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tonat mens enthea Vatis » le gesta del Marchese di Mantova e de' suoi illustri compagni. Ora l'Equicola morì, com'è noto, il 26 luglio 1525: laonde la composizione del Monumentum Gonzagium non è certo posteriore a questa data ').

Dell'autore, oltre a quelle scarse notizie, che si traggono da alcuno de' passi riportati, qualche altra si può ancora raccogliere da altri luoghi del poema, dove incidentalmente egli accenna a sé stesso o a personaggi, con cui ebbe rapporti, o alla patria sua. Ma, com'è la natura del poema epico, nel quale l'autore sparisce, e dominano i fatti e i personaggi intorno ai quali si aggira la narrazione, poco è quello che se n'apprende. Tuttavia anche di questo poco è bene tener conto, data la scarsezza delle notizie che si ha di questo poeta: intorno al quale è così singolare come profondo il silenzio di quanti trattarono de' letterati, che furono l'ornamento della Corte di Mantova, o che con la Corte di Mantova ebbero relazione.

Che il Benevoli fosse di Andes, lo afferma la dedica del poema, e lo ripete il passo qui riportato a pagina 155: un'altra volta ancora se ne trova l'attestazione, nel Lib. VI (c. 88') dove, ricordando Virgilio, scrive: « Sibi texuit olim | Hinc meus Andinas uiridanti ex fronde coronam »). Dal lato materno fu consanguineo suo un Hieronymus « Archarius», del quale fa cenno nella « Suburbij Portuensis descriptio» (Lib. VI, c. 87'): « Hic ubi materno mihi sanguine iunctus, equestri | Archarius titulo insignis, selectus in omnem | Curam urbis, Federice, tuæ, sublimia tecta | Erexit.... » con la nota marginale, di mano dell' autore: «Hiers Ar

charius ».

Insegnò: non consta se abbia tenuto propriamente scuola 3), ma certo suo discepolo fu il celebre nipote di Antonia de Baux, Luigi di Lodovico

1) Non consta se l'Equicola abbia soddisfatto questo voto del Nostro, che non può riferirsi alla Cronica di Mantova, stampata fino dal 1521. A questo proposito si potrà osservare che il 4 febbraio 1520 il Marchese gli concedeva la castellania di Canedolo perchè potesse riposarsi et ad annales nostros conscribendos redire. (LUZIO-RENIER cit., pag. 13). Queste parole « annales nostros» dovranno riguardare la detta Cronica, interpretando nostros per i Gonzaga complessivamente, o non si riferiranno ad una storia, forse poetica, che l'Equicola avesse lasciato sperare all'ambizioso Federigo intorno alle sue imprese (quella appunto cui alluderebbe il Benevoli), per quanto fosse il Marchese ancora molto giovane ?

2) Di Andes un'altra menzione ricorre nel Lib. I (c. 15) dove narra delle truppe raccolte dal Marchese di Mantova « qua late extra urbem campus patet, undique Minti | Cinctus aquis Anden propter, qua Tytirus olim | Ocia faginea recubans captabat in vmbra ».

3) Stefano Davari nelle Notizie storiche intorno allo Studio pubblico ed ai maestri del secolo XV e XVI che tennero scuola in Mantova, ecc. (Mantova, eredi Segna, 1876) non ricorda per nulla il nostro Benevoli, essendogli sfuggito quanto qui sopra esponiamo, attestato già dall'Affó op. cit. pagine 32-33.

Gonzaga detto Rodomonte; perché nel Lib. III (c. 38'), ricordandolo fra i nipoti (soboles Lodouici pulchra) di quella « Horum autem primus sub Cæsare militat, inter | Selectos Proceres Aluysius, alter Achilles | Seu pedes insurgat gladio metuendus et hasta | Seu eques in densos ruat imperterritus hostes » ecc., aggiunge:

« At quom sepositis paulum requieuit ab armis
Assiduus musarum hospes, uiridantis in umbra
Frondis apollinea defessos irrigat artus,
Gorgonei fontis uenas aperire latentes

(Quo, duce me, quondam sitientia proluit ora)
Gaudet, et ignotos alijs penetrare recessus 1) ».

Di due de' suoi amici trovammo fatto cenno: d'uno (ossia di Augustinus de flumine medico insigne) nel Lib. V (c. 64′; « celer arte Machaon! Augustus medica meus et Podalirius alter »); dell'altro (ossia di Benedictus Portus « animæ a teneris nostræ pars intima ») nel Lib. VI (c. 88'), fra i poeti onde andava ornata la Corte Mantovana. Di altri non si ha menzione; invece sono ricordati di proposito due personaggi, verso i quali Giovanni Benevoli doveva sentirsi molto obbligato, dichiarandoli nelle annotazioni l'uno « patronus benemeritissimus », l'altro « patronus rarissi

Il primo fu « Lodovicus Episcopus Mantuæ, Lodovici Principis Mant.orum filius) », del quale nel Lib. V (c. 69') leggesi:

« Atria regali quondam celeberrima pompa

Dum uixit mitra insignis Lodouicus et omni
Præclarus uirtute animi sceptroque paterno

Cui luctum et lachrymas debes, mea Musa, perenne ».

1) Come osservavo testè, già l'Affò, sulla scorta del Monumentum Gonzagium, stabiliva (pagine 32-34) che precettore di Luigi detto poi Rodomonte fosse stato il Benevoli o Buonavoglia. Anzi aggiungeva (pag. 33): « Il Buonavoglia dopo avere alcuni anni tenuto nella città medesima [Pesaro] la cattedra di eloquenza, e dopo essere salito all'Arcidiaconato di quella Cattedrale, in cui trovossi pure l'anno 1511, come costa da una Bolla di collazione fatta dal detto Capitolo di una Chiesa di sua dipendenza notificatami dal dottissimo Cavaliere già nominato [Annibale Olivieri], venne indubitatamente l'anno appresso ad ammaestrare Luigi. Ciò manifestasi da una lettera originale di Francesco Facio Dottor di Leggi scritta da Modena il giorno 15 d'aprile del 1512, nella quale indirizzando una sua satira latina al giovinetto Luigi, che non aveva compiuto l'anno duodecimo, soggiunse: Si degnarà V. S. mostrar la presente a M. Zoanne Bonavoglia, qual prego correggia essendo da correggere, al judicio del quale semper in similibus me rimetto », ecc. Qui va avvertito che l'Affò lo chiama Buonavoglia perchè (pag. 32) in un « Rogito di Gioanni Germano, per cui il giorno 2 di Gennajo del 1499. i Canonici di Pesaro, tra quali il B. era stato aggregato, confermarono l'affitto di certe terre a Girolamo Ondedei, nelle sottoscrizioni.... vedesi questi chiamato D. Joannes Bonavolius Mantuanus, siccome io medesimo potei l'anno scorso osservare in un libro appartenente a quel Capitolo [Libro segnato C cart. 365], che fortunatamente si trovava alle mani del soprallodato Signor Olivieri », ecc.

2) Lodovico figlio di Lodovico Gonzaga e fratello del cardinale Francesco, ebbe la sede di Mantova verso la fine del 1483 e mori nel 1511 (Ughelli It. sac. I, 941 B).

Il secondo fu« Ioannes Sfortia Constantij filius Pisaurensium Princeps », di cui al principio del Lib. VI (c. 77') il Benevoli scrive: « Qui moriens luctum æternum, sine fine dolores, Anxietatem animi nobis Patriæque reliquit:

Dignus qui pilij superaret nestoris annos.

Heu, nostræ pars magna anima, pars optima vita
Ante diem immiti Parcarum lege perempta.

Sed lachrymis locus hic male conuenit. Illius olim
Virtutem et benefacta canam, modo uita supersit
Longius, ut meritis referat sua præmia saltem

Musa, memor longi hospitij gratique fauoris

Atque opis in multos collata impensius annos ».

Visse il Benevoli tanto, da aver potuto mantener la promessa qui fatta, di cantar cioè dei meriti e delle virtù del suo patrono Giovanni Sforza Signore di Pesaro? Le ricerche nostre non ci hanno condotto ad alcun risultato. Indaghi altri, con miglior fortuna. Certo sarebbe stato interessante e curioso vedere in qual modo sarebbe egli riuscito ad esaltare la poco nobile figura del non fortunato marito di Lucrezia Borgia'), come Signore di Pesaro accusato di mala fede e crudeltà: tanto più che, nonostante la dignità sua ecclesiastica, usa il Benevoli nel nostro poema una non ordinaria libertà di espressione sia quando dipinge l'animo irresoluto e poco sincero di Leone X, sia quando ricorda i vizii che deturpavano sozzamente il Sacro Collegio al tempo dell'elezione di Adriano VI.

Infine, che Giovanni Benevoli fosse Arcidiacono nella città di Pesaro, dal cui Signore, ora ricordato, riconosceva cosí affettuosamente e longum hospitium e gratum fauorem e opem collatam impensius in multos annos, l'abbiamo visto dichiarato da lui stesso nella dedica del poema2). ENRICO ROSTAGNO.

1) Giovanni Sforza, figlio naturale di Costanzo, la sposò in seconde nozze il 12 di giugno 1493. Mori nel 1510 in Gradara nel Pesarese. Il Nostro ne sarebbe stato Segretario o Cancelliere, secondo la testimonianza dell'Annibale Olivieri all'Affò (op. cit. pag. 32), « d'aver veduto diplomi di Giovanni Sforza, sin dall'anno 1489, sottoscritti dal Buonavoglia » .

2) Per la conferma di questa notizia, cfr. pag. 167, nota 1). Altre notizie sul B., promessemi da Pesaro e chieste anche a Mantova, speravo in verità di poter qui aggiungere, e più specialmente sull'esistenza di alcun altro esemplare del suo poema. Ma dopo oltre tre mesi di vana attesa, debbo rinunziarvi e lasciare ad altri di compiere queste ricerche.

UN MINIATORE DEL SECOLO XV

IL L p. Ireneo Affò nelle « Notizie intorno la vita e le opere di Basinio Basini» (Basinj Parmensis Poetae Opera Praestantiora, Rimini, Albertini, 1794, tom. II, pag. 33) ricorda un codice dell' Hesperidos del Basini « ornato di miniature superbe » per mano di Giovanni da Fano. Questo codice era stato donato nel 1499 da Carlo di Roberto Malatesta al cav. Francesco Capello provveditore in Rimini per la Repubblica di Venezia, e l'Affò ne ebbe notizia dall'abate Mecier che l'aveva visto fra' libri, che poi andarono venduti, del barone di Heiss. Io non so dove ora si trovi e se piú si trovi questo unico monumento del miniatore fanese e sarei ben lieto se qualcuno sapesse indicarmelo o mi sapesse dire se esistono altri lavori suoi. Allora, se la indicazione riportata dall'Affò Op. Ioannis Pictoris Fanestris non fosse completa o si trovasse piú completa in altri lavori, potremmo avere notizia del suo nome di famiglia e forse convertire in certezza il dubbio sorto in me che egli possa essere tutt'uno col Giovanni Bittino o de' Bettini da Fano celebrato come pittore dal poeta riminese Roberto Orsi che visse fin verso la fine del secolo XV.

L'epigramma dell' Orsi che contiene un elogio forse poeticamente esagerato della valentía dell'artista, fu citato dal comm. Luigi Tonini (Di Bittino e della sua tavola in S. Giuliano. Bologna, Monti, 1864), per dire che il Giovanni Bittino iyi lodato era diverso dall'altro Giovanni Bittino autore della tavola illustrata da lui tuttora esistente nella chiesa di San Giuliano di Rimini il quale era nativo di Faenza. Io posso riprodurlo integralmente mercé la cortesia del signor cavalier Carlo Tonini Bibliotecario della Gambalunghiana di Rimini che gentilmente volle farne ricerca nella collezione degli Scrittori Riminesi fatta dal canonico Zeffirino Gambetti (Manoscritti in ordine alfabetico, lett. V).

De Iano Fanestri pictore

Bittinij digitis opus hoc memorabile Iani
Ingenio veteres vincit et arte novos.
Candida compositis delubra coloribus ornat,
Patricios tantum Caesareosque Lares.
Effingit veris quaecumque simillima rebus,
Et rerum arcanos explicat ipse modos.
Iratum fugies inter pineta leonem,

Hirsutos timeas per juga picta sues,
Jurabis trepidare feras, et currere cervos,

Stare domos, variis prata virere comis,
Latrantesque canes, et surda audire virorum

Verba, vel umbrosi surgere fontis aquas.
Quin te te in parvis modo dixeris esse tabellis
Usque adeo doctas possidet ille manus.

Inclyta piceno quaesita est gloria Phano;

Unde genus noster nobile Ianus habet.

Dopo lettolo rimane il dubbio se qui si parli di un pittore di stanze o decoratore come ora si dice, ovvero di un miniatore: il secondo distico farebbe pensare alla prima ipotesi, mentre le parvae tabellae del settimo conducono necessariamente alla seconda.

La famiglia Bettini oriunda di Firenze trovavasi in Fano al servizio de' Malatesti fin da'primi anni del secolo XV. Giovanni Bettini da Firenze era depositario negli anni 1401-1405. Furono pure depositari in Fano Andrea, Lorenzo e Bernardo, e referendario a Brescia Domenico, tutti figli di Nanne o Giovanni Bettini (ZONGHI, Repertorio dell'antico Archivio Comunale di Fano, Ivi, Tip. Sonciniana, 1888, passim). Forse da uno di questi nacque il pittore, se pure non fu quel Giovanni di Bettino de' Bettini da Fano abitante in Iesi che sposò nel 1466 Michelina Metelli da Pesaro (OLIVIERI, Della Patria della B. Michelina, ecc. Pesaro, Amati, 1772, pag. LX). Ma se Giovanni era stabilito a Iesi, come poteva lavorare pe' Malatesti a Rimini? Volendo entrare nel campo delle ipotesi si potrebbe spiegare anche questo, o si potrebbe trovare naturale che esistessero contemporaneamente nella stessa famiglia parecchi individui col nome di Giovanni che era quello del capostipite.

Ma io non voglio fare delle ipotesi: ho voluto esporre soltanto i risultati di alcune mie osservazioni, pregando vivamente i lettori della Bibliofilía a voler essere cortesi di comunicare a me o al signor cav. Olschki ciò che può essere a loro conoscenza sul conto del miniatore Giovanni da Fano e de' suoi lavori.

Santarcangelo di Romagna, settembre 1899.

G. CASTELLANI.

DOMANDE

Desidero sapere se nel secolo xv, cioé fra il 1470 e il 1485, fosse in uso qualche arma da fuoco che potesse esser caricata con palle di un' oncia. Henri Harrisse si è occupato di questa questione e l'ha risoluta negativamente. L'Angelucci nel suo studio « Los Escopeteros Milaneses » dà maggiori ragguagli in proposito. Nei musei genovesi o fiorentini si potrebbe scoprir qualche cosa. Non potrebbero esserci cannoni che caricassero palle di un'oncia di peso? Per esempio nelle illustrazioni all'ultimo numero della Bibliofilía a pagina 51 è una figura tolta dalla prima edizione del Valturio, nella quale vedesi un uomo che scarica un'arme probabilmente caricata con una palla di quel calibro. L' Harrisse cita un documento che dà un inventario del piombo del Castello di Pavia, dal quale appare che vi fu ricevuto o consegnato « un quintale di piccole cariche, in numero di 4500 ». Per proseguire questa indagine leggasi l'articolo del signor T. L. Belgrano, stampato in Genova nel 1879, intitolato : « Relazione letta nella Giunta Plenaria della Società ligure di Storia patria ». A pagina 23 l'argomento è pienamente trattato. Come si capisce, la questione è nata dalla palla di piombo trovata nella cassa di Colombo nella cattedrale di San Domingo nel 1877. Gli spagnoli cercano di provare che questi resti non sono di Colombo, perché nessuna palla « di circa un' oncia di peso » era in uso nel secolo xv.

JOHN BOYD THACHER.

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