; a c. 88° apostrofando l'autore un Carole, doctiloqui numeros imitate Catulli, spiega nella nota che si riferisce a un « Carolus Agnellus », come rivolgendosi ad un Luysi, ad un Portu « anima a teneris nostræ pars intima », ad un Calandra, ad un Bardelon «graiorum adiens penetralia raris Nota italis », dichiara di riferirsi rispettivamente a << Luysius Ioannispetri gonzaga filius», a « Benedictus Portus », a « Ioannesjacobus Calandra », a « Jo. iacobus Bardelonius »; a c. 90" nei versi « Hic et Auos, et auorum Atauos: et originis omnem | Gonzaga seriem Gentis: maternaque pingi | stemmata; et Augustos Auiæ de sanguine Reges | Jussit, etc. » significa, secondo spiega l'annotazione, « Margarita Bauariensis Francisci Mater. Federici uxor » e « Barbara brandeburgensis Lodouici vxor. Federici mater »; a c. 93° il « leuium Luciascus Equorum Ductor » è « Paulus Luciascus veronensis vir fortis uaferque »; a c. 105 il Suardus ricordatovi è « Franciscus cognomento Suardinus », ed il Mario è « Marius Equicola», ecc., ecc.

Ma il codice è da considerarsi anche autografo, ossia scritto di mano dell'autore stesso, il quale forse aveva con esso preparato un esemplare del suo poema da presentarsi al personaggio, cui lo dedicava, immaturamente mancato ai vivi. Ne sono non dubitabile argomento, più ancora che la annotazione sopra riferita intorno all'Augustinus de flumine, il carattere

generale della scrittura, le emendazioni e correzioni fatte, dalla stessa mano, qua e là, la sostituzione di voci sovrapposte ad altre erase, le aggiunte cosí di vocaboli omessi nella trascrizione come di versi, ecc.; insomma quel complesso di fatti e di indizii, che valgono a far distinguere l'autore da un semplice copista: almeno non v'è argomento se l'esame dili

gente fattone non m'ha ingannato per supporre il contrario. Né del resto è lecito congetturare che il poema abbia avuto per avventura piú d'una o due trascrizioni, quando si consideri sotto qual fitto velo è giaciuto per lungo tempo dimenticato, tale che persino del suo autore andò fino allo Zeno ignorato il nome. Correzioni autografe ricorrono, ad esempio, a cc. 2' (la sostituzione di uulgi quem credidit error ad un emistichio eraso), 5' (di Cerbeream la parte Cerbere è sostituita alle tre prime sillabe di un vocabolo che cominciava con T, evidentemente Tartare[am]), 23" (hac inserito fra tacita prece per maggior efficacia, senza esser richiesto dal metro), 31 (cumulata iubent per iubent cumulata), 34° (Abraam per Abram), 36' (Bebriaca per Bebria), 36" (denso per facto dopo agmine), 44 (necdum), 47° (ergo per erga, sfuggí a c. 47' un robore detræ), 50 (tentet), 51" (meditantis sostituito di prima mano, durante la trascrizione, ad un meditati), 52′ (reuocandus per reucandus), 55′ (hæc inserito dopo hosti in principio del verso), 58 (victoribus con la sostituzione di victori ad elementi indecifrabili), 71o (aram inserito dopo meditati nel verso Hæc secum meditati quæ proxima surgit, cancellato un ad in fine di esso e sostituito accedunt nel principio del seguente ad un verbo che terminava pure con dunt), 78° (Admissus sostituito ad Ingressus), 97 (tremens aggiunto dopo turba nel 1° verso, e trepidos dopo instant nel 3°), 104 (Hunc per Tunc ed illi per ille), 108" (immutabile per mutabile), 109* (exponere, dove la parte ponere è in rasura sostituita ad altra illeggibile), ecc., ecc.

Alla mano, che al titolo o dedica appose la inutile dichiarazione « Da Andes cioue da Pietolo, ecc., », si deve qua e là la ripetizione in margine di alcuno dei lemmi, talora volgarizzato, ma di nessun interesse. Qualche altra annotazione di mani diverse riscontrasi nel codice, che è ozioso riferire, essendo destituite di qualsiasi valore: va però fra esse ricordata la mano d'un possessore del volume, probabilmente di quell'Annibale degli Abati Olivieri, il dotto illustratore dei Marmora Pisaurensia, cui scriveva lo Zeno senza ch'apparisse mai se fosse informato del vero argomento del «< Poema istorico » ritrovato a quella si devono appunti più specialmente cronologici, come: 2 « anno 1513 » aggiunto

alla nota originale « Leo. medices creatus Pont. Max. »; 4° « anno 1519 » aggiunto alla nota originale « Maximiliani Cæs. Aug. mors. & belli causa »; 15* « nominatus fuit Federicus Dux copiarum Pontificis. 11. xbris 1520»; 18 « Aprilis 1521. incipit obsidio Parma a Gallis»; 23 « animosior » sottoscritto al compendio della voce stessa; 40* « nunc Caneto, sed potius Calvadone erat vetus Bebriacus », apposto alla nota « Ad Bebriacum vicum castrametatio »; 41′ « nunc Ostiano dictum » (apposto ad « Hostiliani Arcem » del testo); 53° « teste Mario Equicola evenit 1522» apposto alla nota originale « Papiæ deditio »; 64′ « mors Leonis X evenit anno 1522. Successit Adrianus VI», ecc., ecc. Analoghe sono le due annotazioni in matita, che leggonsi nel margine delle cc. 41 e 42', cioè: « Mattheus Schinerus Episcopus Sedunensis partes Maximiliani sequitur contra Lodovicum XII et Franciscum I reges Galliae » e « Mattheus Schinerus mortuus in Conclavi ante electionem Adriani VI». Del resto, chi via via fu in possesso del volume, non sempre n'ebbe la debita cura, ma lo abbandonò in mano a gente rozza, forse anche a fanciulli, che di tale. negligenza lasciarono eloquente documento con gli sgorbi ed i grossolani disegni onde deturparono, oltre i risguardi, le cc. 16, 32′ e 32", 45", 46", 46, 76', 94", 94° e 110', e talora anche con prove di penna, prove di calcoli aritmetici, appunti, frasi rimaste in sospeso, ecc. (c. 16° « gia bianche damedene », ecc.; cc. 28', 31′, 32o e 32°, 46′, 62ˇ; 94° « per la soma bontà di Dio siamo arivati anche in quest'anno li 2 febbraio », ecc., « Pozzi Luigi », ecc.). E in verità, nel ricordo sopra riportato dell'Amadei Federigo non si legge forse come il poema tratti di « vari Uomini illustri Mantovani Poeti », mentre ciò non essendo che in una brevissima parte d'un solo libro, ne risulta una prova che il poema stesso dovette da lui esser stato letto molto superficialmente?')

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In fine, per compiere e terminare questa omai troppo lunga descrizione, va avvertito che nel margine inferiore della c. 1' sono visibili le tracce d'un timbro ad olio in forma d'elisse: la dicitura non è ben leggibile, non essendo riuscita impressa la parte interna di detto timbro tuttavia inferiormente sembra sicuro il nome CAVRIANI, che si riferisce indubbiamente ad uno della famiglia Cavriani sopra ricordata.

1) La sola annotazione marginale, che sembri dovuta a questa mano, è quella che leggesi a c. 15* « Cunabula Auctoris ».

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Il poema, distinto in 7 libri o canti, consta di ben 4233 esametri, ') scritti in un latino scorrevole, elegante, né senza estro e vigore (in ispecie nelle descrizioni de' combattimenti, delle devastazioni delle terre prese d'assalto, ecc.), e naturalmente con molte reminiscenze classiche, tra le quali ne va notata alcuna prettamente lucreziana. In complesso il giudizio dello Zeno coglie nel vero, in particolare quand' egli osserva che il Benevoli ha più di quello di Stazio che di Virgilio, dal quale certo è tanto lontano, che non n'è possibile un'equa comparazione.

I due principali personaggi sono Federigo da Gonzaga signore di Bozzole o Bozzolo, figlio di Gianfrancesco e di Antonia de Baux, e Federigo da Gonzaga, quinto marchese e poi primo duca di Mantova, figlio di Giovanni Francesco II e di Isabella d'Ercole I d'Este (1500-1540), principe il quale « nella magnificenza degli spettacoli, delle feste teatrali, e delle sontuose fabbriche superò di gran lunga tutti i suoi predecessori, e appena lasciò speranza a' posteri di poterlo uguagliare », scrisse il Tiraboschi, che però non giustamente ne tacque i meriti guerreschi. Attorno ad essi si aggruppano variamente personaggi minori (sebben non sempre storicamente inferiori, quali Prospero Colonna, il Lautrech, ecc.), in parte dei Gonzaga anch'essi, e si svolgono gli avvenimenti, che via via mettono in evidenza il valore, il senno, la prudenza, gli accorgimenti dei protagonisti. Questi combattono in campi opposti, valorosi campioni in quelle miserande lotte per la successione dell'impero, contesa a Carlo V da Francesco I, delle quali fu fatale teatro piú specialmente l'Italia settentrionale; e tuttavia il poeta riesce a ritrarceli in una giusta luce, senza taccia di soverchia parzialità.

Ma gioverà, meglio che ogni considerazione, riferire in breve riassunto l'argomento del poema, da nessuno fino ad oggi esposto, perché se ne possa avere un' adeguata idea.

Lib. I del MONUMENTUM GONZAGIUM.

Gonzagium Monumentum

Pontificum in Gallos Iuli, Medicisque Leonis
Coniurantum animos: Augusti Cæsaris arma,

1) Libro I, cc. 1-16, vv. 629; lib. II, cc. 17"-32", vv. 610; lib. III, cc. 33'-45', vv. 507; lib. IV, cc. 47′′-62, vv. 624; lib. V, cc. 63′-76′, vv. 542 (di cui 2 apposti in margine, cc. 65o e 75′′) lib. VI, cc. 77-94", vv. 691; lib. VII, cc. 95'-110, vv. 630.

[f. 1]

Concussam uario atque diu luctamine Parmam,
Insubrum a Gallis ad sfortia sceptra recaptum
Imperium, Marij1) in patriam redeuntis honores,
Ruera quo pariter Domus et Gonzaga superbit:
Pontificem insolito (Patrum haud sine crimine) ritu
Suffectum absentem sacræ ad fastigia sedis:
Et tandem Italiæ profugos a limine Gallos:
Vnde tue attollant se se primordia laudis,
Aggredior, Federice. Ausis ingentibus adsit
Dexter, et aspiret, Vatum qui gorgonis unda
Ora fouet, cingitque caput Parnaside lauro.
Vos quoque Mintiades Musa, ut fauistis Alumno
Cui tuba Maonij assurgit superata cothurni,
Et mihi partem aliquam sacræ decerpere frondis
Annuite, Andinis quando mersarier undis
Contigit et me olim, celebresque adolescere ad aras.
Quippe onere in tanto trepidat mens territa, et impar
Materia atque operi, uastum ceu cimba per æquor
Fluctuat; at dici mauult temeraria et audax
In sua damna tamen, quam non bene grata uideri
Si Domini tot congressus, tot et inclyta facta
Prætereat, patriumque Decus celebrare recuset.
Hic longa se se ambages, exordia longa

Ostentant. Sed, uel memoret uestrum una Sororum
Præuiaque in felix uotum in molimina tanta
Monstret iter, uel sola notans compendia rerum,
Crediderim potuisse aliquid, uel Apolline dignum.

Questo l'esordio. Riassunto quindi lo stato dell'Italia alla calata di Francesco I « per loca vix ullis mortalibus agnita, qua non | Annibal aut dirus cimber ductare cohortes | Ausus erat », narra il poeta brevemente la cattura del generale dei collegati, Prospero Colonna, la battaglia di Melegnano e la sconfitta degli Svizzeri, l'accordo tra Francesco I e il successore di Giulio II che « Italiæ assertor spesque una ruentis Barbarico Latium seruire furori | Impiger ultra Alpes Gallos detruserat armis | Victor »; donde la speranza d'una pace duratura. Ma ecco la morte di Massimiliano, per la quale Francesco aspira all'impero, mentre gli Elettori lo conferiscono a Carlo re di Spagna (Carlo V): donde di nuovo la guerra. Marte e Bellona scatenano dal Tartaro i dèmoni della discordia stimolandoli ad irritare e provocar gli animi: cosí per loro invito l'orribile Megera corre dal Pontefice e con artificiosi argomenti, col ricordo della

1) Francesco Maria della Rovere, Duca di Urbino.

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