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nicani delle Zattere, si leggeva una nota manoscritta, colla doppia data 1512, 20 giugno 1521, che terminava così: adhuc vivit Venetiis in S. Johanne et Paulo. Il frate era dunque domenicano, e su tale indicazione, prima Apostolo Zeno, poi il p. Federici nelle Memorie Trevigiane, ricercarono i libri de' conventi, a Treviso e a Venezia, e ne trassero queste notizie. Nacque nel 1433; a ventidue anni, cioè nel 1455, egli era novizio nel convento di San Nicolò a Treviso, dove fu maestro de' novizi; l'anno 1473 fu laureato in teologia nell' Università di Padova 1). Poi lo ritroviamo a Venezia, dove, nel 1485, era dalle monache di San Paolo di Treviso eletto loro procuratore per esigere certo denaro. Nei libri di San Giovanni e Paolo si trova registrato il suo nome pel corso di ventisei anni, prima colla qualifica di sacrestano, poi di magister, e il suo nome seguita immediatamente a quello del priore. Nel 1494 egli era di nuovo a Treviso, dove, in qualità di compagno, seguiva il padre Provinciale di recente eletto, nella visita ai conventi della provincia. La licenza de' suoi scritti, e forse della sua vita, dovettero chiudergli, nell'Ordine, la via delle alte cariche a cui lo chiamavano la dottrina e l'ingegno. A' 15 ottobre del 1523 si deliberava da' frati di San Giovanni e Paolo che gli si desse tanta legna quanta potesse portarne un servo dell'infermeria, e dalla sacrestia quattro soldi al giorno, e pane e vino puro per colezione, e ciò pro maxima aegestate, necessitate et decrepitate; a' 26 giugno del 1526 si deliberava ch' egli potesse far celebrare la messa da un sacerdote, e usufruire dell'elemosina pel suo sostentamento; agli 8 d'ottobre del 1527 moriva in età d'anni 94, e si disse che fosse sepolto nel chiostro del convento, con apposita epigrafe; ma questa (V. Cicogna) si riferiva invece ad altro Francesco Colonna, d'età anteriore.

In quel poco che sappiamo di questo frate, nulla che lasci intravedere il dotto umanista, carico d'erudizione profana. I biografi dell'ordine domenicano, citati dal Marchand 2) lo ricordano con poche parole d'elogio, ma solo a proposito del Sogno di Polifilo; libro ad essi tanto ignoto, che alcuni di loro lo credettero una raccolta di lettere. Un altro fatto strano: nella biblioteca de' frati di San Giovanni e Paolo, non esisteva un esemplare del Polifilo.

Né alcuna luce può venirci dalla parte dell'editore Leonardo Crasso, un prelato giureconsulto, che non sappiamo da qual ragione fosse mosso a far lui le spese di cosí ricca edizione. Né delle belle incisioni che adornano il libro, sappiamo nulla, quantunque molto se ne sia scritto, almanaccando sul Mantegna, e

1) Il Federici, nelle Memorie Trevigiane sulle opere di disegno, vol. I, cap. 5, afferma che il C. fosse a Treviso lettore di grammatica e di lingue esotiche, e che poi insegnasse teologia a Padova; ma ciò non risulta dai documenti da esso pubblicati, i quali dicono solo che nel 1467 insegnava ai novizi: pro suo labore, eo quod doceat novitios. Abbiamo in essi tre pagamenti in tempi diversi, 1466, 1469, 1472, ratione primae missae. Si tratta forse d'una provvisione dovutagli ogni volta che un novizio da lui istruito celebrasse la prima messa. La notizia del ritorno del C. a Treviso, in qualità di compagno del p. Provinciale, sfuggita al Federici, m'è stata gentilmente comunicata dal signor Girolamo Biscaro, che l'ha tratta dal libro Procuratia (1492-1510) del convento di San Nicolò, ora nell'archivio del Comune, sotto la data del 22 ottobre 1494: item, dati al compagno del padre provinciale, videlicet m.o Franc.o Colona, lire 6, soldi 4.

2) Dictionnaire historique, voc. Colonna.

persino su Raffaello. L'iniziale è segnata a piedi d'un disegno, ha fatto pensare al Bellino '). L'opinione d'alcuni, che i disegni appartengano all'autore stesso del libro, è esclusa dall'osservare che la figura non sempre corrisponde alla descrizione, ma qualche volta, ad esempio, vi è rappresentato un ordine architettonico diverso da quello indicato nel testo. L'opinione più probabile è che l'autore debba ricercarsi, non fra i pittori, ma fra i disegnatori e incisori 2).

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L'edizione rimase, nel primo decennio, pressoché invenduta, a causa delle guerre che turbarono il Veneto, tantoché il Crasso chiese ed ottenne un nuovo privilegio di vendita per un secondo decennio. Ma poi si dovette spacciare discretamente, poiché, nel 1545, i figli d'Aldo ne fecero una seconda edizione, che in Italia fu l'ultima. Causa principale del non lieto successo del libro, fu certamente la strana lingua in cui esso è scritto. Gli umanisti non pigliavano sul serio un libro che non fosse scritto in latino; e come scrittura italiana fu preso in burletta, e citato fra i libri ridicoli. Piú fortunata fu l'opera in Francia, dove dal 1546 al 1883 è stata ristampata più volte in tre diverse traduzioni; delle quali però, le due prime sono piuttosto riduzioni e rifacimenti, e l'ultima sola, quella di Claudio Popelin è vera e intiera versione 3). A questa, premise il traduttore una larga introduzione, nella quale, tracciato un largo quadro del sapere umano traverso il medio evo fino al secolo XV, discorre poi del libro e della sua storia. La traduzione richiamò l'attenzione degli studiosi sul Sogno di Polifilo, e provocò parecchi studi, fra i quali notevole quello di Carlo Ephrussi, inserito in quattro fascicoli del Bulletin du Bibliophile del 1887, al quale rimando chi voglia aver piena notizia della bibliografia, e delle varie questioni riguardanti il Polifilo.

Noi ricercheremo ora se l'autore dell'opera misteriosa siasi proposto un fine, e quale. Alcuni, dice il Marchand, vi han veduto un'opera storica; altri un semplice romanzo d'avventure amorose; altri vi han cercato, sotto i velami della mitologia, i secreti della pietra filosofale; altri han creduto vedervi i misteri della religione cristiana, messi in derisione sotto i nomi delle divinità pagane; altri, come nel Cantico de' Cantici, hanno cercato sotto le imagini sensuali, l'allegoria religiosa; altri, sotto ingegnose invenzioni, i più saggi insegnamenti della filosofia morale.

1) Non si è osservato che un altro disegno, alcune pagine avanti, è segnato colla lettera N. 2) Il prof. Roberto Schiff mi scrive proponendo una nuova ipotesi che mi pare assai verosimile, che cioè ne sia autore l'incisore Jacopo de' Barbari. Sappiamo ch'egli, circa il 1490, lavorava a Venezia e a Treviso, poi a Norimberga; e che, nel 1499-1500, era di nuovo a Venezia, dove, per incarico di Antonio Kolb, fece la grande e celebre incisione della veduta generale di Venezia. A lui potrebbe, quasi contemporaneamente, aver commesso Leonardo Crasso le incisioni per la Hypnerotomachia. I caratteri di queste incisioni sembrano coincidere con quelli dell'arte di Jacopo. Mi auguro che l' egregio professore, continuando le ricerche e l'esame, giunga a risolvere la questione tanto discussa.

3) Le Songe de Poliphile, ou Hypnérotomachie, de frère F. C. littéralement traduit pour la première fois.... par Claudius Popelin. Paris, I. Liseux, éditeur, 1883.

Già nel 1600, in un'edizione francese del Polifilo, F. Beroaldo di Verville, fece in istile apocalittico, un'esposizione cabalistica del Sogno; ed uno scrittore recente, a cui non si può muovere accusa di sgomentarsi del paradosso, G. D'Orcet, in un articolo pubblicato sulla Revue Britannique (giugno, 1881) interpretava

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storicamente gl' indovinelli del Polifilo, introducendoci ne' più riposti misteri goliardici, blasonici e massonici. Egli è vero che quei calembours non si spiegano se non traducendo il Polifilo in francese; ma lo scrittore non è uomo da tirarsi indietro per cosí poco; e suppone appunto che l'autore del Polifilo, scrivendo in quel suo bizzarro italiano, avesse in mente un testo francese.

In Italia, si son ricercate notizie sul frate Colonna, e il Temanza ha messo in chiaro il valore dell'opera relativamente all'architettura. Anche in Germania il Fiorillo, ne' suoi Kleine Schriften, lo considera principalmente come erudito e architetto, e ambedue suppongono ch'egli abbia, come solevano i veneziani, largamente viaggiato l'Italia, l'Asia, l'Egitto; il che non pare accordarsi colle notizie che abbiamo del Colonna, tratte dai conventi di Treviso e di Venezia.

I più recenti storici dell'umanesimo, il Voigt, il Gaspary, e ultimo, di tempo e non di valore, il Rossi, non fanno parola del libro. Si direbbe ch'esso appartenga alla letteratura francese, poiché in Francia esso ha avuto il maggior numero d'edizioni, ha prestato argomento ad opere d'arte, ha esercitato, in passato e ai nostri giorni, la critica.

L'ultima parola della quale, è questa: che Polia l'amante di Polifilo (da лológ canuto), significhi l'antichità; e il libro altro non sia, secondo il Popelin, se non << uno specchio che riflette le preoccupazioni letterarie della maggioranza degli umanisti, sul finire del secolo decimoquinto, in Italia. » Riguardandolo, infatti, unicamente come un repertorio d'erudizione, egli, nelle note, ricerca con molta dottrina le fonti da cui le singole notizie sono tratte.

Anche l'Ephrussi crede che l'autore, abbandonandosi « alla corrente d'un'ispirazione vagabonda » abbia voluto comporre un' enciclopedia delle cognizioni del suo tempo, e più particolarmente, un libro d'arte, un trattato teorico d' architettura. Parrebbe infine che, secondo essi, il libro fosse composto senza un disegno, secondo l'ispirazione vagabonda, e col solo fine di rimettere in onore l'antichità, e specialmente l'antica architettura, accumulando a casaccio tutte le nozioni acquistate dalla lettura dei classici. Ma gli eruditi scrittori han girato per lo piú alla larga intorno al soggetto, quasi temendo d'accostarvisi, e non osando di penetrare in quella densa boscaglia d'invenzioni, d'erudizione, di allegorie, per veder da vicino se non vi sia un disegno, ed essendovi, quale ne sia il significato.

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Il titolo d'Hypnerotomachia, foggiato su quello della Batracomiomachia attribuita ad Omero, dovrebbe significare pugna del sogno e d'amore; ma l'autore, che suol maneggiare il greco con certa libertà capricciosa, vuol che significhi pugna d'amore in sogno. Nella seconda edizione, il titolo del libro, che nella prima è latino, è così tradotto:

La Hypnerotomachia di Poliphilo

cioè pugna d'amore in sogno dov' egli mostra che tutte le cose

humane non sono altro che

sogno: et dove narra molt'altre cose degne

di cognitione.

Ma invano si cercherebbe nel libro la dimostrazione che tutte le cose umane non siano altro che sogno: e conviene perciò ritenere che quella dichiarazione o

sia stata messa per nascondere il vero contenuto dell'opera, come spesso si soleva fare, specie ne' libri erotici, ovvero che l'autore ve l'abbia apposta in età posteriore alla composizione del libro, e in uno stato d'animo ben diverso da quello in cui era quando lo scriveva.

Il romanzo si compone di due libri sotto ogni aspetto disuguali; poiché il secondo, oltre ad essere brevissimo in comparazione del primo, non si collega armonicamente con esso. Il primo è un romanzo allegorico, fuori d'ogni tempo e d'ogni spazio determinato; il secondo, una storia d'amore in sé stessa compiuta, e in qualche parte, come appresso dimostrerò, in opposizione col primo; una Vita

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